Se clicchi sul link ed completi l'acquisto potremmo ricevere una commissione. Leggi la nostra policy editoriale.

Takedown: Red Sabre - review

Prendi i soldi e scappa…

Che gli sparatutto in prima persona siano da tempo il genere principe del mercato non ci piove ma, come i giocatori più attempati ricorderanno con una certa nostalgia, terminato quel periodo di sviluppo in cui le macchine da gioco potevano finalmente proporre ambientazioni tridimensionali plausibili, ci fu un periodo, a cavallo tra la fine degli anni '90 e primi duemila in cui molti studi azzardarono interpretazioni diverse del concetto di shooter.

Allora furono piantati i semi degli sparatutto tattici che avevano in Ghost Recon, Rainbow Six e S.W.A.T. i loro migliori esponenti. Non più grilletto premuto e cervello spento, ma programmazione ragionata di un assalto in spazi aperti o chiusi in base all'equipaggiamento in dotazione, coperture e disciplina tattica.

Sappiamo tutti chi ha premiato il mercato, portando all'oblio generi e sottogeneri come appunto gli sparatutto tattici che avrebbero indubbiamente meritato miglior sorte. E potete dunque immaginare con quanta soddisfazione abbiamo assistito al successo di Takedown: Red Sabre su Kickstarter, in cui si presentava questo titolo come un autentico ritorno al passato per gli estimatori del genere. Le premesse erano peraltro ottime, visto che a capo del progetto si trova Christian Allen, Game Designer di tutti i Ghost Recon dal 2002 al 2007 e altri sviluppatori formatisi su titoli simili. Ebbene, fughiamo il subito il campo da qualsiasi dubbio dicendovi che mai tanta fiducia fu mal riposta da parte di chi ha permesso il raggiungimento dei 220.000 dollari su Kickstarter perché Takedown: Red Sabre è uno dei giochi più brutti che ci siano capitati di recensire negli ultimi tempi.

I nemici sbucano fuori dagli angoli praticamente senza fare rumore. Non è voluto, visto che l'audio, come la grafica, è decisamente povero.

Il concetto di fondo è semplice: al giocatore è data la possibilità di affrontare cinque missioni in singleplayer o in multiplayer ambientate in altrettante locazioni partendo, di solito, da due punti diversi. Non viene specificata una trama a fare da collante alle varie situazioni: si prende il controllo di una squadra da quattro uomini, ciascuno caratterizzato da un setup differente, e si procede all'assalto degli ambienti per cercare di raggiungere l'obiettivo indicato entro un'ora di tempo limite massimo. In genere gli obiettivi riguardano la liberazione di ostaggi, la disattivazione di bombe o la violazione di terminali, ma in realtà il vero scopo è quello di eliminare tutti i nemici che presidiano la mappa e che cambiano posizione a ogni nuovo assalto.

"Fin dall'inizio s'intuisce che qualcosa non va"

Fin dall'inizio s'intuisce che qualcosa non va perché ad una prima occhiata Takedown: Red Sabre ha l'aspetto di un gioco datato sotto tutti i punti di vista: le ambientazioni, per quanto alcune di dimensioni notevoli come la fabbrica sotterranea e la stazione radar, sono veramente mal progettate in termini di level design, per non dire del numero di elementi di contorno e della loro qualità. I filmati parlano da soli e tradiscono un livello estetico che non avrebbe fatto onore a un titolo di una decina d'anni fa. Non è finita qui: i modelli dei personaggi potrebbero anche considerarsi passabili ma è nella legnosità dei frame d'animazione, nella fisica inesistente e quasi totale mancanza di effetti luminosi e nella presenza di numerosi bachi (i cadaveri clippati nei muri sono all'ordine del giorno) che il sospetto di aver foraggiato la creazione di un gioco tecnicamente pessimo diventa certezza.

Ma è risaputo che le produzioni indipendenti di solito non pongono l'accento sui fronzoli della grafica ma sulla sostanza del gameplay. E infatti Takedown: Red Sabre è la perfetta eccezione di una regola che tante perle ci ha regalato su Steam, ovvero una pallida imitazione del concetto di sparatutto tattico sotto molteplici aspetti. Il primo riguarda la funzione dei tre decerebrati che ci seguono col pretesto di coprirci: la loro intelligenza artificiale è inferiore a quella dei Lemmings che nell'omonimo capolavoro di Psygnosis andavano allegramente incontro alla morte quando guidati da giocatori di scarso livello.

Un paio d'assalti andati male a causa dei mostruosi riflessi del nemico e della inettitudine dei nostri commilitoni.

Dovrebbero coprire i nostri angoli ciechi con movimenti calcolati e invece incappano regolarmente in tutta una serie di problemi che decretano la loro più totale inutilità tattica: non vanno in copertura quando inizia la sparatoria, tengono sotto tiro direzioni a caso, perdono le nostre tracce regolarmente e spesso finiscono per farsi beccare in posizioni tatticamente imbarazzanti dalle pattuglie nemiche. Se aggiungete a questo l'impossibilità di impartire loro ordini più complessi come seguirci/mantenere la posizione o assumere un atteggiamento offensivo o difensivo, si capisce bene che la loro presenza è funzionale solo alla possibilità di prenderne il controllo dopo che il personaggio con cui abbiamo iniziato la partita tirerà le cuoia.

"L'intelligenza artificiale dei nostri compagni di squadra è inferiore a quella dei Lemmings di Psygnosis"

Un evento molto probabile visto che i nemici, pur condividendo coi nostri commilitoni la stessa demenza per quanto riguarda movimenti, coperture e capacità decisionale nel momento in cui sono avvistati, possono farci fuori anche con un colpo solo esattamente come può accadere nella realtà. Un concetto tutto sommato accettabile visto che si parla di uno sparatutto tattico in cui la difficoltà dovrebbe derivare dalla posizione di vantaggio e dall'armamento a disposizione del nemico, piuttosto che dal numero. Il problema è che spesso si producono in centri fenomenali anche da distanze notevoli con mitragliette o pistole, laddove il nostro personaggio era visibile solo per una frazione di secondo o esponeva solo una parte del corpo. Il lato comico della questione è che a volte ci mancano da mezzo metro quando, nelle zone tatticamente più complesse, siamo costretti a muoverci scoperti.

Insomma, le partite a Takedown: Red Sabre vorrebbero essere la riproduzione di reali assalti di un reparto di forze speciali (l'equipaggiamento selezionabile fa pensare si tratti di S.W.A.T.) ma l'amara realtà è che si trasformano immediatamente in una caccia all'uomo senza arte né parte, in cui l'unica tattica intelligente si limita al lasciare i tre imbecilli che ci seguono in una zona sicura come vite di riserva e andare in giro per la mappa in solitario a sterminare bot astuti come parafanghi ma svelti come dei ninja anche nelle situazioni più improbabili.

La violazione di un computer come obiettivo di una missione: peccato che il commilitone stia coprendo un rack server invece della nostra ghirba. Sigh…

La modalità cooperativa potrebbe far crescere il livello qualitativo del gameplay permettendo una maggiore coordinazione tra commilitoni umani nel ripulire i vari ambienti degli edifici. Purtroppo l'IA inconsistente dei bot che pattugliano le mappe riesce a far saltare i nervi alle squadre di assaltatori virtuali più accanite, rivelandosi poco più interessante del singleplayer.

"L'IA inconsistente dei bot che pattugliano le mappe riesce a far saltare i nervi alle squadre di assaltatori virtuali più accanite"

Del resto, a queste mancanze basilari se ne affiancano altre che definirebbero il minimo sindacale di qualsiasi altro tactical shooter. In aggiunta alle cinque mappe a disposizione, cui se ne aggiungono due di addestramento, è l'equipaggiamento tra cui scegliere ad essere piuttosto povero: oltre a fucili, mitragliette, pistole, ottiche, protezioni e granate, flashbang e qualche esplosivo non si va. Il che è un disastro se pensiamo a tutta quella varietà di gingilli hi-tech che nella realtà fanno la differenza tra un operatore vivo e un sospetto morto.

Dispositivi di visione notturna, microcamere in fibra, scudi balistici, specchi angolari, cariche da breccia per muri e finestre, dispositivi per forzare le porte e droni di sorveglianza sono solo alcuni esempi di quello che si potrebbe implementare in un gioco del genere creando infinite possibilità di gameplay e che, invece, in Takedown: Red Sabre sono tristemente assenti.

Tecnicamente Takedown: Red Sabre non è proprio uno spettacolo per gli occhi, tutt'altro.

Tutto ciò non solo arricchirebbe il singleplayer ma darebbe infinite possibilità anche alla modalità multigiocatore che si svolge sulle stesse mappe del singleplayer: in questo caso non troviamo alcuna riproposizione del concetto di guardie e ladri ma un banale scontro a squadre in modalità TDM o CTF come in passato ne abbiamo giocati a milioni, con l'aggravante di meccaniche di movimento obsolete e locazioni inguardabili. E infatti, nella settimana in cui stavamo recensendo TRS, solo due volte siamo incappati in qualche sessione attiva ma con pochissimi giocatori. Il che non ci ha impedito d'intuire la pochezza del gameplay, praticamente identico a quello del singleplayer senza alcun perk da sbloccare o contenuto extra di sorta.

In definitiva possiamo serenamente affermare che questo Takedown: Red Sabre abbia ottenuto una piazza d'onore nella poco invidiabile classifica dei titoli indipendenti peggiori di questo 2013. I quattordici euro richiesti su Steam sono fuori discussione per uno sparatutto talmente vecchio nella forma e nella sostanza che anche i suoi stessi bot, se fossero dotati di volontà propria, si rifiuterebbero di giocare.

3 / 10

Sign in and unlock a world of features

Get access to commenting, newsletters, and more!

Scopri come lavoriamo alle recensioni leggendo la nostra review policy.

In this article

Takedown: Red Sabre

PS3, Xbox 360, PC

Related topics
A proposito dell'autore
Avatar di Matteo Lorenzetti

Matteo Lorenzetti

Contributor

Dopo dieci anni di The Games Machine, approda finalmente alla redazione di Eurogamer.it. Onnivoro per quanto riguarda i generi, predilige sparatutto, giochi di guida ed RTS.

Commenti