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Un bel party sul Titanic

L'industria dei videogiochi si sta infilando le scarpe di cemento prima del tuffo in mare?

Mentre scriviamo queste righe un sito molto cool ci informa (via Twitter, of course), che il testa a testa fra Guild Wars 2 e Dishonored per stabilire quale dei due sia il gioco dell'anno si fa serrato. Di pochi giorni prima sono invece gli allori che Mr. Samuel L. Jackson (ammettiamolo, il Dio nero di Pulp Fiction ma anche l'eroe di Snake on a Plane), ha posto sul capo dei trionfatori dei Video Game Awards 2012.

Fra un inopinato asso pigliatutto come The Walking Dead (applausi, sul serio) e qualche nomination a Journey (inchini e pelle d'oca, davvero), spuntano gli immarcescibili baroni: Halo 4, Call of Duty milletrentacinque, NBA 2k qualcosa e via così. Se esistesse “Ghosts'n Goblins dalla pensione con furore”, siamo certi sarebbe almeno in lizza. E questo senza contestare l'ottima riflessione di Lorenzo Fantoni su quanto invero la premiazione abbia rivelato un'attenzione non scontata per il futuro del videogioco. Tutto vero.

Anche perché le masturbazioni del settore, che fa di tutto per convincere il mondo di piacersi un sacco, quest'anno si sovrappongono a corteggiamenti extra, ammiccamenti stranieri di un certo peso. Dal MoMA alla Disney, con quella meraviglia filologica pro-gamer che è Ralph Spaccatutto, dallo Smithsonian ad addirittura qualche lungimirante istituzione italiana, il videogioco di questi tempi pare essere vezzeggiato come manco Belén.

I media si riempiono di innamorati dell'ultima ora pronti a giurare che il computer game sia “il nuovo cinema” (poveri), a urlare al rinnovato miracolo sangennaresco per gli incassi di Black Ops II e ad attendere la nuova generazione di console come i re magi con la stella cometa. Si cominciano a vendere anche enciclopedie dedicate alla storia di Super Mario e Nintendo - entusiasmo, anche qui non ironico.

"Nessun festone o flûte di champagne ci convincerà di non essere a folleggiare sul Titanic"

Canabalt.

Lungi dal guastare la festa, peraltro opportunamente officiata nel periodo natalizio, occorrerebbe tuttavia allontanarsi un po' dalla pista da ballo per avviarsi verso la sala macchine. Ecco, magari portandosi dietro pinne e boccaglio.

Sì, perché nessun festone o flûte di champagne ci convincerà di non essere a folleggiare sul Titanic. Nessun incasso di Call of Duty, Assassin's Creed o di Nintendo Wii U ci rasserenerà mentre guardiamo i nostri amati Resident Evil, Dead Space o Crysis infilarsi le scarpe di cemento prima del tuffo. O mentre ricordiamo i caduti sul campo (avete amato alla follia L.A. Noire o Prototype 2? Ottimo, farà piacere a chi li ha sviluppati giusto prima di arruolarsi nel variopinto mondo della disoccupazione).

Attenzione, non che le vittime non siano anche carnefici, anzi. E non che, come ancora il buon Fantoni ricorda, tutto il settore affonderà con una barca, per quanto titanica. Tutt'altro; i più furbi sono già sulle scialuppe, pronti a navigare verso un futuro forse avulso da publisher monopolistici e contenuti blindati (lo si era scritto già qui. Un futuro per certi versi molto più vicino a tablet, telefoni e occhiali spaziali che non a Xbox 720 o PS4.

Non sarebbe quindi intelligente, con pinne e respiratore, scendere lungo la chiglia? Magari per capire cosa l'abbia squarciata e perché non se ne sia accorto nessuno là di sopra, fra un flûte e un casqué? Men che meno gli Schettino dell'industria, ora comunque pronti a far bagordi su barchette più agili e performanti costruite da altri (e anche di questo abbiamo già scritto qui.

"Nessuno dei 14 videogiochi acquisiti nella collezione permanente del MoMA di New York è il parto di un'industria pantagruelica"

Passage.

Detto altrimenti, se i 14 videogiochi recentemente acquisiti nella collezione permanente del Museum of Modern Art di New York, per capirci l'istituzione museale più prestigiosa al mondo, sono il suggello di una sensibilità mutata nei confronti dei giochi elettronici, basterebbe tuttavia andarli a guardare in dettaglio per capire come nessuno di loro, forse nemmeno The Sims e Simcity 2000, sia il parto di un'industria pantagruelica e viepiù costosa da mantenere, ma attesti il trionfo di un'idea semplice e rivoluzionaria (si prendano ad esempio Canabalt, sviluppato in 5 giorni nell'ambito dell'Experimental Gameplay Project della Carnegie Mellon University), e soprattutto Passage, la miglior metafora interattiva della vita mai realizzata. Di 5 minuti in tutto. Con queste premesse e sull'onda di alcune illuminanti considerazioni di Emily Rogers, lette qui, ecco di seguito qualche questione su cui riflettere. E senza la pretesa di essere esaustivi; solo per guardare il Titanic da una prospettiva diversa e magari ricordare le cause del suo affondamento in futuro. Chissà mai tornasse utile farlo. Insomma, cosa ha provocato lo squarcio?

1)Nel 2010 una ricerca di Ibis Capital segnalava come un titolo per l'attuale generazione di console costasse mediamente fra i 15 e i 30 milioni di dollari. L'equivalente di 500 mila copie, nel primo caso, o di un milione, nel secondo, da vendersi per pareggiare i bilanci aziendali. Essendo una media, è bene precisare che il conto è in linea teorica valido per ognuno dei nostri giochini preferiti. Vi pare una premessa speranzosa?

2)In poco tempo quella media, di per sé già non trascurabile, ha subito più di un ritocco verso l'alto. Qualche esempio chiarificatore: per produrre Max Payne 3 si sono investiti circa 105 milioni di dollari. Quasi lo stesso budget per Red Dead Redemption e Grand Theft Auto 4. Gran Turismo 5? Fra i 60 e gli 80 milioni. Proprio come Halo 3 o Metal Gear Solid 4. Senza scomodare i fondi hollywoodiani di Call of Duty: Modern Warfare 2 (240 milioni di cui 200 dedicati al marketing) o Star Wars: The Old Republic (200 milioni), molti dei titoli tripla A più recenti mobilitano cifre non inferiori ai 40 milioni di dollari. Vi pare una tendenza speranzosa?

"Call of Duty: Modern Warfare 2 è costato 240 milioni di dollari, cui 200 dedicati al marketing"

Dead Space 3.

3)Nell'era dei 16 bit la produzione, la mera produzione di un gioco si attestava mediamente fra i 50 e i 300 mila dollari e implicava meno di 10 persone al lavoro. Con il Nintendo 64 la cifra cominciò a ballare fra 1 e 3 milioni (con qualche team anche da 20 persone). I milioni erano già diventati 7/10 e le teste pensanti su ogni titolo una quarantina con l'avvento della prima era “consolare”. Oggi, di media, un tripla A costa fra i 17 e i 20 milioni di dollari e abbisogna di team raramente inferiori alle 120 unità. Black Ops II? 300 persone al lavoro. Assassin's Creed 3? Circa 400. Resident Evil 6? 600. Skyrim? 700. SWTOR? 800.

Per essere proficuo, il prossimo Dead Space dovrà vendere almeno 5 milioni di copie, più di quanto non abbiano fatto i suoi due predecessori. Sommati, s'intende. Per considerarsi un successo commerciale, Max Payne 3 avrebbe dovuto superare le 4 milioni di confezioni vendute. Vi risulta l'abbia fatto? Ve lo dico io, no. E vi sembra un'evoluzione speranzosa questa?

4)Sì, evoluzione. Perché qualora non fosse chiaro, il trend di crescita, meglio, l'ipertrofico e patologico gonfiore, non pare arrestarsi. Il che porta a chiedersi quanto costerà sviluppare un titolo per le presunte salvifiche piattaforme del futuro. Un dettaglio fondamentale: in questi anni l'utenza videoludica non è cresciuta con lo stesso ritmo dei costi di produzione. Da un po' equivale a circa il 4/5 percento della popolazione mondiale. Certo, a meno di non considerare nuovi “utenti” i casual gamer e l'ondata di immigrati videoludici arrivati su canotti targati Angry Birds o Farmville. Un indizio da tenere a mente, per quanto molti fra i nuovi ospiti sembrino già dispersi (per i dettagli, chiedere a Zynga).

"In questi anni l'utenza videoludica non è cresciuta con lo stesso ritmo dei costi di produzione"

Ralph Spaccatutto.

5)Una volta intravisto lo squarcio sulla chiglia, è il caso di interrogarsi sulle sue cause. Fuor di metafora, perché i videogiochi costano sempre di più? Per non farla troppo lunga, fra le numerose concause della malattia (e qui infilateci ingredienti che vanno dalle royalty da riconoscere ai marchi proprietari di console e dalla distribuzione, al buon posizionamento sui vostri scaffali preferiti ), ne riconosciamo una principale, ben sintetizzata in un'intervista rilasciata lo scorso 27 aprile a Digital Spy da tale Warren Spector: “Sulle console attuali ottenere la qualità grafica di un film Pixar e renderizzarla in tempo reale, come richiede l'interattività di un videogioco, può facilmente implicare una fase di sviluppo da oltre 200 milioni di dollari. Una volta spesa tale cifra, avrai un break even alto. Posso dire che la prospettiva mi preoccupa?».

Certo, signor Spector, i suoi timori sono più che fondati. Anche perché, alla faccia delle supposte parentele con il cinema, i videogiochi non vantano mercati ancillari, diritti di messa in onda, versioni home video e licenze. A dirla tutta, non contemplano nemmeno percentuali sull'usato. La loro vita commerciale è ben più breve di quella di un film con Vin Diesel, e fa ancora bene Fantoni a individuare nei multiplayer incastrati a forza la ricerca spasmodica della vita eterna.

Ad avvicinare Hollywood e Ludowood oggi sono solo i costi. Quelli di una corsa folle dei tripla A alla verosimiglianza, al dettaglio grafico dalla resa mai vista, all'effetto speciale tipo Michael Bay, all'engine ultra performante. Tutte quisquilie con un prezzo. Di solito alto. I tripla A stanno suicidandosi nel loro tentativo di essere tripla A. Saranno sempre più belli, rumorosi, potenti; e rapidissimi a morir di fame.

"Ad avvicinare Hollywood e Ludowood oggi sono solo i costi"

The Walkind Dead.

Ora, che questo debba allarmare l'intero settore è da escludere. Per quanto non ci sia posto per tutti, le scialuppe sono già pronte. Hanno capito (come il MoMA, Minecraft o Angry Birds) che l'estetica conta meno di un gameplay inattaccabile. Che la distribuzione non digitale è pastoia d'altri tempi. E che, per finanziarsi, il portafoglio del grande publisher non è l'unica risorsa. Anzi, è la più vincolante e refrattaria al cambiamento.

Di più; hanno intuito che lontani dall'industria tradizionale possono pure dire cose che in quella sarebbero difficilmente accettate. Ecco perché sono felice che Journey sia il gioco più chiacchierato del 2012 (con tanto di candidatura a un Grammy). E che il titolo più intelligente dell'anno sia Unmanned, sviluppato in tinello da molleindustria.org con Jim Munroe. Tuttavia, se dovessi premiare il videogame più significativo degli ultimi 12 mesi, non avrei dubbi: Star Citizen, solo per PC e autofinanziato dalle Roberts Space Industries (crowdfunding “virale” da 2 milioni di dollari richiesti e 7 raccolti).

Ma è un gioco che ancora non esiste, suggeriscono gli Schettino dalla pista da ballo. Verissimo, e non è speranza questa?

Emilio Cozzi è vicedirettore di Zero, dal 1996 la guida agli eventi di intrattenimento e cultura nelle principali città italiane. Dalla carta all'online e sempre gratis, il network risponde alle più antiche questioni dell'Umanità: chi siamo? Dove andiamo? Quanto costa?.

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Emilio Cozzi

Contributor

Nasce 45 anni fa durante una partita della Nazionale, che distrae i medici. Da allora non ama particolarmente il calcio, ma si occupa di cultura, intrattenimento e scienza. Scrive di videogiochi e cultura videoludica su Il Sole 24 Ore, Wired e Il Corriere della Sera. Dirige la sezione space economy di Forbes Italia e Cosmo. Lo trovate ancora lontano dai campi di calcio. O su Twitter come @Addioegrazieper
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