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Farpoint - recensione

Il futuro degli FPS passa per PlayStation VR?

L'evoluzione delle light gun delle sale giochi. Uno sparatutto modesto. Vero, ma è anche un esempio degli FPS del futuro. Da provare.

"Con la schizofrenia non sarai mai solo", amava dire il buon Marco Auletta ai tempi che furono, e devo dire che nel concepire questa recensione non mi sono mai sentito così in compagnia. Tutto quello che leggerete di qui in avanti, voto compreso, sarà infatti un susseguirsi di alti e bassi, pro e contro, critiche ed elogi. E di conseguenza il voto, ve lo anticipo, sarà lo specchio di questa mutevolezza.

Eppure recensire Farpoint è una di quelle cose che dopo oltre vent'anni di militanza editoriale mi divertirà. Perché è molto facile trattare i titoli belli, così come quelli brutti: il voto vien da sé. Stavolta invece non sarà così, e pensando al numerino che assegneranno i miei colleghi a questa esclusiva di Sony, mi immagino un range di voti capace di spaziare dal 4 all'8 (di più no, che sarebbe troppo).

Non sarà facile esprimere un giudizio su Farpoint anche perché il gioco è inserito in un contesto che lo rende unico, ossia la realtà virtuale. A seconda dell'occhio con cui lo si guarda, infatti, il titolo degli Impulse Gear presenta innegabili difetti, così come evidenti pregi. Che però insieme formano un unicum inestricabile.

Cominciando dai primi, abbiamo un comparto grafico che ancorché tra i migliori visti finora su PlayStation VR, è ben lontano da quelli che sono gli attuali standard di mercato. E dunque il giocatore occasionale che voglia avvicinarsi a Farpoint, dovrà necessariamente far buon viso a cattivo gioco. La definizione dell'immagine lascia infatti a desiderare (ma è una prerogativa della PSVR), la conta poligonale è roba da last gen, così come gli effetti grafici e la qualità delle texture.

Non è un'immagine del gioco, bensì un artwork. Ma è esattamente come vi sentirete giocando a Farpoint.

In secondo luogo, il gioco in sé non è certo memorabile. In un mondo che ormai ha virato nettamente verso gli open world, ci troviamo di fronte a un'esperienza fin troppo lineare, e là dove i Call of Duty di turno si sforzano di mascherare questo limite presentando qualche bivio, qui ci troviamo di fronte a 6 ore circa di canaloni, in cui il massimo della scelta concessa è se andare a destra o a sinistra in una sezione comunque larga pochi metri.

L'intelligenza artificiale degli avversari è poi basilare, e se gli insettoni giganti attaccano tutti con un unico e prevedibile pattern, gli altri nemici che troverete più avanti (non vi dico quali per evitare spoiler) se ne stanno rigorosamente rintanati dietro a una copertura, aspettando solo di essere uccisi non appena mettono il crapino fuori dal muretto. Nessuno di essi si sogna di venirci a stanare, col risultato che se butta male possiamo tranquillamente fermarci dietro a una copertura e attendere di tornare in salute.

Poco convincente è anche la sceneggiatura, che racconta di un'astronave terrestre, la Pilgrim, che durante una normale operazione nello spazio viene risucchiata da un wormhole e spedita a 800mila anni luce dal nostro pianeta. Il nostro compito sarà allora ripercorrere i passi degli unici due superstiti, Eva Tyson e Grant Moon, le cui gesta ci verranno narrate attraverso degli improbabili ologrammi che appariranno in precisi punti della mappa.

Non si capisce chi o cosa li abbia lasciati lì, né per quale ragione una volta che ne avremo visti un po' saremo in gradi di assistere a intere sequenze di vita quotidiana dei due protagonisti. Anche il finale, più che spiegare aggiunge interrogativi a una trama che non scende mai troppo in profondità. Insomma, gli Impulse Gear forse hanno voluto dare un certo spessore narrativo a Farpoint, senza capire però come inserirlo coerentemente all'interno del gioco.

Farpoint può essere giocato anche in coop. Vista la scarsa diffusione del PSVR, però, è meglio darsi appuntamento con gli amici. Trovare una sessione cui unirsi potrebbe essere meno facile del solito.

Mettiamoci poi un fluire della linea temporale preso in prestito da Interstellar ma con qualche incoerenza di troppo, e il voto che assegneremmo a Farpoint, si trattasse di un FPS tradizionale, sarebbe insufficiente. Anche perché, a voler proprio essere cinici, alcune fasi del gioco degli Impulse Gear ci hanno ricordato fin troppo i vecchi coin-op da sala giochi con le light gun.

Ma, lo dicevamo all'inizio, Farpoint è un gioco in realtà virtuale, il che cambia tutto. Per cui è vero che la grafica è quello che è, ma quando all'inizio del gioco ci troviamo a camminare sul suolo di un pianeta marziano, viviamo immediatamente quel trasporto e quella suggestione che, diversamente, non avremmo provato neppure di fronte a un comparto grafico di primissimo piano.

E quindi quella sabbia portata dal vento, quella voragine nel deserto all'orizzonte, quel costone di roccia a ridosso di uno strapiombo, quel ponte di energia sospeso nel vuoto, finiscono per restare impressi nella nostra memoria ben oltre i loro meriti. Perché sono lì, davanti a noi e non su un monitor.

Un altro dei meriti di Farpoint è quello di farci vivere alcuni momenti degli sparatutto così realisticamente come mai ci era accaduto prima. Grossa pare del merito va al PlayStation VR Aim Controller, un elegante giocattolo di plastica quando lo si estrae dalla confezione che una volta indossato il caschetto diventa un mitragliatore, un fucile a pompa, un fucile da cecchino, un fucile al plasma (dotato di scudo portatile) o un lanciadardi.

La modesta risoluzione del PSVR fa sì che in game le immagini siano molto meno definite di quelle che vedete a corredo di questa recensione. Peccato anche per la gestione della visuale: basta guardarsi i piedi od oltre la spalla per vedere l'interno del proprio corpo.

Nella nostra vita di videogiocatori avremo usato chissà quante armi diverse tra loro, eppure mai nessuna l'abbiamo potuta impugnare realmente, rigirandola nelle nostre mani, guardando quel segno sul calcio o quella scrostatura di vernice sulla canna.

Il realismo in Farpoint, di conseguenza, lo proviamo dal primo sparo. Non più muovendo uno stick analogico o spostando un mouse, ma letteralmente imbracciando un'arma e puntandola verso il nemico. E se proviamo a prendere la mira, come per magia noteremo un mirino olografico apparire sopra la canna del fucile, che ci porterà istintivamente a chiudere l'occhio sotto al visore.

Nelle fasi più avanzate, a quanto descritto s'aggiunge un ulteriore strato di realismo, quando superata la sezione alla Starship Troopers ci troviamo ad affrontare un nemico più insidioso, perché più potente. Cominciamo allora a sparare usando le coperture e ci troviamo a compiere nel nostro salotto quei movimenti che abbiamo visto in chissà quanti film d'azione o documentari, ma che non abbiamo mai fatto per davvero videogiocando.

Ecco allora che ci spostiamo col corpo dietro a un riparo e poi incliniamo il busto quel tanto da mettere la canna del fucile oltre di esso, tornando subito in copertura quando i proiettili iniziano a sibilarci attorno. Il risultato è che giocare a Farpoint seduti è possibile ma difficile, perché l'istinto è quello di spostarsi per davvero nell'ambiente. Fortunatamente il gioco mostra un reticolo ogni volta che usciamo dall'angolo ideale della telecamera, facendoci capire dove riposizionarci e in quale direzione guardare. E meno male, perché ci è capitato più volte di ritrovarci qualche metro più in là rispetto a dove credevamo d'essere.

La regina degli insettoni pare enorme in questa immagine, ma è vi sembrerà gigantesca quando l'avrete letteralmente davanti.

Della trama abbiamo già detto e il nostro giudizio non cambia anche se vista in soggettiva. Eppure un conto è vedere dei personaggi che parlano e si muovono sullo schermo, un conto è averli lì davanti, essere in mezzo a loro. Una sensazione questa che capirà bene chi ha già giocato a Batman Arkham VR, e che qui viene accentuata da una recitazione e da un doppiaggio davvero eccellenti.

Tra un livello e l'altro assistiamo ai dialoghi tra Eva Tyson e Grant Moon, ai loro mutevoli stati d'animo, a una blanda confidenza nel futuro che lascia spazio dapprima alla disperazione e poi all'accettazione. E noi, siamo lì, in mezzo a loro, un'invisibile presenza che li osserva a pochi centimetri di distanza, guardando di tanto in tanto oltre i vetri impolverati del rifugio, ammirando l'ottimo lavoro svolto col motion capture, la grande espressività facciale dei protagonisti e persino le lacrime che a un certo punto righeranno il volto di Eva.

A questo punto ci sarebbe da dire che Farpoint non che una lineare campagna single player di circa sei ore, con l'aggiunta di una coop (ma trovare una sessione non sarà facile, vista la scarsa diffusione della VR) e una modalità sfida a punti, in cui superare le mappe già viste nel single player entro un certo limite di tempo, e dove a ogni uccisione corrisponde un punteggio (e qui i rimandi ai coin-op sono innegabili). Ma sono orpelli che allungano di poco la longevità, senza nulla togliere o aggiungere all'impianto complessivo.

Potremmo anche dire che tra tutti i titoli visti finora su PSVR, Farpoint è quello che offre il miglior sistema di calibrazione, consentendoci d'impostare anche variabili quali la nostra altezza e la mano con cui impugniamo l'arma. E venendo incontro agli stomaci più sensibili, il gioco blocca di default lo stick posteriore del VR Aim, comunque regolabile a piacimento dalla schermata delle impostazioni per compiere quegli strafe circolari irrinunciabili per ogni appassionato (ma aspettatevi qualche vertigine, soprattutto all'inizio).

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Indugiare in questi tecnicismi significherebbe però distrarre la nostra attenzione da quella che è l'offerta complessiva degli Impulse Gear. Che è innanzitutto un'esperienza di gioco completa come Resident Evil 7, e non una tech demo da mostrare ad amici e parenti. E che, come tale, non solo intrattiene ma ci mostra uno scorcio di quello che potrebbe essere il futuro degli sparatutto in soggettiva. Perché sia chiaro, dopo aver giocato a Farpoint, riprendere in mano un FPS tradizionale pare un balzo carpiato nel passato.

Eppure, lo dicevamo, Farpoint non è un gioco riuscito in tutte le sue componenti, e solo grazie alla realtà virtuale trova quello slancio per arrivare al sette che vedete qui sotto. Che sarebbe la media tra il voto (basso) che assegneremmo al gioco in sé, visto anche il prezzo non indifferente di 59,99 euro in versione stand alone e 89,99 in bundle col VR Aim Controller; e quello (alto) derivante dalle emozioni e dal senso di meraviglia che abbiamo più volte provato con indosso il caschetto di Sony.

Chi non è ancora passato alla VR probabilmente tirerà dritto davanti a Farpoint; d'altronde sul mercato ci sono numerosi sparatutto 'tradizionali' migliori di questo. A chi invece ha acquistato la nuova periferica di Sony, raccomandiamo di prendere in considerazione l'acquisto dell'opera degli Impulse Gear. Che insieme a Resident Evil 7 dimostra le reali potenzialità di una tecnologia finora in chiaroscuro.

Farpoint è solo un gioco da 7, che però ci sentiamo di raccomandare caldamente. D'altronde lo dicevamo che questa sarebbe stata una recensione ricca di contraddizioni.

7 / 10

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Stefano Silvestri

Editor in Chief, EG.it

Il suo passato è costellato di tutto ciò che è stato giocabile negli ultimi 40 anni. Dal ’95 a oggi riesce a fare della sua passione un mestiere, non senza una grande ostinazione e un pizzico di incoscienza.
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