Skip to main content
Se clicchi sul link ed completi l'acquisto potremmo ricevere una commissione. Leggi la nostra policy editoriale.

Medal of Honor: Warfighter - prova

Provata per voi la modalità multigiocatore.

"Autenticità e rispetto per i soldati". Questo il leit motiv di Medal of Honor: Warfighter, ultima incarnazione della ben nota saga Electronic Arts che, grazie ad un engine prodigioso come Frostbite 2 e ad un set di soldati a dir poco invidiabile cerca di proporsi come più di una semplice alternativa all'illustre compagno di squadra Battlefield 3.

La nostra visita odierna al booth tour di Electronic Arts ci ha permesso di provare, tastiera alla mano, un'interessante mappa multigiocatore dell'ultima fatica dei ragazzi di Danger Close, più che mai intenzionati a ributtarsi nella mischia con un prodotto solido e ben strutturato, non certo intenzionato a rivoluzionare i dettami di un genere di cui l'attuale ciclo di console non sembra essere mai sazio ma, piuttosto, desideroso di offrire un'esperienza schietta ed estremamente verosimile.

Fare il soldato non è mai un lavoro semplice. Specie quando diluvia.

Il primo passo di questo cammino verso il realismo è rappresentato dalla massiva presenza di forze militari a disposizione del giocatore, una dozzina di unità addestrate ed estremamente specializzate provenienti da tutto il mondo. La nostra demo odierna ci ha permesso di familiarizzare con sei delle dodici forze speciali disponibili nel codice finale del gioco, precisamente i GROM polacchi, i canadesi JTF2, i SASR australiani, i SAS britannici, i celeberrimi Navy Seal statunitensi e ultimi, ma non meno importanti, gli U.S. OGA.

Ciascuna di queste squadre d'elite è caratterizzata da "abilità" uniche e distintive, specifici punti di forza che possono dimostrarsi più o meno determinanti una volta scesi nel cuore della battaglia. I SASR, ad esempio, sono noti per la velocità nel compiere incursioni e per una precisione d'attacco invidiabile. Il soldato JTF2, invece, è più a proprio agio con l'artiglieria pesante, dimostrandosi tuttavia ideale anche nel fornire supporto ai propri compagni di squadra.

"Danger Close è intenzionata ad offrire un'esperienza schietta ed estremamente verosimile senza rivoluzionare il genere"

I Navy Seal sono degli infallibili cecchini capaci di mandare al tappeto un nemico a centinaia di metri di distanza anche nelle situazioni più caotiche, ricorrendo al letale mortaio quando la situazione inizia a precipitare rapidamente; i loro cugini OGA (anch'essi facenti parte del gruppo di forze speciali americane), grazie al faticoso addestramento, si muovono fulminei e silenziosi nel campo di battaglia, potendo far affidamento al supporto aereo per sbrogliare le matasse più delicate.

La potenza del Frostbite 2 viene sfruttata davvero a dovere in quest'ultima incarnazione del franchise.

La scelta di una specifica classe comporta delle significative variazioni di gameplay tanto nella modalità giocatore singolo quanto, e soprattutto, in quella multiplayer. Non solo per il set di armi, anch'esso fortemente legato alla classe di soldato prescelta nonostante sia possibile sbloccare numerosissimi gingilli ultra-tecnologici investendo sonanti dollaroni presso un apposito rivenditore.

Affrontare una specifica tipologia di missione o effettuare un raid silenzioso in un determinato territorio ostile, controllato da una certa tipologia di resistenza armata (come vedete, le possibili variabili di gioco tendono a crescere rapidamente) non sono certo operazioni militari da prendere così a cuor leggero: se l'obiettivo è quello di non assaggiar la polvere prematuramente, ricorrere alla classe di soldato più indicata è un tatticismo a dir poco fondamentale.

La nostra prova odierna, interamente multiplayer, ci ha inoltre permesso di approfondire una delle novità più interessanti svelate dagli sviluppatori, nella fattispecie il cosiddetto Fireteams.

Come ben potete immaginare, nella realtà "quotidiana" ogni soldato non è un eroe solitario che corre da una base nemica all'altra seminando morte e distruzione a suon di headshots ed esplosioni. Al contrario, ogni soldato è parte di un collettivo, di un gruppo che si regge interamente sul reciproco supporto e collaborazione costante.

Ecco perché Warfighter introduce nel suo comparto multiplayer il concetto di Fireteam: ogni giocatore, prima di iniziare il match, può decidere tra i commilitoni il suo "compagno designato", instaurando in questo modo un rapporto biunivoco di assistenza e collaborazione che potrà risparmiarlo da una lunga serie di spiacevoli respawn.

"In Fireteams, ogni giocatore può decidere tra i commilitoni il suo 'compagno designato', instaurando così un rapporto biunivoco di assistenza e collaborazione"

L'ultimo trailer di Medal of Honor: Warfighter mostrato all'E3 2012.

Il principio, concettualmente, è molto semplice: ogniqualvolta un giocatore cada vittima del fuoco nemico, questi potrà essere rianimato e riportato direttamente nel vivo della battaglia dal suo compagno di squadra. Quest'ultimo potrà disinteressarsi dell'attacco nemico e fiondarsi subito sul corpo del ferito, prima di finire anch'egli al tappeto, oppure affrontare a viso aperto i nemici presenti nell'area e, una volta bonificata, rianimare l'amico.

Tutto questo, in un'ottica di deathmatch (così come di altre modalità rigorosamente online) si traduce in un numero di decessi inferiore, trattandosi di una "rianimazione" in game e non più del classico respawn. E sapete benissimo quanto un semplice numero, quando si parla di classifica, possa fare la differenza.

Ma veniamo alla nostra prova sul campo, una sorta di dominio a tempo in cui due squadre si contendono il possesso di tre punti nevralgici della mappa, una zona costiera della Somalia orientale. Più una squadra resta "ancorata" all'hot spot, tanto maggiori sono i punti che ne ricava: chiaramente, la squadra vincitrice sarà quella che allo scadere del tempo avrà totalizzato il maggior numero di punti.

Preparatevi ad emozionanti combattimenti marini, con gingilli ultra-sofisticati e altrettanto letali.

Le meccaniche di questo sparatutto targato Danger Close non offrono particolari spunti d'innovazione. Si può correre (nella versione da noi provata, quella PC, basta premere una volta il tasto Shift per attivare la corsa), accucciarsi, strisciare al suolo ed effettuare degli zoom (se l'arma lo permette) per avere una mira migliore. Nulla di più elementare per un professionista dello sparatutto, ma allo stesso tempo funzionale e collaudato.

Bastano davvero pochi minuti per trovarsi a proprio agio col sistema di comando e sfrecciare tra una casupola e l'altra alla ricerca delle basi incriminate, magari ravvivando la situazione con qualche headshot ben assistito o coadiuvando il nostro partner nell'eliminazione di un avversario.

"Interessante la modalità visiva con cui rilevare per un breve lasso di tempo l'emissione termica di ogni soldato schierato"

Semplice ma efficace, conservatore ma immediato. Gran parte della fruibilità di questo Warfighter risiede proprio in questo, nella volontà degli sviluppatori di dar vita a qualcosa di pratico e funzionale che non cerchi di stravolgere le regole, ma che al contrario le implementi con ogni dovizia del caso.

Non mancano certo alcune piccole novità, come un interessante modalità visiva grazie alla quale possiamo rilevare per un breve lasso di tempo l'emissione termica di ogni soldato schierato - anche a parecchi metri di distanza con la sola pressione di un tasto. Drammaticamente utile per avere un'idea su dove i nostri nemici si stiano dislocando e per prevenire ogni eventuale attacco di gruppo.

Il SAS, il cecchino preferito di Sua Maestà la Regina d'Inghilterra.

Vale la pena spendere le ultime righe sul comparto tecnologico di Warfighter, che proprio grazie ai prodigi di Frostbite 2 si dimostra ineccepibile e visivamente appagante, specie nella sua revisione per personal computer. Le ottime animazioni dei personaggi, la cura minuziosa nella realizzazione delle armi, la credibile fisica di gioco e la realizzazione di ambientazioni molto ariose e curate nel dettaglio sono un invidiabile biglietto da visita per questo nuovo episodio di Medal of Honor, che - come abbiamo già anticipato - non sembra proprio essere intenzionato di rimanere all'ombra della saga di Battlefield ancora a lungo.

Non avendo avuto modo di provare la modalità single player, possiamo solo esprimere la nostra soddisfazione per questa piccola battaglia multigiocatore, che al termine dei 20 minuti di gara ha visto la nostra fazione ovviamente vincitrice (con il sottoscritto, nonostante la secolare incapacità di sopravvivere ad un match multi per più di 20 secondi, piazzatosi secondo all'interno del team nei panni di un soldato OGA: potere di mouse e tastiera!).

Nell'attesa di una prova approfondita della campagna principale, che non mancheremo di esporvi già dalle prossime settimane, vi consigliamo di tenere sotto stretta osservazione questa nuova IP Electronic Arts, prevista per il vecchio continente il prossimo 26 Ottobre.

I più critici potranno urlare al cielo l'ennesimo more of the same di un genere la cui scelta sul mercato è ampia a dir poco: ma la ricca offerta di classi disponibile nel prodotto finito, l'immediatezza di gioco e le meccaniche reattive e puntuali nella loro semplicità, in questo caso, potrebbero dimostrarsi davvero vincenti.