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Outlast 2 - recensione

Un terribile incubo ad occhi aperti.

Instillare il puro terrore in una persona attraverso un videogioco non è impresa da poco. Molti titoli nel corso degli anni hanno basato la loro formula su questa particolare emozione, alcuni con successo, altri un po' meno. I ragazzi di Red Barrels, già con il primo Outlast, avevano gettato ottime basi, confezionando un titolo in cui il protagonista era totalmente inerme. L'idea di giocare nei panni di un uomo normale, senza alcuna abilità combattiva e a tratti anche un po' codardo, generava una sensazione di opprimente impotenza dal grande impatto. State pronti quindi, perché questo secondo capitolo promette di farvi diventare protagonisti di un incubo raccapricciante, in cui ogni passo potrebbe essere l'ultimo.

Blake Langermann è un cameraman d'assalto, assistente e marito di Lynn, una giornalista investigativa senza peli sulla lingua. I due stanno viaggiando a bordo di un elicottero alla volta di una cittadina dell'Arizona in cui pare abbia avuto luogo l'efferato omicidio di una donna incinta. Ad un tratto un motore si guasta e a nulla servono gli sforzi del pilota, col velivolo che precipita nel bel mezzo del nulla. Dopo essere rinvenuto, malconcio e ricoperto di fango e sangue, Blake si mette immediatamente alla ricerca della moglie. Le lamiere contorte dell'elicottero sono poco distanti, avvolte dalle fiamme, ma non c'è alcuna traccia di superstiti in giro.

Al povero cameraman servono solo pochi passi per ritrovare il corpo del pilota, orribilmente mutilato e crocefisso ad un palo di legno. Chi potrebbe mai essere capace di tanta efferatezza? Che fine ha fatto Lynn? Sarà ancora viva? Queste potrebbero essere alcune delle domande che passano nella sconvolta mente di Blake, mentre muove i sui primi passi sul sentiero che lo condurrà nel cuore di un incubo oscuro, un inferno sulla terra fatto di perversione e blasfemia.

La chiesa che si vede in lontananza è uno dei primi luoghi che dovremo raggiungere.

I fatti narrati in Outlast 2 si ispirano alla tragedia conosciuta come "Il Massacro di Jonestown", slegandosi completamente da quanto visto nel primo capitolo. Il protagonista è alla disperata ricerca di sua moglie ma al contempo braccato da alcuni fanatici religiosi preda di una follia collettiva. A capo di questa comunità di squilibrati con la passione per il massacro vi è l'oscura figura di Papa Knoth, un leader che esercita il suo potere attraverso empi riti di indicibile perversione. La trama, a tratti fumosa, viene approfondita attraverso alcuni documenti che si trovano in giro, nella maggior parte dei casi lettere o porzioni di brani di testi sacrileghi.

Blake è un cameraman, un uomo qualunque, inesperto nel combattimento e senza abilità fisiche di rilievo. Ciò che è in grado di fare è correre (nemmeno troppo a lungo) e accucciarsi o mettersi prono, in modo da raggiungere e rintanarsi in qualsiasi anfratto che gli consenta di sfuggire alla vista dei sui implacabili inseguitori. Le armi da fuoco non sono contemplate e il protagonista si rivela inabile all'attacco anche nelle situazioni di sopravvivenza più estrema, in cui l'istinto dovrebbe prendere il sopravvento.

Che sia all'interno di un tronco marcio, dentro un barile rugginoso o nelle accoglienti tenebre offerte dai lunghi steli delle spighe di grano, la cosa migliore che possiamo fare è acquattarci in silenzio mentre il cuore rimbomba nelle nostre orecchie e scandisce il lento incedere dei secondi, mentre preghiamo che gli inseguitori passino oltre.

La gestione dell'inventario, estremamente essenziale, avviene attraverso questo pratico espediente.

I folli adepti di Knoth e le altre entità maligne che fanno di tutto per epurare la nostra "eresia" non sono gli unici nemici che con cui fare i conti. L'oscurità, se da un lato può aiutarci a far perdere le nostre tracce, dall'altro rende ostico il nostro incedere. Il buio è una costante durante l'avventura e l'unico strumento che abbiamo per contrastarlo è la nostra telecamera. Il filtro ad infrarossi infatti permette di muoverci nell'oscurità con relativa disinvoltura, a patto di avere con noi una batteria di scorta pronta nel momento in cui quella vecchia sarà ormai esausta.

Il nostro fedele strumento di ripresa ha anche un microfono integrato, che possiamo rivolgere nelle varie direzioni per cercare di capire dove sia possibile muoverci senza rischiare di incappare in qualche invasato armato di machete. Più strumenti teniamo accesi e maggiore sarà il consumo della batteria, per cui conviene dosare l'utilizzo di infrarossi e microfono in modo da non rischiare di rimanere immersi nel buio più totale, circondati solo dai suoni gutturali emessi dai nostri carnefici.

La videocamera, oltre che alle funzioni sopra descritte, è utile anche per riprendere alcune scene importanti. Il materiale girato, arricchito dalla descrizione fatta a voce da Blake, valorizza la narrazione e contribuisce a gettare un po' di luce sull'impenetrabile oscurità che avvolge l'intera vicenda.

I bui corridoi della scuola spesso nascondono più insidie del villaggio dei fanatici religiosi.

Se da un lato tutto sembra girare attorno ai fanatici religiosi e alle loro perverse abitudini, la realtà nasconde verità ben più oscure. Durante l'incedere attraverso cupi villaggi fatiscenti, sotterranei ricolmi di indicibili orrori e campi coltivati in cui sono state mietute più anime che spighe, capita di trovarsi nei corridoi di una scuola. Senza motivo, senza spiegazione, precipitiamo da un incubo all'altro, diversi ma entrambi ugualmente terrificanti. I flashback riguardanti l'istruzione cattolica del protagonista e la prematura scomparsa della sua compagna Jessica sono legati indissolubilmente agli eventi che hanno luogo e contribuiscono a delineare alcuni interessanti retroscena.

Analizzando l'opera dal punto di vista tecnico possiamo ritenerci più che soddisfatti, anche se più dal lato sonoro che da quello della conta poligonale. Giocato al buio e con un paio di cuffie, Outlast 2 fornisce un'esperienza agghiacciante (in senso buono), in cui ad ogni passo si percepisce distintamente l'alito gelido della morte sul collo. Gli sviluppatori hanno limitato al minimo gli ormai abusati jumpscare, sfruttando invece le atmosfere e il gameplay per generare un senso di opprimente impotenza, un terrore puro e costante capace di mantenere la tensione alle stelle per la maggior parte del tempo.

Il titolo eccelle per quanto concerne il comparto artistico, potendo contare su ambientazioni angoscianti in cui aleggia costante un sentore di marcescente corruzione. Le luci, al lavoro insieme alla nebbia e al pulviscolo, generano scorci la cui indubbia bellezza è costantemente piagata dall'immonda presenza di idoli blasfemi o di cadaveri in evidente stato di decomposizione. Oltre che sul piano narrativo, infatti, anche la struttura dei livelli di questo capitolo si differenzia dal predecessore, abbandonando gli ambienti chiusi e claustrofobici del manicomio in favore di molti più scenari a cielo aperto.

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L'unica critica che ci sentiamo di muovere ad una produzione di indubbio valore riguarda le sequenze di fuga scriptate. Durante queste ultime capita infatti di morire troppe volte prima di capire esattamente che strada imboccare: la dipartita, ripetuta così tante volte in così poco tempo, spezza un po' la tensione ricordando al giocatore che si trova comodo sulla propria poltrona con un pad in mano, e non braccato da un branco di bigotti psicopatici.

A conti fatti Outlast 2 rimane uno dei migliori survival horror in circolazione, capace con le sue atmosfere e il suo grado di tensione sempre elevato, di sopperire alla mancanza di qualsivoglia arma da fuoco. La sua formula resta pressoché invariata rispetto al predecessore, rimanendo godibile dagli estimatori del genere senza però innovare in alcun aspetto se non da quello delle ambientazioni. Se siete appassionati di horror, non lasciatevelo scappare.

8 / 10