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Always Sometimes Monsters: a ognuno il suo peccato - review

Scelte, scelte, scelte…

Non sono pochi i titoli che hanno provato a sviluppare in maniera particolare una storia, spesso scontrandosi con barriere tanto difficili da individuare quanto tangibili.

Il popolare Gone Home, premiato perfino da alcuni come miglior titolo indie dello scorso anno, ha ad esempio diviso come pochi altri l'utenza in virtù di un gameplay limitato o a detta di molti totalmente assente, in cui la storia raccontata aveva precedenza assoluta.

Far vivere la storia in prima persona al giocatore piuttosto che narrargliela direttamente, d'altronde, limita l'esperienza a binari predefiniti che di fatto tarpano le ali alle possibilità di scelta e interazione. O forse no.

Vagabond Dog ha provato a battere proprio questa strada con Always Sometimes Monsters, un'avventura in stile spiccatamente retrò che a primo impatto richiama alla mente i GDR dell'era 16-bit.

Alcune situazioni possono essere risolte molto facilmente prendendo certe decisioni, ma le scorciatoie richiedono spesso azioni dalla dubbia morale.

Il minimalismo grafico, come appare evidente da un primo sguardo alle immagini, è assoluto e sembra imputabile tanto a limiti tecnici che di budget più che a scelte stilistiche particolari, ma sotto questa patina di semplicità si nasconde più di quanto si possa pensare.

"Una volta tanto non siamo alle prese con degli eroi, ma con persone con normali ambizioni e difetti"

Prima di addentrarci oltre nella disamina, è giusto soffermarci sulla premessa alla base di Always Sometimes Monsters. Una volta tanto non siamo alle prese con eroi o persone particolarmente dotate o affermate: il protagonista che andremo a scegliere (insieme al suo partner, che potrà essere anche dello stesso sesso) nella breve introduzione giocata è sì un giovane di belle speranze alle prese con quella che sembra la svolta risolutiva della sua carriera, ma è prima di tutto una comunissima persona, dotata di ambizioni e difetti, che un anno dopo gli eventi del prologo si troverà in condizioni miserevoli.

Separati dal partner per motivi che scopriremo, o meglio decideremo, in seguito, sull'orlo del fallimento professionale e in gravi difficoltà economiche, avremo a che fare con preoccupazioni molto mondane quali racimolare i soldi necessari a pagare l'affitto, e poco dopo a trovare un posto dove dormire, finendo rannicchiati in un angolo di strada in mancanza di meglio.

Dopo questa poco incoraggiante fase iniziale, potremo muoverci in un mini open-world in cui interagire con gli abitanti della città di turno, trovare lavoro per pagare finalmente i debiti dovuti e mettere qualcosa sotto i denti, e avere a che fare con problemi propri ma anche delle proprie cerchie di amici.

La selezione del proprio alter ego avviene nella sequenza iniziale, probabilmente l'unica situazione in cui le cose vanno a gonfie vele.

L'obiettivo finale viene ben presto svelato da una lettera che porta con sé la remota possibilità di rivedere il proprio partner, traguardo per cui avremo un numero di giorni contati in virtù di un evento ben preciso che lasceremo scoprire a chi di voi sceglierà di cimentarsi nel gioco.

"Non ci sono scelte giuste fino in fondo da fare e non è mai possibile accontentare tutti"

Ogni giorno è diviso in varie fasi che impediscono di compiere tutte le azioni possibili. All'inizio dovremo ad esempio optare tra il lavoro in un locale notturno per rimpinguare il portafogli e l'invito a cena di una gentile vicina, e le possiblità si moltiplicano andando avanti, così come le loro conseguenze che prima o poi, inevitabilmente, si presenteranno in forme spesso anche inaspettate.

L'atmosfera che pervade Always Sometimes Monsters è del tutto particolare, almeno per un videogioco: non ci sono condotte giuste fino in fondo da seguire e non è mai possibile accontentare tutti. Vagabond Dog ha voluto raccontare uno stralcio di vita in maniera cinica ma credibile, mettendoci continuamente di fronte alle normali debolezze umane.

Cosa fareste se per aiutare un amico doveste ricattare una persona? Approfittereste della fiducia di qualcuno per sottrargli qualcosa in nome delle vostre necessità impellenti? Prendere una determinata decisione può anche sembrare facile sul momento, ma più si gioca più si scopre che ogni azione ha, a differenza che in altri giochi, ripercussioni più plausibili e intrecciate tra di loro.

Il trailer di lancio di Always Sometimes Monsters.Guarda su YouTube

Nel tentativo di sbarcare il lunario e arrivare all'obiettivo si inizia a entrare negli ingranaggi di ipocrisia e sfruttamento che a volte regolano i rapporti umani, e spesso anche a rimanerci schiacciati in mezzo. Durante alcuni playthrough sono rimasto genuinamente sorpreso dall'esitazione provata di fronte a due possibilità ugualmente discutibili, finendo sempre con il chiedermi, anche a posteriori, se l'alternativa fosse migliore.

"Ogni comportamento ha ripercussioni anche a lungo termine che prima o poi si presenteranno a chiedere il conto"

In Always Sometimes Monsters, insomma, non ci sono bianchi e neri ben definiti tra cui scegliere, ma un'apparentemente immensa scala di grigi che definiscono i compromessi con cui bisogna prima o poi scendere a patti. A dispetto dell'aspetto grafico, le situazioni violente non mancano e vengono rese bene dai pochi pixel sullo schermo.

Il gameplay, in tutto questo, non è interamente sacrificato come in altri titoli che mettono in primo piano la componente narrativa. Nulla che possa restare negli annali dei videogiochi, più che altro esplorazione e interazione con gli NPC delle città in cui ci porterà il nostro viaggio.

Ci sono anche sezioni prettamente ludiche, che però consistono spesso in puzzle o piccoli compiti ripetitivi che, pur trasmettendo perfettamente l'atmosfera di cupa determinazione (e perché no, disperazione) in cui arranca il nostro alter ego, non possono dirsi sempre impegnativi o divertenti, seppure risultino perfettamente indicativi di una vita prossima allo sbando.

Spesso dovremo giocare sezioni del nostro passato che rivivremo in sogno, e che influenzeranno le pieghe della trama.

Il grosso della sfida e del divertimento sta nel fare del proprio meglio ed esercitare un po' di pensiero parallelo per cavarsi d'impiccio, fermo restando che non ci sono decisioni più giuste di altre da scovare... semplicemente scelte da fare, che con le loro numerose diramazioni aprono la strada anche a un buon livello di rigiocabilità. In parole povere, il gioco è semplice e non vi metterà di fronte ostacoli per impedirvi di proseguire... l'importante è come vorrete proseguire.

"Riesce a calare il giocatore in un intrico di scelte e conseguenze morali senza risultare troppo pretenzioso"

Nonostante questo, una volta entrato in sintonia con la filosofia alla base di Always Sometimes Monsters, ho veramente faticato a staccarmene anche in prossimità dell'obiettivo finale, quando le cose cominciano leggermente a trascinarsi.

Non siamo certo di fronte a un gioco che rivoluzionerà gli standard audiovisivi di quest'epoca (non avrebbe avuto speranze di farlo neanche 15 anni fa), ma mai come questa volta sotto l'aspetto si nasconde un connubio di narrativa e gameplay molto più valido di quello di titoli maggiormente blasonati o con seguiti maggiori.

C'è da dire che l'unione dei due elementi non è perfetta, e che il finale dà per scontate alcune cose al fine di mettere insieme i tasselli finali del mosaico. Allo stesso modo, alcuni risvolti sembreranno forzati e non sempre dettati logicamente da quanto accaduto in precedenza, ma si tratta di occasionali difetti e normali limiti di una formula generalmente convincente. I dialoghi sono inoltre preponderanti, e il ritmo in generale abbastanza lento non farà presa su chi preferisce il lato action del mondo videoludico.

Il rapporto tra scelte e conseguenze è molto vasto, e può portare in situazioni e ambienti molto diversi da un playthrough all'altro.

Presumibilmente non a tutti piacerà giocare uno scenario così svantaggiato in partenza senza la prospettiva di raggiungere al meglio tutti gli obiettivi prefissati, ma il fascino del gioco sta proprio in questo e l'epilogo in sé è comunque meno importante del viaggio, che riesce a calare il giocatore in un intrico di dilemmi e conseguenze morali senza risultare troppo pretenzioso.

Anche se alla fine è difficile che qualcuno riesca a trovare un finale perfetto o anche solo soddisfacente, trovarsi a esercitare compassione, cinismo, pietà, sadismo, o qualsiasi altra tendenza che scoprirete nel vostro io in determinate situazioni, ha decisamente un suo inaspettato, quanto magnetico, fascino.

Alla fine dell'avventura avrete probabilmente finito con il deludere qualcuno, ingannare qualcun altro, e giustificare azioni che in altre condizioni avreste bollato come assolutamente vili nascondendovi dietro la scusa di aver scelto il male minore. Il testamento migliore al lavoro svolto da Vagabond Dog è che, in tutto questo, ci si ritrova (spesso involontariamente) ad agire, gioire e sperimentare rimorso come se le vite di quei pugni di pixel fossero veramente in gioco.

8 / 10