Skip to main content
Se clicchi sul link ed completi l'acquisto potremmo ricevere una commissione. Leggi la nostra policy editoriale.

Statik - recensione

Inquietanti esperimenti scientifici in realtà virtuale.

Statik non avrà la componente splatter di un Hostel, né un villain psicopatico e spietato come nella saga di Saw, eppure, non appena ci si ritrova entrambe le mani legate, incastrate, fuse ad uno strano marchingegno a forma di scatola, ci si sente irrimediabilmente prigionieri, ostaggi, vittime sacrificali di chissà quale sadico criminale.

L'illusione dura appena un secondo, il tempo necessario per mettere a fuoco quello che sembra in tutto e per tutto un laboratorio, con tanto di silente scrutatore in camice, pronto a segnare pedissequamente, sul suo taccuino, ogni nostra reazione, ogni esitazione, ogni tentativo fallito di liberarsi da quella morsa.

La realtà virtuale, la stretta e salda presa sul Dualshock 4 che idealmente "incatena" le mani dell'utente, concorrono ad incentivare un'immedesimazione totale, quasi asfissiante e terrificante vista la precaria, incomprensibile e assurda situazione in cui riversa l'avatar, vera e propria cavia alle prese con un esperimento dalle finalità, dagli esiti, dai procedimenti oscuri, misteriosi, minacciosi.

Il volto dello scienziato che vi tiene sott'occhio sarà costantemente oscurato. Il motivo? Non è detto che lo scopriate.

Statik è un puzzle game che sfrutta con strepitosa efficacia le potenzialità del PlayStation VR, periferica imprescindibile per immergere il videogiocatore in un'esperienza dai ritmi naturalmente pacati, blandi, ma dall'atmosfera claustrofobica, in cui non bisogna combattere la motion sickness, vista la totale immobilità in cui è costretto lo sfortunato protagonista, quanto il crescente stato d'ansia generato dal silenzio assordante della struttura, dalle luci artificiali, dal presentimento che, da un momento all'altro, attivando qualche meccanismo, possa accadere l'irreparabile.

Il concept di fondo, a ben pensarci, non si discosta molto da quello di Open Me!, sconosciuto quanto geniale puzzle game, pubblicato su PS Vita nel 2013, che faceva un interessantissimo utilizzo della realtà aumentata. All'epoca si trattava di ruotare letteralmente attorno a piccole scatole digitali, emerse come per magia nella stanza in cui vi trovavate, naturalmente visualizzabili solo guardando attraverso lo schermo del portatile, al fine di trovare il modo di aprirle, attivando congegni, azionando leve, premendo pulsati, interagendo sempre ed esclusivamente tramite touch-screen e touch-pad di cui è dotato l'handheld di Sony.

Il concetto è lo stesso, con la differenza che gli accelerometri del Dualshock 4 sono chiamati in causa per ruotare la scatola, mentre trigger, pulsanti, croce direzionale e analogici attivano, di volta in volta, specifici meccanismi. Serve logica e un numero indefinito di tentativi anche solo per capire quali tasti attivino i singoli dispositivi.

Il comparto grafico si difende alla grande anche sulla versione più antiquata di PlayStation 4. Tuttavia, solo su PlayStation 4 Pro l'aliasing che sporca i contorni degli oggetti più lontani scompare del tutto.

Tra laser da azionare, suoni elettronici da tramutare in comandi, tubi da ricollegare e combinazioni da scovare, spesso e volentieri si tratta, prima di tutto, di cogliere il dettaglio, l'indizio nascosto nel laboratorio, impresso proprio tra le tante scartoffie, tra i disegni e gli schemi che riempiono e si arrampicano sulle pareti.

Nonostante gli enigmi proposti non siano moltissimi, quattro ore sono più che sufficienti per completarli tutti, ognuno spicca per originalità, per il modo con cui mette alla prova le capacità deduttive e logiche del videogiocatore. In tutto questo, l'atmosfera riveste un ruolo tutt'altro che secondario. Come già anticipato, l'aria che si respira è quella di un esperimento in cui siete stati coattamente coinvolti. Nonostante non ci sia una vera e propria trama che colleghi una prova all'altra, c'è comunque un punto d'arrivo, un preciso momento in cui gli sforzi dell'utente si concretizzano in un finale in linea con quanto preventivato dalle premesse.

Statik è un puzzle game appassionante, dotato di carattere, originale. Riesce, inoltre, nel non semplice compito di rendere la realtà virtuale necessaria, imprescindibile, il valore aggiunto di questa piccola produzione. Non lo fa certamente proponendo meccaniche di gameplay altrimenti irrealizzabili, quanto sottendendo un'ambientazione claustrofobica, conturbante, inquietante al punto tale da rendere ancor più ossessiva e urgente la risoluzione dell'enigma di turno.

Nonostante la relativa mancanza di indizi, Statik non è mai frustrante. Basta non farsi scoraggiare se, sulle prime, non si capisce nemmeno come interagire con la scatola di turno.

Il coinvolgimento emotivo dell'utente è un fattore tutt'altro che secondario nell'economia del gioco, al punto che, per rendere totale il distacco con la realtà, anche in assenza di una vera e propria colonna sonora, l'uso di un buon paio di cuffie è caldamente consigliato.

Tarsier Studios, team responsabile dell'altrettanto ottimo Little Nightmares, si riconferma una software house di talento, capace di confezionare esperienze affascinanti e consigliatissime ai fan del genere.

8 / 10