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GTA V: deponiamo il monarca - editoriale

Dietro il mantello di sua maestà si agita la rivoluzione.

Credo che l'ultima cosa di cui un lettore di Eurogamer abbia bisogno sia un altro articolo su Grand Theft Auto V. Suggerirei a chi non fosse d'accordo di pescare a caso in rete o in edicola, per scoprire che anche "Dagospia" e "Famiglia Cristiana", con quella che peraltro è una delle analisi più intelligenti degli ultimi giorni, hanno scritto la loro su Los Santos.

Il che già svela un aspetto importante del colosso di Rockstar Games: con i suoi 800 milioni di dollari incassati in 24 ore e il suo miliardo superato in circa 72, GTA V (e per estensione tutta la serie inaugurata nel 1997) oggi non è solo un gioco: è un fenomeno. E dei fenomeni capita che i giornalisti più disparati si improvvisino esperti, quand'anche più adatti a occuparsi di cucito, o caccia e pesca; così, giusto il tempo necessario all'evacuazione di un articolo - dove "evacuazione" è termine quanto mai appropriato.

Piaccia o meno ai gamer, oggi Grand Theft Auto è come il disco compilation di San Remo, anche più di Call of Duty: lo comprano tutti, e sono tanti, quelli che durante l'anno non acquisteranno più un album. In fondo lo compra (anche) chi, della musica, generalmente se ne strafotte.

C'è da precisare che proprio questa diffusione extra settore caratterizza gli obbiettivi di Sam e Dan Houser da quando i fratelli raggiunsero le strade di "San Ludos" partendo dai set dei Take That (#sapevatelo, il cattivissimo Sam diresse Take That & Party, il video di debutto dei bellocci insulsi di Manchester). Nelle intenzioni dei due fondatori, Rockstar Games avrebbe dovuto rendere "cool" il contenuto digitale interattivo. Non solo e non più vertigine segreta e un po' imbarazzante di tizi con un rapporto inversamente proporzionale fra il numero dei brufoli e la cura per l'igiene personale, ma argomento di cui chiacchierare ai party esclusivi con Emily Ratajkowski (chi? Lei), ai talk show in prima serata o sui giornali accanto alle ultime notizie dalla Siria... e alle tette di Emily Ratajkowski (chi? Lei).

GTA è come Gravity di Alfonso Cuaron o un film di Joe Dante: ammicca efficacissimo alla folla ma nasconde una verità sotto l'altra.

Bene, GTA e soprattutto GTA V, il sogno dei fratelli Houser, l'hanno definitivamente realizzato: «ne parlano pure i gay della moda», ho sentito dire durante la settimana del nulla meneghino. Se a tanto clamore si aggiunge la forzatura tematica progressiva, quello spostare i limiti del consentito in un (video)gioco che è il vero leitmotiv ideologico della software house di origini inglesi, è chiaro come GTA rappresenti l'avanguardia del settore in un contesto di massa, in altre parole sia una sorta di blockbuster d'autore, un cinepanettone d'essai. GTA è come un film di Joe Dante o Gravity di Alfonso Cuarón: ammicca efficacissimo alla folla ma nasconde una verità sotto l'altra.

"Ben vengano tutti gli Hot Coffee del mondo: Grand Theft Auto piace un sacco e provoca"

E ben vengano in questo senso tutti gli Hot Coffee del mondo (la sequenza porno nascosta non troppo bene fra i codici di San Andreas che, immediatamente scoperta, costò 200 milioni di dollari di penale e quasi il fallimento agli Houser): Grand Theft Auto piace un sacco e provoca. Di sicuro piace un sacco anche perché provoca. In più, come pochi altri giochi (di recente The Last of Us), non piglia per il culo il giocatore anche intellettualmente più esigente: non sfoggia dialoghi inverosimili e ragionamenti da terza elementare, che vorrebbero avere la legittimità di un film o di un libro. Piuttosto, film e libri, li omaggia volentieri.

Quando non li penso a licenziare interi team di sviluppo dalla sera alla mattina, mi piace immaginare gli Houser ridere sotto i baffi per averla scampata un'altra volta e per aver rifilato al mondo, a tutto il mondo, una bravata ancora più pesante. Meglio, più adulta.

Lo scopo degli Houser sidall'inizio? Parlare di videogame con lei... e non solo.

Fin qui tutto bene. Ma c'è un ma, ed è grosso come una casa di quelle con piscina; oltre a questo sacco di belle cose, Grand Theft Auto ormai rappresenta tutto quanto di virulento e rovinoso ammorba il tanto amato settore videoludico. Nel celebrare il miliardo messosi in tasca in nemmeno tre giorni, GTA tradisce la tendenza suicida di un'industria che rincorre, e sempre più volte supera, i costi del cinema senza averne i medesimi paracadute economici (lo si era scritto qui e si era stati accusati di pessimismo, salvo vedere da lì a 6 mesi alcune previsioni avveratesi come manco quelle di Nostradamus).

È una sindrome che rivela la sua pericolosità anche nel blindare tematicamente i titoli più costosi per renderli più sicuri e appetibili al pubblico pagante, molto fedele a due o tre argomenti al massimo (la chiameremo "la peste dei nipoti di Dungeons & Dragons e dei figli di Doom").

Quest'ultimo aspetto non sembri in contraddizione con la forzatura contenutistica di Rockstar celebrata poche righe sopra: al di là dei vincoli anche legali sfondati dalla software house (si pensi a quell'opera clamorosa che è L.A. Noire e al suo nudo frontale, o si legga Wanted di David Kushner per capire come la lista degli atteggiamenti censori a livello internazionale sia scandagliata ogni giorno negli uffici artistico/legali di Rockstar), ebbene, al di là degli azzardi, GTA V soffre evidentemente di un'altra patologia videoludica: il contagioso batterio del sequel. Una malattia che a scapito delle rivoluzioni e per vampirizzare il portafoglio, con tanto di microtransazioni cripto-freemiun inserite facendo finta di nulla, ribadisce il noto. Il terribilmente noto.

"Si legga Wanted di David Kushner per capire come la lista degli atteggiamenti censori a livello internazionale sia scandagliata ogni giorno negli uffici artistico/legali di Rockstar"

Già immaginiamo tanti lettori pronti a lamentarsi di questa sparata. Calma e gesso; in fondo la cosa più perigliosa del "fenomeno" Grand Theft Auto è proprio il suo essere un fenomeno. Vale a dire la capacità di nascondere con la sua mole mastodontica e la sua "coolness" le criticità del sistema industriale che rappresenta, un fiorire sempre più esteso di crepe nell'edificio. A un tempo adombrando tutto quel che di bello non quel sistema - moribondo, caduco, da abbattere - ma quel settore produce nel cono d'ombra. Insomma, come tutti i rivoluzionari, che una volta al potere andrebbero impiccati, GTA ha smesso i panni da Robespierre e oggi copre col suo regio mantello d'ermellino le peggio magagne del castello.

Prima che le nudità regali ci sorprendano, conviene allora spostare lo sguardo verso altri signori, più modesti di sicuro, ma forse già rivolti alla fine del reame. E, lo si dica con grande sincerità, spesso più interessanti di quel che accade a Los Santos. Detto in altri termini, più in stile Houser: e se di Grand Theft Auto V non mi fottesse un cazzo? Che alternative avrei scostandomi un po' da un fenomeno così ingombrante?

Sociolotron: rispetto a lui Hot Coffe è il baretto dell'Università Cattolica di Milano.

Eccone alcune qui di seguito, senza la pretesa di elencarle tutte o esaurirne i punti di interesse; così, solo una lista di accadimenti e pensieri minuscoli che ci piacerebbe si arricchissero in futuro.

"Secondo Anna Anthropy, il futuro del settore sarà caratterizzato da produzioni piccole e pure private, giochi realizzati da amici per amici, programmati da non programmatori"

GamesProut: il 22 agosto, mentre andava in scena un'altra esemplificativa manifestazione della caducità dell'industria (esatto, la GamesCom di Colonia, e sfido chiunque a elencarmi le reali novità viste lì che non fossero un aggiornamento di Oculus Rift, qualche secondo aggiuntivo di Titanfall o Murasaki Baby, l'unica vera nota positiva di cui scriveremo fra qualche riga), ebbene, mentre impazzava l'inutilità teutonica, Jess Schell parlava del suo portale in fase Beta, dedicato a chiunque abbia un'idea per un gioco e voglia vederla realizzata a prescindere dalla propria capacità di farlo. In pratica, ha spiegato l'autore di The Art of Game Design, il progetto ha lo scopo di verificare pubblicamente la validità di un'idea e capire chi possa contribuire alla sua realizzazione, offrendo competenze tecniche, suggerimenti o semplici pareri.

Per chi vi scrive, è l'iniziativa più interessante del momento e non fa che confermare le ipotesi, quelle sì eversive, di teste calde come Anna Anthropy, game designer e attivista transgender convinta che il futuro del settore sarà caratterizzato da produzioni piccole e pure private, giochi realizzati da amici per amici, programmati da non programmatori, distribuiti a pochi soldi quando non gratuitamente e dal punto di vista tematico/ideologico aperti a tutto (se ne era già parlato qui). A proposito, altro che Hot Coffee: Sociolotron (www.sociolotron.com) dà già oggi una panoramica di porcherie sintetiche dall'assortimento infinito e per tutti i gusti, com'è sacrosanto che sia. A confronto Hot Coffee sembra il baretto dell'Università Cattolica. E so che Luca De Stantis e il suo Videogaymes (Unicopli, 2013) mi darebbero ragione.

Una delle poche cose meritevoli della Gamescom è arrivata dall'Italia.

Murasaki Baby di Ovosonico: appunto, l'unica altra cosa davvero meritevole della fiera tedesca è arrivata dall'Italia: dai teaser visti e disponibili online il titolo sviluppato dalla software house varesina guidata da Massimo Guarini e Gianni Ricciardi sembra fresco, divertente, profondo, maniacalmente curato e soprattutto innovativo anche per come sfrutta le potenzialità hardware di PS Vita. Sempre che premesse e promesse vengano mantenute (e un hands on recente ci è sembrato confermare), non si nasconde che Murasaki Baby potrebbe diventare la prima hit killer con cui rivitalizzare una console nata agonizzante.

"Non che all'estero si stia fermi: l'International Festival of Indie Games (aka Indiecade) è alle porte con i suoi 36 finalisti"

Mirrormoon Ep, Goscurry, War2Map, Syder Arcade e In Verbis Virtus: dall'infinite run sorprendente Goscurry di Holoville Games (due giovanissimi sviluppatori romani) a quella sorta di Risiko geolocalizzato che è War2Map, e fino alla recente pubblicazione su Greenlight di Syder Arcade (Studio Evil) e di In Verbis Virtus, la perla di Indomitus Games chissà perché limitata a mesi di attesa sul sito di Valve nonostante altissimi indici di gradimento, tutti i titoli elencati hanno tratti in comune: sono italiani, realizzati da poche menti molto scaltre e hanno una personalità propria, capace di intrigare facendo poco il verso a predecessori celebri.

In più, capiscono bene la fruizione ludica di domani fra supporti mobili, sperimentazioni anche azzardate e capacità di approfondimento tematico adulto - per tutti valga l'esempio di Mirrormoon Ep, di Santa Ragione e Paolo Taje, gioco finalista all'ultimo Igf oggi pronto a convincere il mercato (Steam compreso) dopo aver conquistato la critica. Siano lo stile e la capacità immersiva di Goscurry, le intuizioni di War2Map, o l'atmosfera avvolgente e atipica di In Verbis Virtus o Mirrormoon, le caratteristiche di queste produzioni vanno apprezzate con mano, occhio e cervello, più che lette qui.

Un'immagine di Goscurry, l'infinite run di due giovanissimi sviluppatori romani.

E non che all'estero si stia fermi: l'International Festival of Indie Games (aka Indiecade) è alle porte con i suoi 36 finalisti. Il nostro favorito? Senza molti dubbi That Dragon, Cancer, l'esperienza (auto)biografica di un padre con un figlio malato di cancro trasformata in un un adventure. E intelligentemente annunciata su Ouya per inizio 2014.

"Il videogioco, dopo decenni di faticoso rincorrere, potrebbe discostarsi dalla grammatica cinematografica. La trama non si vede, va cercata"

Non siete disposti ad aspettare? Ecco tre giochi per il presente: Amensia: A Machine for Pigs, lo stato dell'arte del survival horror (in prima persona) nell'era post Resident Evil e pre The Evil Within, sviluppato per conto di Frictional Games da The Chinese Room, gli autori di un certo Dear Esther. Gone Home di Fullbright Companty, un gioco di esplorazione (in prima persona) che reinventa l'approccio narrativo nel settore fino a far intravedere come il videogioco, dopo decenni di faticoso rincorrere, potrebbe discostarsi dalla grammatica cinematografica: la trama non si vede. Va cercata. E poi Godus (di 22Cans), il nuovo vangelo dei god games secondo uno dei due signori del genere, Peter Molyneux, in fase beta da pochi giorni e da giocare costasse l'ira di Dio.

Tutto 'sto po' po' di roba - la punta di un iceberg - sta solo a dimostrare come dietro il mantello di sua eccellenza GTA V si agiti la rivoluzione. Un fermento che ha poco a che vedere con console war e line up al day one, ma è fatto di gameplay semplici, efficaci e mai visti, tematiche non imbecilli e potenzialmente infinite, applicazioni ludiche in settori insospettabili, supporti portatili, indossabili, innestabili, team snelli e, soprattutto, una tonnellata di quell'imprevedibilità di cui è sano si ammanti un domani non scritto. Un futuro, però, che è necessario vedere scostando le pellicce d'ermellino. Insomma, oltre i fenomeni che piacciono tanto alla (gente della) moda.

Ciò detto, ricomponete il re, che devo sfondare quella cazzo di vetrina sulla mia Hummer gialla. Me lo comanda Michael. Uno per cui è bene ti fotta molto di GTA.

Emilio Cozzi è vicedirettore di Zero, dal 1996 la guida agli eventi di intrattenimento e cultura nelle principali città italiane. Dalla carta all'online e sempre gratis, il network risponde alle più antiche questioni dell'Umanità: chi siamo? Dove andiamo? Quanto costa?.

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Emilio Cozzi

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Nasce 45 anni fa durante una partita della Nazionale, che distrae i medici. Da allora non ama particolarmente il calcio, ma si occupa di cultura, intrattenimento e scienza. Scrive di videogiochi e cultura videoludica su Il Sole 24 Ore, Wired e Il Corriere della Sera. Dirige la sezione space economy di Forbes Italia e Cosmo. Lo trovate ancora lontano dai campi di calcio. O su Twitter come @Addioegrazieper
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