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The Evil Within: ritorna il survival horror secondo Mikami - prova

In viaggio a Londra, tra zombie e scienziati pazzi.

Londra - In molti ricordiamo con un velo di tristezza quel momento, quello in cui Resident Evil ha cominciato a mutare verso un'esperienza più action e mettendo da parte puzzle ambientali, atmosfere inquietanti e ville abitate da zombie. In tanti ricordano i primi capitoli della serie con malcelata malinconia per il tempo che fu, forse gli stessi che hanno comunque apprezzato Resident Evil 4 anche se "dovevano chiamarlo con un altro nome".

Lasciamo da parte il quinto e soprattutto il sesto capitolo della serie, quest'ultimo quasi più famoso per la giraffa nel logo che per le sue qualità, e ripensiamo per un attimo a come saltavamo sulla sedia per l'ennesimo lampo che proiettava le ombre dei rami dal giardino dentro i corridoi di quella labirintica villa. Bene, ora che siamo preparati, possiamo cominciare a parlare di The Evil Within.

Siamo infatti volati nella capitale britannica per un'approfondita prova dell'ultima creazione di Shinji Mikami, chiacchierato ritorno alle atmosfere storiche della serie che ha reso famoso il designer nipponico, vero punto di forza attorno al quale gira tutta (o quasi) la strategia di marketing di Bethesda. Ma sarà davvero così? Sarà vero che si torna a respirare quella rimpianta aria rarefatta? La risposta è più complessa di quanto si potrebbe pensare, e soprattutto rimane sospesa nell'attesa di una prova completa, ma cerchiamo comunque di descrivere la direzione che pare aver preso l'opera dei Tango Gameworks.

Non mancano i momenti di pura adrenalina, come quando si viene trascinati verso delle letali trivelle.

Iniziamo dal quarto capitolo, in un villaggio dominato da non morti che sembrano avere quel minimo di raziocinio necessario per inserire le loro azioni in un disegno più grande, architettato da quello che già si presenta come il carismatico antagonista della situazione. Lo vediamo quasi sussurrato qui, ne parliamo meglio più avanti, ma già dai nostri primi minuti sembra che il responsabile dell'epidemia sia caratterizzato da diverse sfaccettature e da una personalità insieme misteriosa e magnetica, per non parlare della sua passione per Debussy.

Il Claire de Lune dalla Suite Bergamasque si sente suonare gracchiante come da un polveroso grammofono, mentre gil zombie impilano i corpi delle loro vittime ardendone i resti. Ci muoviamo silenziosi, per fortuna abbiamo la possibilità di accucciarci per fare poco rumore e tentare di evitare i nemici: le pallottole sono contate, così come le siringhe curative, e finite quelle si può anche mettere un'ipoteca sul prossimo fallimento. Le ambientazioni propongono un miscuglio di case e spazi aperti, offrendo diversi approcci al giocatore al quale è però sempre suggerita la via meno appariscente, non sempre lo scontro è la scelta migliore, anzi.

"All'esterno ci si sente in pericolo e la tendenza è di cercare riparo in spazi chiusi"

All'esterno ci si sente più in pericolo e la naturale tendenza è quella di cercare riparo in spazi chiusi così da guadagnare posizioni più facilmente difendibili, o assicurarsi la possibilità di nascondersi dentro un armadio o sotto un letto, nel caso la situazione sfuggisse di mano. Una sensibile differenza la fa il livello di difficoltà: a casual i problemi praticamente non si propongono, mentre già a survival le cose sono più frizzanti anche (e soprattutto) per l'aumentare dei nemici e la diminuzione di medikit e munizioni, ma sono i livelli di difficoltà ancora più alti a stuzzicarci, sebbene non abbiamo potuto provarli.

Dopo avere girato per il villaggio e avere indagato sugli avvenimenti, guidati da un dottore che sicuramente non ce la dice tutta, ci ritroviamo all'interno di una costruzione nella quale possiamo sperimentare alcuni (semplici) puzzle ambientali e il primo scontro con un boss, una creatura immortale dalla quale fuggire che sembra presa di peso da Resident Evil 4. In realtà sono tanti gli elementi che ricordano il capitolo della svolta per la vecchia serie di Mikami, su tutti le animazioni e il feeling generale del gunplay.

Forse è il parco armi a non essere all'altezza dei predecessori, perché nei due livelli provati abbiamo potuto usare esclusivamente una pistola, un fucile a pompa, delle granate e una balestra armabile con diversi proiettili (esplosivo, elettrificato, ghiacciante), per un insieme decisamente sottotono. E qui ecco che ci si discosta da Resident Evil 4 per trasmettere un respiro più compassato, meno adrenalinico e più simile in un certo senso ai primissimi capitoli della serie Resident Evil.

I rimandi al passato sono veramente tanti nel secondo livello provato (corrispondente all'ottavo capitolo), ambientato interamente in una villa che non può che portare alla memoria l'amatissima Spencer Mansion di Resident Evil. Quando s'imbocca la prima porta a sinistra al piano terra del salone centrale e ci si ritrova nella sala da pranzo, si viene catapultati nel passato e ci si aspetta di vedere uno zombie di spalle pronto a voltarsi rabbioso all'ultimo istante.

"The Evil Within riesce a posizionarsi da qualche parte tra i primi capitoli di Resident Evil e Resident Evil 4"

La disposizione dei nemici e il loro comportamento, poi, sottolinea ancora una volta i punti di contatto col titolo del 1996, insieme alla particolare lentezza con cui il nostro protagonista apre le porte. Non siamo ai livelli degli storici caricamenti del passato ma la strizzatina d'occhio ai fan è evidente e apprezzata.

Un'altra citazione del passato è nel ruolo di Ruvik, personaggio che appare dal nulla di quando in quando e che ci segue camminando cercando di ucciderci con la sola imposizione delle mani. Non possiamo sconfiggerlo, non c'è verso di fermarlo e possiamo solo fuggire un po' come si faceva con Nemesis nei bei tempi andati. Si tratta chiaramente di un personaggio chiave per lo sviluppo della storia, sul quale preferiamo non sbottonarci troppo per non rovinarvi l'esperienza, anche perché la trama (nonostante sia il solito mix di esperimenti sugli umani, scienziati pazzi e drammi falimiari) sembra tutto sommato interessante e capace di catturare.

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Fino a qui tutto bene, si direbbe, ed in effetti The Evil Within riesce a posizionarsi da qualche parte tra i primi capitoli di Resident Evil e Resident Evil 4, trasmettendo un'ottima atmosfera a metà tra il teso e lo schifato, ma raramente facendo saltare dalla sedia. Va bene, non è che si sia proprio rilassati mentre esploravamo stanze e corridoi popolati da mostri, ma gli spaventi sono un po' telefonati e limitati a rumori improvvisi e simili, niente di nuovo.

L'atmosfera è garantita anche da un sapiente utilizzo di alcuni filtri grafici che sporcano l'immagine rendendo effettivamente la sensazione di polvere, di sporcizia, d'infezione e di pericolo, ma che riescono anche a impastare un po' tutto lo schermo nascondendo un conteggio dei poligoni non particolarmente alto e un livello tecnico generale che certo non si fa notare per particolari guizzi. Buone le illuminazioni e le ombre, fondamentali per impostare il tono dell'esplorazione, così com'è parso ottimo il sonoro, ma non è certo per il livello tecnico che verrà ricordato il titolo di Mikami.

The Evil Within dunque sembra il gioco che in molti aspettavano, almeno sotto diversi punti di vista quali atmosfera, gameplay, ritmo di gioco e approccio al genere, anche se non mancano i dubbi soprattutto legati a un inventario non particolarmente elaborato e al fatto che i puzzle ambientali non sono sembrati all'altezza dei precedenti titoli del designer nipponico. Tecnicamente non spettacolare, la produzione Tango Gameworks riesce comunque a convincere per un'ottima atmosfera. Non sappiamo se all'E3 scopriremo maggiori dettagli ma certo siamo usciti dagli uffici londinesi di Bethesda con la voglia di saperne di più.