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6 Underground - recensione

Spara, scappa, salta, ama, esplodi.

Quando muori, svanisci, al massimo diventi un fantasma. E così si fanno chiamare i componenti di un gruppetto di Giustizieri, radunati intorno a un super-miliardario deluso dalle risposte della politica e della tecnologia ai mali del mondo. Che vengono individuati in una serie di personaggi, che stanno devastando diverse nazioni e che sarebbe bene spazzare via dalla faccia della Terra. Il primo della lista è un satrapo mediorientale che si diverte ad annaffiare di Sarin i poveri profughi in fuga dal suo regime.

I Nostri si chiamano con dei numeri, da Uno (il capo) a Sei, che diventa Sette per la morte di uno di loro nella prima missione. I quattro uomini e le due donne infatti sono stati messi insieme da poco, dopo carriere in campi assai diversi, e non tutto fila sempre liscio. Anche nella seconda missione infatti, che si concluderà in un paese che finisce per "tan" passando per Hong Kong, ci saranno degli incidenti di percorso che però aiuteranno il gruppo a trovare una sua coesione, a diventare "famiglia" (come obbligatoriamente dovrebbe diventare ogni Wild Bunch che si rispetti), finendo per chiamarsi per nome e non più per numero.

Cose che esplodono a caso.

La sceneggiatura di Rhett Reese e Paul Wernick (gente brillante, insieme hanno fatto Zombieland e Deadpool), nonostante la velocità dell'azione e il minimo spazio dato ai dialoghi, caratterizza i personaggi meglio che in altri film similari (viene in mente un altro prodotto Netflix, il film Triple Frontier), grazie a quasi subliminali accenni inseriti nel corso delle azioni più frenetiche. La storia potrà far ridere per la elementarità da cartone animato della trama (morto un tiranno non se ne fa un altro?), ma noi non siamo lì per la trama. Noi spettatori aspettiamo solo che i Giustizieri si avventino sul bersaglio, dispiegando tutta la loro forza d'urto, il resto è marginale.

6 Underground (che sono i nostri sei personaggi ma vengono in mente anche i six feet under della sepoltura) sarà distribuito da Netflix dal 13 novembre, ma è un film degno di grande sala, di grandissimo schermo e di impianto audio di qualità, è un film da più di 130 milioni di dollari, in cui Michael Bay si dispiega al meglio del suo noto stile, detto "Bayhem", alzando l'asticella dell'action e viene da chiedersi ogni volta come si farà meglio. Qui resterà memorabile tuta la sequenza d'apertura sull'inseguimento a Firenze (con spruzzata di Siena), peccato assai spoilerata negli spot dell'Alfa oltre che nei trailer e nei filmati distribuiti su YouTube, in cui il montaggio deve essere settato su nanosecondi. In questo senso davvero sembra un peccato fruire del film solo su piccolo o piccolissimo schermo, data la grandiosità distruttrice di tutte le scene d'azione e sprecata va anche la fragorosa colonna sonora (musiche di Lorne Balfe), che è in Dolby Atmos, e contribuisce al divertimento complessivo fra rumori (fragori) di scena e canzoni, fra cui si segnala una versione in stile "unz unz" dei Carmina Burana.

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Macchine si schiantano, esplodendo in volo, frantumandosi nei ribaltamenti, cadaveri fioccano a destra e a manca, ammazzati nei modi più vari, sparati, pugnalati, schiantati (nel film si muore non disneyanamente, ma con sanguinolenti, gustosi dettagli), esplodono con scenografiche fontane di scintille anche materiali altrimenti inerti, esseri umani escono ancora vivi da situazioni che avrebbero incrinato Robocop. È Michael Bay, bellezza. Ma con una novità. Quando uno ha già distrutto mezzo mondo, sbriciolato città, messo in scena l'azione più iperbolica, facendo esplodere di tutto, mettendo in scena le sparatorie più devastanti, gli eroi più eroici, capaci di risolvere le situazioni più incredibili, cosa può ancora dare allo spettatore ormai drogato, che vuole roba sempre più forte? Michael-il distruttore-Bay ci dà la sua risposta, due ore e sette minuti di adrenalina da far scoppiare le arterie, immersi però nelle location più glamour che di più non si può. E, sorpresa, non sono solo i scintillanti avvenirismi degli Emirati Arabi o di Hong Kong, perché questa volta l'action si trasferisce anche nella vecchia Europa, nelle città d'arte più antiche e famose, le nostre Firenze, Roma, Tranto (il porto).

Salta all'occhio infatti la scelta di luoghi dalle architetture fascinose, dai panorami davvero mozzafiato, con i grattacieli dalle architetture più audaci, mischiando però questa volta il più moderno al più antico, arrivando perfino ad ambientare sequenze alla Assassin's Creed sul Duomo di Firenze, massacri automobilistici lungo la viabilità medievale, giocando nel contrasto fra l'immota eleganza delle storiche location e il fragore distruttivo degli "invasori" sulle quattro gloriose ruote di una clamorosa Alfa. Succedono cose sul Lungarno che voi umani... (non per nulla il trailer più spassoso è questo).

Bunch of Friends.

Inoltre l'eroe principale non è il solito malinconico ex qualcosa (Marine, Corpo speciale e via dicendo), non è un uomo arrivato alla fine di se stesso, è un giovane spiritoso, tanto da sembrare talvolta non all'altezza del suo compito (ma si intuisce che il suo background ci verrà svelato in un film seguente). Vincente l'idea di affidare il ruolo di Uno a Ryan Reynolds che ormai ha trovato la sua chiave di recitazione in personaggi mai tutti d'un pezzo, un mix fra l'agente CIA della serie Fast & Furious (adesso trasmigrato in Hobbs & Shaw), quello più serio di Safe House e quello fuori di testa di Come ti ammazzo il Bodyguard. Ben scelto anche il resto della numerazione: Due è la bella e delicata Mélanie Laurent, che qui è bellissima ma per niente delicata; Tre è l'ex killer messicano, un po' smargiasso ma dal cuore d'oro di Manuel Garcia-Rulfo; Quattro è Ben Hardy, l'ex ladro di gioielli, il ragazzo volante del parkour; Cinque è la bella Adria Arjona, che poco racconta di sé e svolge funzioni da medico sul campo di battaglia; Sei è l'autista acrobatico Dave Franco; Sette Corey Hawkins, l'ex cecchino deluso dai suoi superiori, che non lascerà mai più un suo uomo indietro. Tutti fedeli no matter what, degli "expendables" ben decisi a votare la loro esistenza a "To Protect and to Serve" l'umanità intera.

Michael Bay è un uomo che privilegia l'azione con macchine da presa in costante movimento, montaggio frenetico ed effetti speciali esplosivi (in ogni senso) ed è nota la sua parsimonia nei confronti della CG, cui preferisce le scene dal vivo con stuntmen. E si nota, sempre. Da Bad Boys del '95 passando per The Rock, Armageddon, Pearl Harbor, Bay è arrivato alla saga dei Transformers, concedendosi qualche digressione con film come The Island, 13 Hours e il misconosciuto Pain & Gain, mai all'altezza però degli incassi dei suoi film più "tamarri". Visti con lo spirito giusto, sono film che davvero distraggono, che divertono, travolgono, film "Wow" insomma, dove ogni legge fisica viene elegantemente bypassata e l'invulnerabilità dei Buoni è (quasi sempre) scontata. 6 Underground si chiude con una frase che aggiorna allo stile Bayhem il famoso verso dei Pink Floyd. "In silenzio camminiamo da soli, insieme possiamo cambiare le cose, molto rumorosamente".