Se clicchi sul link ed completi l'acquisto potremmo ricevere una commissione. Leggi la nostra policy editoriale.

A tu per tu con Yu Suzuki - intervista

Out Run, Hang-On e tutti gli altri: esploriamo il magico mondo della leggenda dei racing game made in Sega.

Anche durante gli anni della sua massima notorietà, i gloriosi anni '80 di Sega, Yu Suzuki è sempre stato un outsider. Restio a rispettare gli standard d'ingresso mattutini dell'azienda, fissati insindacabilmente per le 8:30, Suzuki spostò il suo team in un locale affittato nelle prossimità degli uffici centrali, così da poter mantenere i propri orari. I colleghi di Sega scherzavano sul fatto che il gruppo di Suzuki - definito AM2 - fosse nato proprio perché l'unico momento in cui tutti erano presenti contemporaneamente erano le due di pomeriggio.

Ho conosciuto Suzuki all'inizio dell'anno scorso, ossia in un momento in cui era ancora di più un outsider nei confronti di un'industria che eppure ha contribuito così fortemente a creare. Il tempo trascorso insieme è stato poco (credo che il tempo trascorso in compagnia di personaggi così importanti non sia mai sufficiente a rendere loro onore) e occasionalmente disseminato di difficoltà: l'intervista è stata tradotta dalla sua figlia maggiore e assistente personale, Nanami, che sta imparando l'Inglese a seguito del suo incoraggiamento.

Yu Suzuki ha già parlato abbondantemente della sua creazione più adorata, Shenmue, e ha detto tutto il possibile riguardo il tanto richiesto terzo capitolo della saga, quindi abbiamo voluto incentrare questa conversazione sul suo lavoro svolto nell'ambito dei titoli di guida e sulla sua filosofia di design, che ho sempre ritenuto semplice e brillante al tempo stesso: dai controlli a tre tasti di Virtua Fighter fino all'esperienza immediata ed enormemente piacevole di guidare una Ferrari rosso fuoco lungo i percorsi a più bivi di Out Run.

Si tratta di una filosofia nata dalla modestia dello stesso Suzuki, che è consapevole dell'impatto da lui rivestito sul mondo dei videogiochi e dunque su tutti noi, ma spesso appare quasi imbarazzato da tutta l'adulazione che gli viene rivolta. I suoi giochi non hanno artefatti o complicazioni: sono solo il prodotto dell'ingegno, del perfezionismo e di un designer a cui è dato modo di indulgere liberamente nelle sue passioni personali.

La recente conversione di Out Run è un nuovo classico: l'unica cosa alterata, per comprensibili questioni di licenza, è il cavallino rampante sulla targa posteriore.

"Il motivo per il quale ho cominciato a creare giochi è che ero stato assunto da un'azienda che fa giochi", dice Suzuki, addolcendo la durezza della sua affermazione con un sorriso che illumina la stanza. "È semplicemente così! Non avevo mai pensato di fare il game designer. Sono entrato a far parte di un'azienda che faceva giochi. Di solito, non gioco ai videogame. Nemmeno a quelli di guida, m'interessano molto di più le auto vere. È per questo che ho deciso di fare quel genere di giochi.

"Da studente stavo cercando una buona azienda, una che mi garantisse un buon futuro e le aziende di software sembravano interessanti. I giochi in sé non sono così importanti per me. Mi interessavano Sega, Fujitsu... aziende d'informatica, non necessariamente di videogame. Le ho visitate tutte ma tra tutte quante, è in Sega che ho trovato le persone più interessanti."

Suzuki è entrato a far parte di Sega nel 1983. Il suo primo progetto, Champion Boxing, era un semplice arcade che sarebbe uscito anche sull'SG-1000, la prima console domestica di Sega. Sono i suoi progetti successivi quelli che gli avrebbero dato la possibilità d'impiegare le conoscenze acquisite studiando programmazione alla Okayama University of Science. "Sin dall'inizio ho voluto creare un gioco 3D", dice. "All'università ho studiato come realizzare una casa in 3D. Quindi è naturale che, una volta in Sega, volessi sviluppare titoli in 3D."

La tecnologia 3D non era così diffusa a metà degli anni '80, quindi Sega e Suzuki dovettero trovare un modo per "fingere" l'effetto 3D. Il Super Scaler engine, che costituiva un'estensione del sistema VCO Object impiegato nel poco noto ma molto influente Buck Rogers: Planet of Zoom, fece il suo impressionante debutto nel 1985 con Hang-On. Il design di Suzuki per il gioco era stato concepito in 3D e poi adottato alle due dimensioni con un'opera di reverse engineering. Il primo gioco che diede a Suzuki la notorietà pubblica, dunque, fu anche quello che gli consentì di esplorare le sue passioni.

"Adoro le moto. Soprattutto quelle da off-road: motocross, enduro, Parigi-Dakar. Ma all'epoca stavo facendo ricerche sulle moto da corsa, sul perché sono popolari. Il risultato fu la moto di Hang-On."

Durante le ricerche di Yu Suzuki, il mondo delle corse motociclistiche era scosso da Freddie Spencer, un pilota della Louisiana che nel 1983, all'età di 21 anni, divenne la persona più giovane a vincere un campionato mondiale. Il record fu infranto da Marc Marquez un paio di anni fa: entrambi i piloti condividono uno stile "a gomiti rasoterra" capace d'impressionare molto i fan.

Suzuki è entrato nella games industry per caso.

"Lo stile di guida di Freddie Spencer era fantastico, dice Suzuki. Il mio gioco voleva omaggiarlo. È per questo che ho voluto farlo: Freddie Spencer guidava una Honda e io semplicemente amavo il modo in cui stava aggrappato al manubrio [in inglese: "hang on", Ndr]!"

Hang-On resta a tutt'oggi una meraviglia di tecnica: la sua sensazione di velocità è impressionante ma quello che all'epoca realmente impressionò fu il cabinato. La versione base includeva un semplice manubrio, ma quella deluxe ospitava una replica di una moto da corsa 500cc, che consentiva ai giocatori di piegare in curva proprio come faceva Spencer nella vita vera.

"In quegli anni i cabinati da gioco erano molto più semplici. Integrare una moto era una novità e le novità sono buone dal punto di vista del mercato, commerciale. Quel cabinato fu il risultato di una buona pianificazione e della mia passione per Freddie Spencer. Volevo simulare il suo stile di guida e la sua moto.

Suzuki aveva piani ancora più grandiosi per il cabinato di Hang-On: inizialmente voleva includervi un giroscopio che simulasse l'accelerazione e la decelerazione che si sperimentano guidando una moto a forte velocità. Il concept fu scartato perché "incrementava troppo i costi", dice Suzuki. "A quei tempi il management di Sega disse che l'idea era sbagliata", ma poi la ripropose con l'incredibile cabinato R-360, una creazione gloriosa, capace di far ruotare il giocatore in loop spettacolari ma non privi di rischi. Durante il testing del cabinato, ricorda Suzuki, una volta un impiegato di Sega restò sospeso a testa in giù a causa di un guasto in un'unità non definitiva.

Il cabinato di Hang-On doveva includere un giroscopio che simulasse l'accelerazione e la decelerazione. Ma l'abbiamo amato anche così com'era.

Il gioco successivo di Suzuki e AM2 è probabilmente il loro più grande. Out Run, uscito alla fine del 1986, è ricordato per molte ragioni a partire dalla sua musica iconica, fino al suo status che aiutò a costruire l'immagine "cool" di Sega e, nel complesso, dei videogame degli anni '80. Il più grande successo, però, fu quello di dare forse per la prima volta al giocatore il piacere di guidare solamente per il gusto di farlo.

Una vera celebrazione della strada e delle sue curve, con l'asfalto che si snoda fino all'orizzonte mentre il vento soffia nei capelli e il sole si riflette sul parabrezza. Out Run è una lettera d'amore allo stesso concetto di automobile e di viaggio.

"La principale ispirazione originaria fu Cannonball Run" [La Corsa più Pazza d'America, Ndr], dice Suzuki. Un film americano sulle corse, molto divertente. Stavo per fare un viaggio simile, da Los Angeles a Miami, ma qualcuno mi disse che il panorama americano non cambia mai molto. Allora ho deciso di cambiare itinerario e di spostarmi in Europa. Partii da Francoforte, poi Monaco (non poteva mancare la città della F1!), poi la Svizzera e infine Roma."

Un viaggio simile è replicato in Out Run, che mostra scenari molto diversi, alternando campi di tulipani a resort marini e verdi distese collinari. Il viaggio compiuto nella vita vera da Suzuki, però, non fu altrettanto affascinante: lo fece guidando una BMW 520, una bella macchina ma ben lontana da quella che ci avrebbe emozionato così tanto nel videogame targato Sega.

"Ci vollero due settimane per completare il viaggio e il portabagagli era minuscolo", dice Suzuki. "La BMW aveva come velocità massima 200km/h, non particolarmente alta. Una Porsche o una Ferrari sarebbero state molto meglio!"

Nel corso del suo tragitto, Suzuki incontrò macchine molto più affascinanti. Durante una fermata a Monaco, le cui strade costituiscono spesso una vetrina per le supercar più moderne, vide una Testarossa, l'allora punta di diamante di Ferrari, che ospitava addirittura un motore a 12 cilindri. Il designer ne fu immediatamente sedotto e, una volta tornato in Giappone, decise che il suo gioco avrebbe dovuto avere una Ferrari. Gli ci vollero delle settimane per trovarne in Giappone un modello da fotografare e replicare.

Cover image for YouTube video
Il miglior concerto di sempre? Avremmo voluto esserci anche noi!

Out Run è un classico, un gioco che emoziona oggi esattamente come faceva quasi 30 anni fa, anche grazie alla nuova conversione per 3DS, ultima di una lunga serie di "restauri" compiuti con cura dagli sviluppatori di M2. La nuova versione completa anche una parte del lavoro lasciata incompiuta da Suzuki, che avrebbe sempre voluto offrire una selezione di auto diverse, feature gradualmente sbloccata nella nuova versione.

Anche giocando per la milionesima volta alla versione arcade originale, comunque, Out Run continua a sprizzare da ogni poro una magia che negli anni non è diminuita. La semplicità che è alla base del design di Yu Suzuki nasconde un nucleo più complesso: in Virtua Fighter erano le combo che si fondevano insieme creando fantastiche interconnessioni, mentre qui è un modello di guida che, nonostante la sua immediatezza, ha anche una certa profondità. Le gomme stridono al limite del loro grip prima di cedere completamente la presa sull'asfalto, e la possibilità di cambiare marcia sgasando e frenando di motore senza mai alzare il piede dall'acceleratore dà una soddisfazione che raramente abbiamo visto in altri titoli di guida.

Anche il "ritmo" di Out Run è senza tempo. Hiroshi Kawaguchi, vecchio e fidato collaboratore di Suzuki, è l'autore della famosissima colonna sonora che accompagna il gioco in maniera perfettamente evocativa. Ogni percorso è sottolineato da un tappeto di note che scorrono in crescendo e vibrano trasmettendo l'atmosfera giusta, un aspetto su cui lo stesso Suzuki ha subito voluto fare molta attenzione, suggerendo che il ritmo avrebbe dovuto accompagnare ogni singola curva.

Altrettanto importante, nella visione di Suzuki e nel suo design, è la tecnologia. I suoi lavori più amati uscirono in un periodo in cui il design del software andava di pari passo con quello dell'hardware e Suzuki spesso supervisionò entrambe le cose. Aiutò per esempio Sega a muovere i primi passi nel mondo del 3D con Virtua Fighter, una serie che nacque dalle animazioni degli addetti al pit-stop nel titolo precedente: Virtua Racing. Quanto è importante, dunque, la tecnologia nell'approccio al design di Yu Suzuki?

Suzuki possedeva una F355, che senza dubbio lo aiutò a creare il titolo arcade basato sul famoso modello di Ferrari dotato di motore V8.

"I giochi sono basati sulla tecnologia informatica e l'hardware diventa migliore di giorno in giorno: ho sempre dovuto tenere in considerazione questa rapida crescita. La cosa importante sono i miglioramenti nell'innovazione hardware e nel campo dei driver per il software. Credo che la chiave sia creare un gioco bilanciato."

Suzuki non ha mai realmente abbandonato il suo primo amore, ossia le automobili. Più in là nel corso della sua carriera lo ha convogliato nella creazione di F355 Challenge, una delle più pure espressioni di passione che il marchio Ferrari abbia mai generato. Un titolo mirato solamente a replicare alla perfezione le caratteristiche di un singolo modello di auto, anticipando di anni le moderne simulazioni di guida.

"Per F355, il concept era leggermente diverso", dice Suzuki. Credo che F355 non sia un gioco ma un sistema di simulazione. A quei tempi possedevo quell'auto, la F355, e avevo molti amici che gareggiavano in corse giapponesi. A volte andavo anche io, per imparare i circuiti. In quelle occasioni impostavo la telemetria per raccogliere dati, per esempio sulle frenate. È così che ho creato F355. In Ferrari lo gradirono molto e adesso ne conservano un cabinato nel museo Ferrari."

Mi chiedo se Yu Suzuki si sia mai fermato a riflettere sull'impatto che ha avuto sul genere e se gli capiti mai di mettersi al volante virtuale dei moderni giochi di guida.

"Mi piacciono le macchine vere, non i giochi! L'anno scorso, in Francia, ho guidato una Ferrari 458, una bellissima esperienza. Per me è la miglior Ferrari. Di solito non gioco ai videogame, lo faccio ogni tanto con la mia seconda figlia, a lei piacciono i puzzle game." A 30 anni di distanza dall'uscita di Hang-On, sembra che persino la sete di velocità di Yu Suzuki si sia ammorbidita. "Cinque anni fa avevo 6 moto: una Ducati, una Suzuki, una Hayabusa... Adesso ho solo uno scooter 50cc. Che passo indietro!"

Yu Suzuki rimane un outsider, a maggior ragione oggi che il suo ritmo di vita ha scalato marcia. Desidera ancora ardentemente concludere la saga di Shenmue, il lavoro della sua vita, ma anche se questo non dovesse mai succedere spero che potremo comunque giocare a breve un suo nuovo titolo, per tornare ad assaporare la semplicità del suo design e la leggerezza delle atmosfere che ispira. Ci sarebbero state ancora molte altre domande da porgli ma il tempo è scaduto prima che potessimo raggiungere il checkpoint successivo...

Sign in and unlock a world of features

Get access to commenting, newsletters, and more!

A proposito dell'autore
Avatar di Martin Robinson

Martin Robinson

Editor-in-chief

Martin is Eurogamer's editor-in-chief. He has a Gradius 2 arcade board and likes to play racing games with special boots and gloves on.

Commenti