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Il Paese del Sol Calante

Perché il Giappone ha ceduto lo scettro di nazione leader nello sviluppo dei videogiochi?

Fino a qualche anno fa videogiochi e Giappone erano sinonimi. Non parlo solo di dominio assoluto quanto a vendite hardware e software, quello va dato per scontato. Fatto salvo qualche sporadico tentativo (Atari Jaguar, 3DO, Amiga CD), nessuna console occidentale ha osato ritagliarsi un benché minimo spazio nel mercato nel quale per vent'anni e passa Nintendo, Sega e Sony hanno "spadroneggiato" (da pronunciarsi con l'accento che aveva Abatantuono nello stracult Attila: Flagello di Dio). È che fino a qualche anno fa c'era proprio un'atmosfera diversa.

Quando nel settembre del 1987 aprì il primo numero di TGM, le ultime pagine erano tappezzate di foto dell'allora neonato Pc Engine, le cui conversioni mi sembravano fuori parametro rispetto a quelle del pur ottimo e amatissimo Amiga. Ebbi una specie di colpo apoplettico. Anni dopo ricordo il mega-articolo con il quale veniva annunciata al mondo la commercializzazione del Neo-Geo. Altra sincope. Rammento editoriali sui jappi in fila per giorni (un po' come gli adepti della chiesa Apple oggi) in attesa dello SNES, le cui confezioni venivano rubate dalla Yakuza locale per essere rivendute a caro prezzo, e decine di altri aneddoti sulle bizzarie di quel Paese incomprensibile.

Tutti, ma proprio tutti gli arcade più avveniristici venivano dal Giappone e così pure ogni innovazione video-ludo-tecnologica. Il mio mondo, in pratica. Il Giappone, oltre a essere lontanissimo (non solo geograficamente), era il paese dei balocchi ed ogni nuova release di Konami, Capcom, Square, Nintendo e SEGA rappresentava un avvento messianico. I best seller polverizzavano ogni record di vendita e il milione di copie era la regola, non l'eccezione.

"Tutti, ma proprio tutti gli arcade più avveniristici venivano dal Giappone e così pure ogni innovazione video-ludo-tecnologica"

Un'altra big in difficoltà.

E poi cos'è successo?

Onestamente non saprei, so solo che oggi, nel 2012, il Giappone videoludico non dico conti come il due di picche, ma ha smesso da un pezzo di essere il punto di riferimento per ogni videogiocatore che si rispetti. Così mi sono messo a pensare quali possano essere state le cause che hanno portato il Sol Levante a cedere quello scettro detenuto dal 18 ottobre 1985, da quando cioè il NES, con due anni di ritardo dal giorno del suo esordio in nippolandia, bussava alla porta degli Stati Uniti, dove i videogame parevano morti e sepolti dopo la crisi del 1983 e iniziava a inoculare e diffondere il virus.

La prima causa del declino, a mio parere, è stata la scarsa capacità dei giapponesi di adattarsi alle mutate condizioni del mercato e a un calo della loro inventiva. Con l'avvento dell'ultima gen, oramai finalmente agli sgoccioli, sembra che i game designer, fatta salva qualche eccezione (Grassoppher, Platinum, Nintendo, Level 5), abbiano perso la capacità di osare e sfidare le controparti occidentali sul piano della creatività. Ah, e tecnicamente proprio non ci siamo. Una volta i prodotti delle case nipponiche spremevano gli hardware come limoni, adesso i giochi troppo spesso appaiono grezzi e poco rifiniti.

In seconda battuta l'occidente videoludico è cresciuto moltissimo e in direzioni che negli anni '80 e '90 sarebbero sembrate impensabili. Penso ad esempio al boom delle softco dell'est Europa, a quelle canadesi, alla globalizzazione delle grandi realtà come EA e Activision, all'affermazione della francese Ubisoft, alla vivacità dei mercati emergenti (i "BRIC"). Insomma, il merito della debacle nipponica va dato anche alla presenza in campo di una forte squadra avversaria.

"Una causa del declino è stata la scarsa capacità dei giapponesi di adattarsi alle mutate condizioni del mercato"

Akihabara ha sempre un certo fascino...

Come terza causa ci sono i gusti dei giapponesi, che sembrano tornati ad essere disallineati rispetto a quelli occidentali. Questo è curioso: negli anni del boom dei 16 bit e dei 32 bit, le softco nipponiche erano abilissime a interpretare, assecondare i gusti dei giocatori di tutto il mondo e in certi casi ad imporre le proprie idee (penso al genere degli JRPG che lì "tira" ancora, ma che in altri paesi ha perso molto appeal, mentre non è successo il contrario con gli FPS che dominano nei mercati mentre in Giappone vendono molto meno che in Occidente).

Come quarta causa ci metto pure il declino, oramai irreversibile, della sala giochi. Fino alla fine degli anni '90 erano gli arcade l'oggetto della maggiore ricerca & sviluppo tecnologica. Penso all'impatto devastante della serie Virtua di SEGA. La stessa SEGA ha impiegato un decennio a recuperare il terreno perso negli anni '00 a causa (non solo ma anche) della sua scarsa capacità di gestire la crisi seguita al declino del settore che l'aveva vista leader per anni.

Come quinta causa metterei la crisi che affligge il Giappone da moltissimi anni, che va ad aggiungersi a quella globale che purtroppo pare destinata a durare ancora più della "current gen". L'indice Nikkei è tornato ai livelli del 1982 (quando era a quota 8mila), lontanissimo dai 39mila punti raggiunti nel 1989. Lo Yen pesa troppo sull'economia. È notizia di pochi giorni fa che Sharp (Sharp!) sta per chiudere definitivamente, affossata da centinaia di miliardi di dollari di perdite e quasi tutte le aziende hi-tech locali sono state surclassate dalle rivali coreane (Samsung in testa, forse l'unica azienda non americana a confrontarsi con i vari big Apple, Amazon, Google, Microsoft).

"Fino alla fine degli anni '90 erano gli arcade l'oggetto della maggiore ricerca & sviluppo tecnologica"

Final Fantasy ben rappresenta il declino di un certo modo di fare videogiochi.

Molti ex dipendenti delle aziende nipponiche sono andati a lavorare a Taiwan, in Cina, in Corea e hanno diffuso il know-how prima appannaggio dei colossi del Sol Levante. Le nuove generazioni di manager hanno fallito ripetutamente e gli innesti di menti straniere ha portato a conseguenze disastrose (va anche detto che menti illuminate del calibro di Akio Morita o Hiroshi Yamauchi non nascono tutti i giorni). Una volta si diceva che i giapponesi erano bravi a "copiare e migliorare" i prodotti già esistenti, oggi anche quell'antica virtù si è persa. Non per niente il nuovo Walkman l'ha inventato Apple, non Sony.

L'elenco potrebbe continuare. Personalmente credo che quando vuole, il Giappone sappia ancora sfornare titoli degni di nota: penso a Vanquish, Bayonetta, Shadows of the Damned, Lollypop Chainshaw, Xenoblade, Dark Souls, Ni no Kuni, El Shaddai: Ascension of the Metatron e altri. Da nippofilo militante, però, l'eccessiva "occidentalizzazione" del videogioco mi sembra che lo abbia privato di quel pizzico di follia alla quale mi ero piacevolmente abituato negli ultimi cinque, sei lustri.

Gambare Nippon...

Andrea Chirichelli è co-founder ed editor di Players Magazine, un progetto editoriale che mira a discutere di intrattenimento in maniera matura e indipendente, coinvolgendo un pubblico smaliziato e vagamente geek.

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A proposito dell'autore
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Andrea Chirichelli

Contributor

Nasce circa 40 anni fa in una domenica buia e tempestosa. Negli ultimi anni ha offerto il suo discutibile talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic. Odia apparire in foto.
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