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Lost Sphear (Switch) - recensione

Il gioco di ruolo di Tokyo RPG Factory al debutto sulla console di Nintendo.

Dopo il bellissimo I Am Setsuna era inevitabile chiedere il bis, pretendere un RPG che si dimostrasse degno, all'altezza delle aspettative che Tokyo RPG Factory aveva alimentato negli appassionati del genere, ora che finalmente avevano messo le mani su un prodotto tanto retrò al punto da ricordare addirittura Chrono Trigger, quanto mai a suo agio in una contemporaneità già affollata da congeneri del calibro di Persona 5 e Final Fantasy XV.

Del resto, non è difficile fare breccia nei cuori di un pubblico composto in larga parte da inguaribili nostalgici che sospirano amaramente al ricordo dei bei tempi andati, coccolati come sono tra remake, riedizioni in alta definizione e prodotti culturali che, in un modo o nell'altro, recuperano vecchi stilemi opportunamente riadattati. Alla "generazione Stranger Things", insomma, non serve chissà che per emozionarsi. Basta un comparto grafico-sonoro che rimandi ad altri tempi, una trama classica quanto basta, meccaniche familiari agli irriducibili. I Am Setsuna era tutto questo e molto altro, un prodotto solidissimo, convincente, perfino sorprendente.

Con Lost Sphear, purtroppo, le cose non sono andate altrettanto bene, nonostante anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un gioco che sa divertire e far appassionare, profondo al punto giusto. A deludere, guarda caso, sono proprio art design e trama. A tratti raffazzonato e poco attento al dettaglio il primo, nonostante non manchino scenari affascinanti, la storia non è graffiante come ci si sarebbe aspettati. Laddove il prequel spirituale emanava dolce malinconia da ogni poro, l'epopea di Kanata e compagni non riesce mai a creare la giusta dose di empatia.

Durante gli spostamenti sulla mappa, il party avrà la possibilità di scambiare quattro chiacchiere in qualsiasi motivo. Questi dialoghi sono spesso utilissimi per ricordarsi quale sia l'obiettivo della missione.

L'espediente narrativo, per certi versi, è simile a quello utilizzato ne La Storia Infinita. Al posto del Nulla, non-luogo in cui viene lentamente e progressivamente inghiottito il Regno di Fantasia, c'è una fitta e impenetrabile nebbia bianca, opprimente foschia che ha spazzato via Elgarthe, villaggio natio del trio di protagonisti, per poi estendersi in altre zone del mondo.

È una calamità che sulle prime non ha nome, ma di cui se ne intuisce presto la causa. La memoria gioca un ruolo tutt'altro che secondario nell'effettiva esistenza e persistenza di luoghi, eventi, persone. Dimenticare, scoprirà presto Kanata, significa distruggere, eliminare, cancellare. Non per sempre, fortunatamente, dal momento che il nostro indomito eroe ha il portentoso dono di riportare indietro ciò che è andato perduto, dando fisicità tangibile ai ricordi, con cui può interagire fisicamente ogniqualvolta riesce a raggiungere la dimensione in cui si accumulano.

Si tratta di un viaggio, fisico e metafisico, sulla carta intrigante, ammaliante, carico di suggestioni. Purtroppo, all'atto pratico, la sceneggiatura si rivela inaspettatamente fiacca, appesantite da fin troppe linee di dialogo che diluiscono l'azione e rendono ridondante l'esternazione di qualsiasi sentimento ed emozione.

La mappa del mondo è molto dettagliata e non mancano diversi elementi con cui si può interagire.

Kanata e il manipolo di intrepidi al seguito non lesinano su conversazioni riuscite e taglienti, ma si tratta di brevi e rari lampi che schiariscono solo parzialmente un arco narrativo largamente prevedibile e in diverse parti perfino noioso. Va meglio il gameplay, che pesca a piene mani dalla tradizione del genere, non dimenticandosi di integrarla con feature e meccaniche che donano brio e carattere ad ogni combattimento. Ogni scontro, che inizierà dopo essere entrati in contatto con l'avatar dei nemici, per quanto ancorato e regolato dall'alternanza dei turni, permette ai personaggi di muoversi liberamente per il campo di battaglia, in cerca della posizione migliore da cui attaccare o di quella che permette di eludere le offensive nemiche.

Tornano, immutati rispetto a I Am Setsuna, gli Spritnite su cui si basa tutto il sistema di abilità e combo che garantisce enorme profondità ai combattimenti, permettendo la concatenazione degli attacchi in base all'utilizzo di questa feature. Non bisogna poi dimenticare il Momentum, che rende più efficace ogni mossa premendo con il giusto tempismo il pulsante richiesto e, soprattutto, la presenza dei Vulcosuit, mech d'assalto estremamente utili sia nell'esplorazione di aree altrimenti inaccessibili, sia in battaglia, dove ovviamente faranno valere le loro statistiche di tutto rispetto. Il combat system, insomma, è vario e vivace al punto giusto, garantendo ai neofiti di limitarsi ad attacchi base e magie per avere la meglio sugli avversari, ma permettendo agli utenti più navigati di sbizzarrirsi alla grande, dando sfogo alle loro ambizioni tattiche.

Alcuni scontri scontro i boss sono davvero riuscitissimi soprattutto sul piano del ritmo.

Lost Sphear, tirando le somme, è un buon RPG penalizzato da una storia non all'altezza della situazione. Inutilmente ripetitiva ed eccessivamente pesante, la sceneggiatura annega nelle sue stesse ambizioni, mancando in pieno l'obiettivo di riproporre le atmosfere e il feeling apprezzato e amato in I Am Setsuna. Questa versione per Nintendo Switch, al contrario di quella proposta su sistemi casalinghi, beneficia enormemente dei vantaggi offerti dalla portabilità. Diluita in brevi sessioni, la trama diventa più digeribile, mentre ci si gode maggiormente i combattimenti e le fasi di gestione dei personaggi.

La creatura di Tokyo RPG Factory non riesce a bissare il successo di I Am Setsuna, ma non sfigura affatto come gioco di ruolo vecchio stampo. Non un capolavoro del genere, quanto un buon rappresentante impreziosito da un intrigante e profondo combat system.

7 / 10

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Lost Sphear

PS4, PC, Nintendo Switch

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Lorenzo Fazio

Contributor

Lorenzo Fazio non ha mai smesso di giocare sin dai tempi del Master System. Ha così cercato di unire l’utile al dilettevole, inventandosi giornalista videoludico. Qualcuno ci è cascato: scrive per importanti testate del settore da quasi una decina di anni.

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