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Star Citizen vs. Elite Dangerous: la sfida è spaziale - articolo

"A che distanza dalla destinazione stacchi quando sei in supercruise speed?".

Giuro, l'ho detto; via chat a un amico spaziale. Era il mio sogno da 30 anni e giuro, l'ho detto.

A proposito, il lettore perdoni premessa e toni autobiografici di queste righe ma credo che per una volta possa ricondurle anche alla sua esperienza personale, soprattutto se iniziata negli anni '70 o giù di lì. Ma pure dopo, se il lettore è di gusti fini. Ebbene, c'è un modello che mi ha ispirato fin qui, che ha forgiato sogni e deliri personali tanto da avermi fatto arrivare, quarantenne, a investire parecchio del mio tempo fra audiovisioni digitali più o meno interattive ed elucubrazioni a loro riguardo: quel modello è Han Solo.

Esatto, una delle cose che più hanno contribuito a rendermi quel che sono è il desiderio di diventare come il capitano in gilet e camicia aperta modello Billionaire del Millenium Falcon. Da quando, in un glorioso cinemino di provincia incontrai il contrabbandiere intergalattico e la di lui astronave corelliana (di cui possiedo una dozzina di riproduzioni diverse, compreso il set 10179 della LEGO, che oggi tocca anche gli 8mila dollari di valutazione), ebbene da quando incontrai il futuro generale Solo, non trascorsi giorno senza l'intenzione di avvicinarmi al suo vivere quotidiano.

Soprattutto a quella libertà incondizionata e ribadita da un peregrinare senza meta fra le più oscure profondità interplanetarie. Tutto a una velocità irraggiungibile per quanto attestata da una frase invisa a qualunque laureato in Fisica ("è la nave che ha fatto la rotta di Kessel in meno di dodici Parsec") e, a piacere, immischiandosi in una bella dose di avventure da raccontare ai nipoti.

Tutto è nato da quest'uomo e presto potremo vivere vite molto simili alla sua.

Ecco, raffinati lettori, oggi essere Han Solo si può.

Da un mese o poco più, condurre il proprio vascello spaziale commerciando qualsivoglia materia prima, fulminando chi incroci le vostre rotte, o tutte e due le cose insieme, è possibile grazie a due titoli non ancora completi ma già fra le produzioni videoludiche più interessanti di sempre. Chewebacca, qui accanto a me, conferma.

Trattasi di Elite: Dangerous e Star Citizen, i simulatori di volo intergalattico (e mai definizione fu così riduttiva) sviluppati rispettivamente dalla britannica Frontier Developments di David Braben - inchino scappellato - e dall'americana Cloud Imperium Games Corporation di Chris Roberts - idem cum patatis.

"Mai prima d'ora due videogiochi hanno rappresentato con la medesima completezza passato, presente e futuro del settore"

Previsti nella versione definitiva entro un anno ma già downloadabili in Beta Elite: Dangerous e in Alpha l'altro, mai prima d'ora due videogiochi hanno rappresentato con la medesima completezza passato, presente e futuro del settore. Per tanti motivi diversi, che tenterò di chiarire nei paragrafi di seguito. Improvvisando un confronto fra titani solo per furberia comunicativa contrapposti. Perché in effetti, e il lettore dai gusti fini l'avrà capito da un pezzo, sono entrambi meritevoli d'imperitura venerazione. Ecco il perché di questo "versus" sui generis.

"Loading New Commander? Yes". Si parte.

Dal passato

Elite (Dangerous): corre il 1984 e stimolati dalla meraviglie tatcheriane, due studenti di Cambridge (come la metà dei Monty Python) s'inventano qualcosa di completamente diverso: mentre l'avanguardia videoludica è Bomb Jack della Tehkan (che ok, è Bomb Jack, ma vedete voi), Ian Bell e David Braben programmano un universo digitale sconfinato con 8 galassie, perlustrabili in lungo e in largo a bordo di navi spaziali il cui design sembra tradurre in pixel la bellezza immarcescibile della geometria pura.

Velivoli "espressivi" in quel modo che sarà proprio a Eve e Wall-E nel capolavoro Pixar di 25 anni dopo, per capirci, con nomi presi in affitto dalla leggenda tipo "Cobra MK III", "Krait" e "Viper". La visuale in soggettiva dal cockpit, la rigorosa fisica newtoniana dell'universo di gioco e la grafica tridimensionale in wireframe, hanno sull'intero settore videogiocoso lo stesso impatto che sette anni prima le guerre stellari di George Lucas, ancora loro, ebbero sulla settima arte. Peraltro il côté visivo della produzione non è nemmeno la sua caratteristica migliore.

In principio furono Elite, la Wall Street siderale...

Elite è invero una simulazione commerciale 'en travesti', un sistema raffinato di compravendita intergalattica capace di tradurre attraverso un algoritmo basato sulle successioni di Fibonacci il capitalismo spietato e onnivoro della sua era. È lo zeitgeist occidentale - sì, ho proprio scritto "zeitgeist occidentale" - in statistiche e iperguida.

In Elite il giocatore può uccidere ed essere ucciso da chiunque, in qualsiasi momento e per qualsivoglia motivo (sia pure dalla propria inettitudine ai comandi). Il suo unico scopo è arricchirsi per potenziare l'astronave di proprietà. Ergo, arricchirsi ancora. Per la causa, sono consentiti il commercio di schiavi e lo spaccio di narcotici alieni, come pure il traffico di tecnologie rubate, animali pericolosi e armamenti proibiti. Tutto senza nemmeno (poter) guardare la merce, l'apice di una spersonalizzazione che concettualmente dà due giri di pista alle provocazioni coi brufoli di GTA.

"In Elite l'utente vale quanto la sua nave. Ed è un valore quantificabile"

C'è di più: come noto a qualsiasi Han Solo da poltrona, pilotare un'astronave è impresa per pochi eletti (il titolo del gioco è il grado massimo di abilità cui si possa ambire fra le stelle). Anche solo l'attracco alle stazioni orbitanti in cui commerciare o rifugiarsi può equivalere alla morte se non effettuato a regola d'arte e fidatevi, quando l'ultimo salvataggio è su audiocassetta, la frustrazione fa sembrare Dark Souls 2 un pic-nic. Per non dire delle imboscate dei Thargoid, navi ottagonali rapide e ultra resistenti, pronte a disintegrare qualsiasi malcapitato con un'avaria ai propulsori.

In altri termini, Elite è un libello di poligoni contro l'individualismo economico in lacca, tailleur e faccia da vecchia megera che lo tiene a battesimo. Difficile dire se se ne accorga la BBC, che per la prima volta parla di un videogioco nel suo notiziario serale.

Non è un caso che in Elite il giocatore non possa separarsi dal proprio velivolo se non in capsule di salvataggio non interattive e, a ben guardare, ad esso coincida: per Bell e Braben l'utente vale quanto la sua nave. Ed è un valore quantificabile.

Non come lo Star Citizen di Wing Commander

Tutt'altra storia per Chris Roberts. Come a Mamoru Oshii, quel che interessa al 46enne autore di Star Citizen sembra essere il fantasma dentro la macchina. È vero, con Wing Commander nel 1990 Roberts resetta e ri-setta lo standard dei simulatori di volo spaziali. L'ispirazione, soprattutto in ambito stilistico ed estetico, arriva dalla serie televisiva Battlestar Galactica, prodotta da Glen Larson dal 1978 e a sua volta palesemente in scia al successo della trilogia fantascientifica lucasiana.

...e Wing Commander, l'uomo prima del cockpit.

La performance visiva di quella che in breve diverrà una saga videoludica fra le più note rischia tuttavia di adombrarne due caratteristiche via via più evidenti: la presenza (fisica) del pilota nell'abitacolo, testimoniata fin dall'immagine sulla confezione originale del gioco, e l'impeto narrativo, del tutto pretestuoso nella Wall Street siderale di Bell e Braben.

L'interesse di Roberts pare orientarsi alla narrazione epica. Nei suoi giochi l'utente è un pilota senza nome pronto a difendere in battaglia la storia propria e dei compagni. Prima si manifesta visibilmente nel cockpit, quindi diventa protagonista di cutscene capaci di ridefinire il rapporto fra videogioco e cinema (con buona pace di Hideo Kojima o David Cage).

"Se Elite è un simulatore commerciale dissimulato, i Wing Commander diventano generatori oscuri di sceneggiatura"

Se Elite è un simulatore commerciale dissimulato, i Wing Commander diventano generatori oscuri di sceneggiatura: al culmine della serie, gli esiti delle battaglie attivano turning point che determinano l'epilogo, trionfale o catastrofico, del videogame. Il contrario esatto della casualità procedurale celebrata da Elite.

La prominenza del lato umano diventa lapalissiana in Wing Commander IV: The Price of Freedom, una perla costata 12 milioni di dollari (nel 1995) e impreziosita, per la seconda volta, dai cameo digitalizzati di Malcolm McDowell e di quel Mark Hamill preso di peso dalla fantasilandia di zio George.

Non è un caso sia Luke, e non Han, a sedurre Roberts: cachet di Indiana Jones a parte, non era quella di Skywalker l'epopea Umana - nel senso più alto, di carne e spirito - che teneva in piedi tutta la baracca stellare, scorribande di capitan Solo comprese? Men che meno è un caso che avendo introdotto la Persona nei propri universi, Roberts abbandoni nel 1996 il gioco a causa dell'impossibilità tecnologica di supportare il suo sogno più intimo: diventare Han Solo? Di più, fondere un open world persistente in prima o terza persona a un simulatore di volo. In altre parole, creare un universo smisurato e parallelo al nostro, un sistema in cui migliaia di Han non saranno (più) soli.

A quel punto meglio dedicarsi, pur con risultati imbarazzati, al cinema (se di gusti fini, i lettori evitino come la peste Wing Commander: Attacco alla Terra del 1999, proprio diretto da Roberts). Almeno fino ai...

Giorni nostri

Oggi la Beta di Elite: Dangerous costa 120 euro (240 se volete la versione precedente già da antologia). Il prototipo disponibile supporta già Oculus Rift per un'esperienza per ora senza paragoni e che promette di essere la prima killer app per il visore virtuale di Facebook. Immaginate di volare nell'iperspazio e attivare le interfacce di comando laterali semplicemente guardandovi a destra o sinistra, e avrete un'idea precisa di quel che il gioco permette.

Elite: Dangerous, ovvero il valore dei ricordi.

Precisa, ma non sufficiente. A meno di non essere astronauti, Elite: Dangerous e Oculus Rift oggi regalano le sensazioni più vicine a quelle di una navigazione extraterrestre. Incredibile, in questo senso, anche la presenza apparentemente futile di piccolezze come la bambolina sulla plancia comando, perfetta per regolare/decifrare la spinta dei razzi. Per questo, nonostante l'uscita programmata entro fine anno nella sua versione definitiva, il titolo consente fin d'ora un'esperienza ludica con pochi paragoni. Forse un paragone solo.

Se dal punto di vista grafico è infatti Star Citizen a sembrare lo stato dell'arte, non significa che Dangerous non lasci attoniti: bastano i riflessi di un sole lontano rifratti dal pulviscolo sul parabrezza a convincere gli scettici. Ma per quanto graficamente non sia (ancora) insuperabile, sono le migliorie a un gameplay che già 30 anni fa sembrava inattaccabile a meravigliare.

"Elite: Dangerous e Oculus Rift oggi regalano le sensazioni più vicine a quelle di una navigazione extraterrestre"

Dell'Elite d'antan rimane invariata la gestione degli aspetti commerciali. Sono le possibilità d'interagire con la nave e l'ambiente a essersi moltiplicate (pare che nella versione definitiva saranno anche consentite passeggiate spaziali per riparare i velivoli). I dettagli danno brividi di piacere e l'universo di gioco potrebbe estendersi fino a comprendere 150mila sistemi solari (veri) in scala 1 a 1.

Fasi ed elementi una volta solo accennati oggi sono visibili e controllabili: dalla gestione dei sistemi vitali del velivolo o dalla possibilità di penetrare davvero in una stazione orbitante, il cui accesso era prima solo evocato da un menu testuale, alla delicata manovrabilità nelle fasi di volo a velocità superluminali o supercruise ("A che distanza stacchi?).

Atterrare, in Dangerous, significa letteralmente appoggiarsi al landing pad dopo aver ottenuto il permesso d'attracco (qualsiasi violazione determina una reazione delle stazioni orbitanti. L'ultima cosa che vorreste testare, fidatevi). E la manovra è già una bella soddisfazione dopo un volo governabile a 20 o 24 celeritas (non bastasse, c'è pure un contrappunto sonoro ad hoc, capace di titillare qualsiasi fan del Vangelis di Blade Runner).

Elite: Dangerous: se 30 anni fa sembrava inattaccabile, ora è una meraviglia.

Gli scontri a fuoco intimoriscono come ai vecchi tempi, per quanto adesso possiate decidere di riparare i sistemi della vostra astronave durante la battaglia. Ma se ce la fate con tre minuti d'ossigeno residuo, magari a causa di uno squarcio nello scafo, scrivetemi (@Addioegrazieper).

Le prime testimonianze di camper appostati nei pressi delle stazioni orbitanti hanno peraltro innescato reazioni interessanti: la polizia del gioco sarà aggressiva e celere, hanno confermato da Frontier Developments, mentre voli di gruppo o missioni di scorta in co-op saranno incoraggiate. Indizi di un'esperienza ludica che potrebbe davvero segnare, come fu già ai tempi d'oro, un prima e un dopo Elite.

"In Elite: Dangerous gli scontri a fuoco intimoriscono come ai vecchi tempi"

Solo un'incertezza separa Dangerous dalla perfezione: al momento di scrivere queste righe, non si sa se le astronavi consentiranno equipaggi multipli. Una differenza non da poco rispetto a...

Star Citizen, hic et nunc

Con una spesa di almeno 30 dollari, il nuovo gioco di Roberts permette per ora due esperienze separate: un tutorial in volo dentro un campo di asteroidi, che introduce missioni di combattimento in single e multiplayer. E una camminata, a piedi, in prima o terza persona, nel proprio hangar, laddove sono stoccati gli astrovascelli acquistati dall'utente - con investimenti che possono arrivare a 10mila dollari per navi madre con equipaggi da decine di persone.

La simulazione di volo è appassionante. Meno accurata in termini fisici di quella di Elite, la supera per manovrabilità, ovvio, per il dettaglio grafico di astronavi e ambienti di gioco e per la possibilità, in ogni momento, di alternare le telecamere, visualizzando l'azione anche da punti di vista esterni ai mezzi. A proposito, ogni comando del giocatore produce reazioni (fisico meccaniche) dell'avatar umano e dell'astronave, fra alettoni mobili, assetti di volo variabili, paratie apribili e tutta una serie di minuzie da nirvana per maniaci (date un'occhiata alle due torrette armate della "Constellation" e ditemi quale ammasso di ferraglia corelliano vi viene in mente). I mezzi sono danneggiabili con evidenti effetti su navigazione e prestazioni belliche, e i loro frammenti vagano nello spazio infinito.

Star Citizen ha trovato un tesoro in una nicchia di mercato.

Nonostante la compatibilità con Oculus Rift sia stata annunciata ma non ancora effettiva, quanto visto fino a oggi potrebbe anticipare meraviglie. La sfida sarà gestire l'impressionante mole d'informazioni sull'unico server decantato da Cloud Imperium Games Corporation.

È tuttavia quanto promesso in sordina da Star Citizen a essere anche più importante: la parte "a piedi", che rende legittimo immaginare sessioni di gioco esplorative, frangenti in FPS o TPS, missioni cooperative o l'un contro l'altro armati che contemplino combattimenti in volo e a terra, un'ampia personalizzazione di mezzi e personaggi. Tutto in un universo persistente e massivo, concepito in due tronconi separati: una campagna militare in single player, parziale con trama ed epilogo (Squadron 42), e un open world in cui combattere, commerciare o fare chissà cosa con migliaia di altri.

"Star Citizen è un gioco capace di ibridare MMO, first person shooter, titoli gestionali, flight simulator e realtà virtuale"

Se di fronte alla consapevolezza metodica di Elite: Dangerous e del suo autore l'appetito onnivoro di Chris Roberts non stridesse ancora di più, diremmo che Star Citizen fa sperare in un'esperienza ludica strutturata come nient'altro di già noto. Un gioco capace di ibridare in maniera definitiva MMO, first person shooter, titoli gestionali, flight simulator e realtà virtuale. Ambizioso come un mondo nuovo.

Il domani che ci aspetta... grazie a David e Chris

Elite: Dangerous e Star Citizen sono i tripla A di una generazione nuova, esempi luminosi di indie blockbuster. Lo sono per vocazione, produzione, strategia di sviluppo e comunicazione.

Sfidano l'industria tradizionale eludendone persino le piattaforme regine con una distribuzione (per ora) in esclusiva su PC. Una scelta peraltro in linea con l'incremento dei consumi videoludici su personal computer, che dagli attuali 21,5 miliardi di dollari annui lieviteranno a 23 entro un biennio (fonte: "Forbes", 15 luglio 2014).

Volendo, Elite: Dangerous e Star Citizen potranno pure ignorare le piattaforme di digital delivery più blasonate - leggi Steam - raggiungendo comunque community tutt'altro che piccole. Anzi, nicchie d'appartenenza fedeli e consolidate. Soprattutto, le centinaia di migliaia di sostenitori (finanziari) consentono la libertà contenutistica che è la vera roccaforte dello sviluppo autonomo.

Elite Dangerous e Star Citizen sono tripla A autonomi, indie blockbuster della nuova era.

Se Braben è riuscito ad accumulare due milioni di sterline con un titolo in grado di recuperare i desideri nostalgici di una generazione per soddisfarli come mai prima (motivo per cui può permettersi di vendere un prototipo a 240 euro), Roberts ha reso pubblico un sogno privato cavalcando la "spammitudine" dell'era digitale. Ha sfruttato il suo buon nome, un teaser clamoroso, una nicchia di mercato ricettiva e orfana d'immaginario - i PC gamer e la loro brama di fantascienza - e senza nemmeno partire da Kickstarter, laddove è approdato poi, invece dei 2,7 milioni di dollari richiesti si avvia oggi a raccoglierne più di 50.

"Il mezzo milione di "azionisti" di Star Citizen viene titillato con una strategia commerciale da profeti del marketing"

Il mezzo milione di suoi "azionisti" viene titillato con vendite a orologeria di gadget non necessariamente digitali, attraverso l'antichissima strategia commerciale che reitera il desiderio di acquisto e appartenenza, l'aspettativa e l'identificazione con il "marchio". Roba da profeti del marketing ma a differenza loro lui sa come si fa. Anche in virtù di una trasparenza comunicativa, questa sì rivoluzionaria, che sottopone gli obiettivi aziendali all'utenza. Un fattore che ha permesso alla Cloud Imperium Games Corporation di ignorare investimenti esterni e mantenere sul proprio lavoro un controllo artistico incondizionato. Per questo Elite: Dangerous e Star Citizen sono un successo prima ancora della pubblicazione.

Sia chiaro, sarebbe ingenuo credere che qualsiasi game designer da cameretta da domani possa ottenere i medesimi risultati di Frontier Developments o Cloud Imperium Games Corporation. Bisognerebbe intanto essere in grado di concepire e realizzare giochi come i loro ma non notare quanto di nuovo, eversivo ed "esportabile" suggeriscono le produzioni di Braben e Roberts, peccherebbe di altrettanta superficialità.

In fondo, Elite: Dangerous e Star Citizen sono come Han Solo, pirati dalle belle speranze pronti a spiccare il salto nell'iperspazio. Ma ancora lontani, per fortuna, dalla promozione irregimentata a generali.

Mentre la morte nera incombe, una nuova speranza dilaga. «Chewie, orienta i deflettori, mentre io carico le armi grosse». Ecco, l'ho detto.

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Elite: Dangerous

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Emilio Cozzi

Contributor

Nasce 45 anni fa durante una partita della Nazionale, che distrae i medici. Da allora non ama particolarmente il calcio, ma si occupa di cultura, intrattenimento e scienza. Scrive di videogiochi e cultura videoludica su Il Sole 24 Ore, Wired e Il Corriere della Sera. Dirige la sezione space economy di Forbes Italia e Cosmo. Lo trovate ancora lontano dai campi di calcio. O su Twitter come @Addioegrazieper
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