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Giocatori, stampa e publisher: è crisi? - articolo

Ecco i perché di un rapporto tra le parti quanto mai teso.

La Game Developers Conference è ormai alle spalle e negli ultimi giorni mi sono ritrovato spesso a pensare alla GDC dell'anno scorso. Nello specifico, ho riflettuto su un commento polemico di Chris Hecker intitolato "The Dysfunctional Three-Way", ossia "Il rapporto a tre che non funziona", con riferimento alla relazione tra giocatori, sviluppatori e stampa. Ma se Hecker si è focalizzato principalmente su un sintomo della disfunzionalità (una sorta di desiderio da parte dell'industria di produrre, pubblicizzare e consumare contenuti sempre identici a se stessi), io ho riflettuto di più sulle radici di tutto ciò. Il problema tra giocatori, sviluppatori e stampa è in parte che non c'è rispetto tra di loro, e in parte che questa mancanza di rispetto è giustificata da motivi reali e concreti.

Forse avrete notato come le cose sono cambiate nel mondo dei videogiochi "hardcore" nel corso di questa generazione. Ora l'atmosfera è molto più tesa e caratterizzata da un maggiore antagonismo che non fosse in passato. I rapporti tra chi crea i videogame, chi li gioca e chi ne scrive sono sempre più rugginosi e l'atteggiamento generale che ogni gruppo ha nei confronti degli altri crea un'aria caustica, quasi tossica. Quest'industria è tradizionalmente identificata con l'immagine del divertimento e della spensieratezza, ma nei tempi recenti sembra più che altro mossa da sentimenti di polemica e acrimonia.

I giocatori sono furiosi perché sono trattati con malcelato disprezzo da chi li considera clienti. Sono arrabbiati con la stampa che ritengono servire più gli interessi degli investitori pubblicitari che non quelli dei loro lettori. E sono imbestialiti quando la tradizione di vendere e comprare giochi usati si trasforma tutto ad un tratto in un "problema" da ostacolare, solo perché la tecnologia ha dato ai publisher un modo per farlo.

D'altronde, chi non sarebbe furioso nel pagare 60 euro per un videogame nuovo solo per scoprire che è impossibile giocarlo per colpa di un maledetto sistema di DRM "always-online" inserito da un publisher, che poi non si è rivelato in grado di gestire i server necessari al suo funzionamento? Inutile iniziare il discorso degli infiniti sistemi poco trasparenti attraverso i quali i produttori cercano di fare leva per separarci dai nostri soldi.

SimCity: 'tanto i fessi l'hanno già comprato, quindi chi se ne frega!'

Detto questo, i giocatori non hanno il monopolio sull'indignazione dei giusti: stampa, sviluppatori e publisher hanno tutti qualche ragione per lamentarsi, a loro volta. Il pubblico dei giocatori è un pozzo senza fondo di pretese, e qualsiasi cosa gli venga proposto ci sarà sempre una porzione non insignificante di persone che griderà la propria insoddisfazione. "Il seguito non è cambiato abbastanza rispetto all'originale!" Oppure: "Il seguito è cambiato troppo rispetto all'originale!" O ancora: "tutti i contenuti aggiuntivi rilasciati dopo l'uscita dovrebbero essere gratuiti." Ma anche: "È giusto piratare un gioco, perché l'azienda che l'ha fatto è malvagia e in fondo cos'altro dovremmo fare? Non giocarlo?" E poi l'immancabile: "Questo voto è troppo alto, il recensore è stato chiaramente comprato", o "Il voto è troppo basso, il recensore è incompetente e scommetto che non ha nemmeno finito il gioco ad ultra-hard".

"Quando le persone si lamentano costantemente, diventa complicato scindere le lamentele motivate da quelle pregiudiziali"

Quando le persone si lamentano costantemente di tutto, quando persino i migliori prodotti del miglior lavoro attirano comunque una certa dose di critiche aspre e violente, diventa complicato scindere le lamentele motivate da quelle pregiudiziali e fini a se stesse. Compito ancora più arduo nel contesto della Rete, in cui l'anonimato spinge molto spesso le persone a tirar fuori il peggio di sé, abbandonando ogni vincolo con la ragionevolezza e la civiltà.

Forse qualcuno ricorderà l'aggressione mediatica subita da Jennifer Hepler di BioWare quando osò dichiarare pubblicamente che secondo lei i giochi improntati sulla narrazione dovrebbero consentire di skippare le sequenze di combattimento. E che dire di quando Aris Bakhtanians, famoso giocatore di Street Fighter x Tekken, difese gli atteggiamenti sessisti nella comunità dei picchiaduro dicendo che sono una "parte della cultura" (ottenendo per altro parecchio supporto morale da parte di altri giocatori)?

Anche i rapporti tra produttori e stampa non sono stati eccezionali negli ultimi tempi. Alcuni problemi sono gli stessi di sempre ma la situazione economica presente e futura di entrambi i settori è molto complicata, e l'idea che si sia costantemente appesi ad un filo di certo non ha aiutato a distendere le relazioni. Quando la copertura di un determinato prodotto non è quella che un publisher si aspetta, sorgono problemi. Rappresentanti ufficiali mentono per quanto riguarda i problemi che verranno risolti prima della pubblicazione di un titolo. Ottenere un commento ufficiale su un argomento può essere complicatissimo e richiedere tempi molto lunghi, ma se poi si esce con un articolo senza commenti ufficiali il diretto interessato se ne lamenta.

I videogiochi: un mondo in cui gli atteggiamenti sessisti vengono difesi come 'parte della cultura'.

Di contraltare, ovviamente, capita che le richieste di commento vengano fatte un minuto prima di andare in "stampa", senza che il diretto interessato abbia nemmeno il tempo di rispondere. E di certo non c'è carenza di giornalisti che per abitudine o pregiudizio criticano tutto e tutti e si lanciano in personalissime crociate, non importa quanto distaccate dalla realtà esse siano.

Il risultato finale è che abbiamo tre distinti gruppi, ognuno dei quali ha buoni e concreti motivi per mostrare sfiducia e scontentezza nei confronti degli altri. E le condizioni dell'industria in questo specifico momento storico stanno solo peggiorando la situazione.

"Abbiamo tre distinti gruppi, ognuno dei quali ha buoni e concreti motivi per mostrare sfiducia nei confronti degli altri"

Internet è ormai cresciuto al punto di dare ad ognuno una voce, e le barriere che separano la voce dei bene informati da quella dei troll psicopatici sono quantomai labili. La stampa e l'industria non possono far altro che accettare l'idea che una certa percentuale di critica sia congenita, una sorta di costante rumore di fondo. E se anche abbiamo a disposizione dati come gli "accessi unici" per comprendere che il pubblico supporta e apprezza quello che stiamo facendo, è indubbio che a volte anche le critiche motivate e giustificate riguardo i nostri comportamenti tendano a cadere inascoltate. Nel mondo degli affari, le critiche vanno (entro un certo limite) anche ignorate.

Nel frattempo, i giocatori stanno perdendo il controllo sul loro hobby in nuovi e preoccupanti modi. Da parte dei produttori si tende infatti sempre più a vedere i videogiochi come un "servizio" e non più come un "prodotto" tangibile, il che significa che tende a scomparire il concetto di videogioco come oggetto che si possiede e che può essere inserito per sempre nella propria libreria a formare una collezione.

Ora i videogame sono collegati a doppio filo ai server su cui girano (con i problemi cui abbiamo già accennato), e l'idea di un'esperienza completa e coesa sembra sempre più perdere terreno in favore di una politica di costanti aggiornamenti che richiedono continue spese (o almeno un continuo impegno) per essere seguiti nel tempo. Più che un hobby, i videogiochi stanno diventando una specie di secondo lavoro.

I lettori erano dubbiosi nei confronti della stampa da ben prima dello scandalo Gerstmann-Gamespot. Diciamo che quella vicenda non ha contribuito ad aumentare la loro fiducia...

La stampa è presa nel mezzo di tutto ciò. Ovviamente, come avviene da secoli, scrivere quello che susciterà attenzione fa guadagnare di più che non scrivere quello che rappresenta un vero servizio di informazione ai lettori. Ma i margini d'errore sono sempre più risicati: basta guardare alle ondate di licenziamenti e di chiusure di pubblicazioni che ormai da anni colpiscono il settore. Questo mestiere è più precario che mai, e chi oggi è una celebrità su Internet può trasformarsi rapidamente in un giornalista disoccupato e ignorato nel giro di pochissimo. La pressione esercitata per assicurarsi che ogni articolo realizzi più click possibile, che ogni speciale ingigantisca la sua circolazione diventando "virale", non è mai stata così elevata.

"Scrivere quello che susciterà attenzione fa guadagnare di più che non scrivere quello che rappresenta un vero servizio di informazione"

Ognuna di queste "regole" ha le sue eccezioni, ovviamente. Ci sono migliaia di giocatori ragionevoli e informati che fanno richieste ben motivate ad una stampa e a dei publisher che dovrebbero accoglierle rapidamente e senza esitare, e ci sono tanti sviluppatori e publisher che trattano i loro fan con rispetto e creano prodotti che valgono ogni euro del loro prezzo. E si spera anche che molti gamer abbiano le loro pubblicazioni di riferimento, giornalisti, riviste e siti di cui si fidano e che ritengono onesti e competenti. Ma si tratta comunque di eccezioni, perché le lodi nei confronti dell'industria e della stampa sono comunque una piccola percentuale rispetto alle critiche, che sono invece un bombardamento a tappeto che coglie più o meno tutti indistintamente.

È anche questo che crea il clima di sfiducia reciproca, divenuto ormai quasi una necessità: non è possibile dimostrarsi reciprocamente quel rispetto che sarebbe dovuto come atteggiamento di base, perché le conseguenze negative nel caso in cui quel rispetto venisse tradito sarebbero troppo alte, e le circostanze in cui questo effettivamente si verifica sono troppo numerose.

Perché, tornando al discorso iniziale, il modo in cui la games industry funziona attualmente è disfunzionale. E per cambiare questo stato di cose abbiamo due opzioni: la prima è aspettare che i dati finanziari dell'industria tornino a migliorare, alleviando dunque la pressione sulla stampa e sui publisher e dando quindi (si spera) nuovo ossigeno a chi lavora nel settore; la seconda opzione è adottare un approccio più rispettoso gli uni nei confronti degli altri, e concedere il beneficio del dubbio a chi se lo merita.

È difficile dire quale delle parti dovrebbe avviare questa operazione di "conversione" degli standard attuali in materia di rapporti, e non posso criticare chi attualmente è in attesa che sia qualcun altro a fare la prima mossa, ma questo è comunque un processo che dovrà avvenire se vogliamo risolvere il problema.

Traduzione a cura di Luca Signorini.