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La Torre delle Ombre

Ico incontra Peter Pan.

Mentre Ueda si ostina a lasciare i propri fan a bocca asciutta, rifiutandosi di mostrare qualcosa di nuovo relativo a The Last Guardian, in casa Hudson Soft qualcuno ha deciso di lavorare nell'ombra, in modo da realizzare un gioco capace di riempire il vuoto che da tempo domina il cuore degli appassionati di Ico e di Shadow of the Colossus.

La Torre delle Ombre, infatti, è il classico titolo capace di attrarre gli appassionati grazie alla propria caratterizzazione artistica, basata principalmente sulla sensibilità e sulla poesia tanto care a Ueda e, prima di lui, all'eccezionale Hayao Miyazaki.

Il titolo Hudson però non è solo stile, ma si distingue anche per un gameplay e una struttura ben studiati e ricchi di spunti interessanti. Appena iniziata la partita il senso di deja-vu che si prova è piuttosto potente (a patto che abbiate giocato Ico su PlayStation 2), principalmente a causa della scelta cromatica, della gestione dell'illuminazione e delle soluzioni audio portate avanti dal team di sviluppo.

In alcuni casi sembra di trovarsi di fronte alla versione a colori di Limbo: seghe circolari e precipizi sono una costante.

La luce diffusa, i colori tenui, le strutture architettoniche fatte di mattoni e ingranaggi, rimandano inevitabilmente allo stile di Ueda, lasciando pensare a un semplice clone del titolo PlayStation 2. La realtà, fortunatamente, è ben diversa, visto che superata la prima ora di gioco La Torre delle Ombre si rivela un titolo caratterizzato da un'identità ben precisa.

Tutto ha inizio con una sequenza introduttiva onirica e surreale, che vede l'ombra di un povero bambino brutalmente recisa e gettata dalla cima di un'altissima torre. Non viene spiegato il motivo di tale gesto disturbante, né le intenzioni dello spaventoso cavaliere che esegue l'operazione.

Tutte le informazioni che vengono offerte al giocatore si recuperano procedendo con l'avventura, durante la lunga e difficile scalata dell'ombra verso il proprio legittimo proprietario.

I primi livelli naturalmente hanno il compito di istruire il giocatore sulle basi del gameplay, proponendo ostacoli sempre nuovi e suggerendo le relative soluzioni. I primi passi sono molto semplici e mettono in luce una struttura estremamente tradizionale da platform vecchio stile (sotto alcuni punti di vista sembra di trovarsi di fronte al primissimo Prince of Persia).

L'ombra del bambino può correre, saltare e interagire con tutte le altre proiettate lungo le ambientazioni, seguendo una struttura a scorrimento che tende a svilupparsi sia orizzontalmente che verticalmente.

Il trailer del gioco.

Andando avanti col gioco, il design dei livelli diventa sempre più complesso, costringendo a tenere sotto controllo un numero sempre maggiore di elementi. Dopo pochi secondi ci si trova di fronte al primo interruttore, attivabile interagendo con l'ombra da esso proiettato.

Pochi minuti dopo, però, si scopre che la povera ombra non è in grado di contare unicamente sulle proprie forze per portare a termine l'impresa. In più di un'occasione, infatti, il protagonista deve affidarsi all'intervento esterno di Spangle, una fatina in grado di interagire con gli elementi del mondo fisico al posto dell'ombra incorporea.

Spangle viene controllata semplicemente puntando il Wiimote verso lo schermo e, di fronte a un vicolo cieco, si trasforma in una risorsa indispensabile per proseguire lungo la propria strada.

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Lost in Shadows

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Filippo Facchetti

Contributor

Filippo Facchetti è un rispettabile nerd da sempre appassionato di "giochini elettronici". Prima di approdare a Eurogamer scrive per importanti riviste di settore e conduce programmi TV dedicati all'intrattenimento digitale.

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