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2012: l'anno del cont(r)atto. Per l'indie - articolo

Gli highlight videoludici di quest'anno arrivano tutti da sviluppatori indipendenti.

Indie è bello. Lo si è capito da un po'. La convinzione si è addirittura diffusa tra i cinefili chic dell'ultimo Sundance Film Festival, abbagliati da Indie Game - The movie come da poche altre pellicole.

Che indie possa essere anche meglio è invece idea affermatasi di recente, forse quest'anno. Per cosa credete sarà ricordato il 2012 videoludico? Per la pur clamorosa, ma ennesima, espansione di World of Warcraft? Per i prodigi fisico digitali di Fifa 13, PES 2013, NBA 2K13 o Madden NFL? Per la lussuria visiva di Assassin's Creed III, la bollitura transmediale di Resident Evil 6, la bagarre narrativa di Mass Effect 3? Oppure, ancora, per Guild Wars 2, Diablo III, Cod: Black Ops 2 (cioè il nono Call of Duty) e per il coraggio inopinato di Dishonored, se non altro una proprietà intellettuale neonata e, per ora, senza numeri dopo il nome?

Fidatevi, i poster(i) indicheranno il 2012 come l'anno di Journey, Fez e Papo & Yo. Al limite come quello in cui Minecraft arrivò ai device portatili e alle console sbaragliando anche lì la concorrenza (nell'ultimo mese su XBLA la conversione di 4J Studios è stata giocata più di FIFA o Modern War-fare 3. Le sue vendite a inizio ottobre, 4 milioni di copie, sono il miglior risultato di sempre sulla piattaforma Microsoft).

"A vedere nell'indie la vera risorsa futuribile potrebbero essere i pezzi grossi del settore"

Papo & Yo.

C'è di più; a vedere nell'indie la vera risorsa futuribile oggi potrebbero pure essere i pezzi grossi del settore, quei publisher mastodontici che a partire da Electronic Arts o Sony hanno prima snobbato i virgulti digitali avulsi da protettori, salvo correre ad acquistarne diritti e proprietà una volta visti i dati di mercato (il fenomeno invero risale all'esplosione dei social game, le cui classifiche di vendita nel primo biennio di vita, 2007-2009, ospitarono ben pochi protagonisti dell'industria tradizionale).

C'è addirittura chi legge nei giorni nostri l'inizio di una nuova era: teorica, game designer e attivista transgender, nel suo The Rise of Videogame Zinesters (Seven Stories Press, 2012), Anna Anthropy preconizza l'abbattimento definitivo delle barriere d'ingresso allo sviluppo dei videogiochi, l'affrancamento dalla tirannia distributiva dei grossi editori e, soprattutto, la maturità contenutistica di un settore fin dai suoi albori dominato dai gusti ristretti di una cultura omogenea, bianca e tendenzialmente maschile (quando non maschilista).

Vi siete mai accorti che gira o rigira la maggior parte dei vo-stri giochini preferiti ruota attorno a immaginari fantasy dell'età del nonno, avventure spaziali identiche da tempo im-memore e scorribande a mano più o meno armata? Tuttavia, se il numero di storie e istanze da culture marginali rappresentate in una disciplina artistica ci dice della sua maturità, secondo Anna Antrophy siamo alle soglie di una rivoluzione.

"C'è addirittura chi legge nei giorni nostri l'inizio di una nuova era"

Journey.

Già oggi free tool come Stencyl permettono a chiunque di creare un computer game, anche a chi non abbia alcuna competenza informatica o dimestichezza con kit di sviluppo. In altre parole, presto ognuno potrà creare il videogame che gli pare sul tema che più gli aggrada e diffonderlo in rete non solo ignorando dinamiche di distribuzione consolidate (attraverso siti, blog e "vetrine" virtuali dedicate), ma anche lasciandolo a disposizione gratuita di chiunque.

È allora ovvio ipotizzare un'esplosione contenutistica potenzialmente senza limiti. E non è un caso che accanto a giochi tradizionali stiano spuntando game capaci di tematizzare il sacrificio (We the Giants), titoli dal palese orientamento omoerotico (Lesbian Spider-Queens of Mars), o simulazioni belliche in cui lo scopo è curare la vita altrui più che sterminarla (WWI Medic).

In fondo l'efficacia, il fascino e la lezione dell'indipendente stanno proprio da queste parti: da Angry Birds e Minecraft a Limbo, sono le idee e i gameplay buoni a fare la differenza più che i motori grafici e il reparto marketing. Soprattutto se di quelle idee si può dar conto solo a se stessi - e visto che è grazie a meraviglie grafiche viepiù costose che l'industria del Tripla A sta confezionandosi il cappio.

"È ovvio ipotizzare un'esplosione contenutistica potenzialmente senza limiti"

Spider Queen.

In questo ambito e per ora solo in questo, come conferma il primo censimento AESVI degli sviluppatori italiani pubblicato a inizio ottobre, il Belpaese può dire la propria. È nello sviluppo prêt à porter di progetti piccoli, efficaci e facilmente "indossabili", magari su device portatili, che la nostra industria inesistente può trovare linfa vitale.

I talenti non mancano: all'ultimo IndieCade (guarda un po', una sorta di Sundance videoludico), Paolo Pedercini e la sua molleindustria hanno trionfato raccontando con Unmanned, il tran tran quotidiano di un pilota di droni satunitense, fra la spesa, gli ammiccamenti alla collega e lo sterminio civile in Afghanistan. Una critica perfetta, non a caso celebrata prontamente pure dal "Financial Times", che in ogni suo elemento configura l'antitesi dell'imperante fenomenologia di un Battlefield o CoD qualsiasi - aggiungete un numero a caso dopo i nomi e pure un Dragonfire radiocomandato nella Collector's Edition; il senso non cambia.

Che Pedercini sia peraltro in buona compagnia lo ha dimostrato anche la prima edizione italiana di Playing the Game, una due giorni organizzata e promossa da Paolo Branca (aka Vjvisualoop), con l'intento di porsi quale «punto di incontro fra le prassi di produzione, fruizione e (re)interpretazione del medium videogioco». Fra homebrew e game art, un'ottima occasione per conoscere il lavoro di svi-luppatori individuali e piccole realtà collettive.

"Che Pedercini sia in buona compagnia lo ha dimostrato la prima edizione italiana di Playing the Game"

Unmanned.

Dalla sezione curata dal duo Santa Ragione ai giochi presentati live sono spun-tate le cose migliori. Circa la prima, un trittico dal piglio sperimentale estratto dall'edizione australiana di Lunarcade, è bene segnalare Memory of a Broken Dimension di Xra e Thirty Flights of Loving di Brendon Chung, visionario meta-gioco in soggettiva, uno, e la storia migliore mai raccontata in un videogioco di 13 minuti, l'altro.

Fra i titoli presentati dal vivo hanno invece colpito lo sliding puzzle multipiattaforma Pablo Cavarez di Bloody Monkeys, Skiddy di Big Bang Pixel per Windows 8, le novità targate Heart Bit Interactive - il trio già noto per l'RPG old school Doom & Destiny e The Waste Land, l'adventure open world bidimensionale di Fledermaus, al secolo Michele Caletti, sviluppatore Milestone nella vita d'ufficio, game designer in proprio durante i viaggi in treno.

Lungi dall'edulcorare la realtà, futuro e solidità economica di ognuno dei progetti menzionati rimangono un'incognita. Tuttavia la sensibilità artistica e l'approccio imprenditoriale sembrano quelli giusti: voglia di innovare un ambiente stantio, consapevolezza dei propri mezzi (limiti compresi) e possibilità di agire liberi da dinamiche produttive pachidermiche. Tratti in comune con chi, tre anni fa, inventò Minecraft o con chi, come Chris Roberts e le sue "industrie spaziali", oggi preferisce ballare da solo mentre lavora al sogno digitale di una vita.

A proposito, scommettiamo che il 2012 sarà ricordato anche come l'anno di presentazione al mondo di Star Citizen?

Emilio Cozzi è vicedirettore di Zero, dal 1996 la guida agli eventi di intrattenimento e cultura nelle principali città italiane. Dalla carta all'online e sempre gratis, il network risponde alle più antiche questioni dell'Umanità: chi siamo? Dove andiamo? Quanto costa?.