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MGW 2017: Venti minuti con Tim Schafer - intervista

Abbiamo incontrato il guru della Milan Games Week (e dei videogiochi), parlando del passato, del presente e del futuro dell'industry.

Nella giornata di apertura della Milan Games Week ho avuto il piacere di intervistare Tim Schafer, guru della settima edizione del più importante consumer show italiano dedicato ai videogiochi, che qust'anno è in programma dal 29 settembre all'1 ottobre 2017 alla Fiera di Milano Rho.

AESVI, Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani, nel presentare Tim Schafer ricorda che è "Presidente e CEO di Double Fine Productions, studio di sviluppo con sede a San Francisco cui si devono giochi quali Psychonauts, Brütal Legend, Costume Quest, Stacking, Iron Brigade, Kinect Party e The Cave".

E anche che "Schafer ha lanciato Double Fine Adventure, meglio noto come Broken Age, un progetto su Kickstarter che ha ottenuto un finanziamento multimilionario da record, inaugurando una nuova era di titoli indie supportati dal crowd-funding. Prima di Double Fine, Schafer è stato Project Leader in LucasArts Entertainment Company, dove ha curato la realizzazione di diversi videogiochi di avventura per PC, tra cui Grim Fandango e Full Throttle".

Se a ciò aggiungiamo che "Schafer ha anche contribuito alla realizzazione di Day of the Tentacle e dato il suo supporto come sceneggiatore e assistant designer di The Secret of Monkey Island 1 & 2", è chiaro che siamo di fronte a un personaggio che merita il rispetto e la devozione di qualsiasi giocatore, soprattutto se di vecchia data.

Ed è questa la chiave che ho voluto dare all'intervista: non capita spesso, infatti, d'intervistare game designer che siano sopravvissuti allo scorrere inesorabile del tempo, restando sulla scena dalla golden age di questa industry fino ad oggi. E siccome chi scrive al solo sentir parlare di Tim Schafer ricorda gli esordi della sua carriera, ecco spiegato il testo che segue. Che vi porterà avanti e indietro dagli anni '90 a oggi, con un sguardo al passato e uno al futuro dei videogame, coi suoi nuovi trend che non necessariamente sono un bene, come dirà Tim più avanti. E, ovviamente, non senza un pizzico di amarcord.

A Tim Schafer non manca certo il senso dell'umorismo e immagini come questa ne sono la prova.

Lavori in questo settore dai suoi albori. Qual è il tuo bilancio? Come si è evoluto il medium e l'industry attorno ad esso?

La cosa che m'impressiona maggiormente dei tempi che corrono è il contatto col pubblico e il ruolo che questo gioca sul processo creativo. Quando ho iniziato non si pensava neanche che esistesse un mondo al di fuori del proprio studio di sviluppo. C'era solo la stampa specializzata, per il resto si cercava unicamente di fare il gioco che piacesse a te e ai tuoi colleghi. Oggi invece ti capita magari di creare un videogame e guardare poi qualcuno che lo streamma su Twitch, e tu sei tra i suoi spettatori. Questo è senz'altro un cambiamento importante. Per il resto il cuore dei videogiochi non è poi cambiato molto: cerchiamo sempre di attrarre le persone nei nostri mondi di fantasia, e di sorprenderle.

Però è cambiato il mondo attorno ai videogame. Una volta contava unicamente il game designer, oggi l'importanza del marketing, delle public relation e dei social gioca un ruolo paritario, se non più importante, dello sviluppo.

Dipende. Io ad esempio lavoro oggi in una realtà più piccola rispetto ai tempi di LucasArts, e posso usare motori quali Unity e Unreal Engine che mi permettono di essere ancora più snello che in passato. E ce ne sono talmente tanti di sviluppatori indipendenti come me che è ormai difficile riuscire ad attirare l'attenzione del pubblico sui propri prodotti. Certo, ci sono anche i tripla A cui tu ti riferisci, ma ci sarà sempre spazio per gli indie. Piuttosto, credo che il tuo lavoro in questi anni sia cambiato molto più del mio.

In effetti ho iniziato sulla carta stampata, poi ho assistito all'arrivo dell'online, di YouTube, dei social, dello streaming e degli eSport... ma torniamo a noi: quanto sei cambiato dal 1989, data dei tuoi inizi, a oggi? Se la vita fosse un gioco di ruolo, come hai allocato i tuoi punti esperienza?

Il più grosso cambiamento per me è stato l'abbandonare una realtà come LucasArts e divenire uno sviluppatore indipendente. Ma anche uno che gestisce gli altri e che fa in modo che il proprio team si trovi nelle migliori condizioni per lavorare.

Un'immagine attuale di Tim Schafer.

Provo allora a porti la domanda in un altro modo. C'è qualcosa oggi che faresti diversamente rispetto ai tuoi esordi?

Non saprei. Oggi come allora quando penso a un videogioco creo dei personaggi, quindi mi pongo nella loro testa e improvviso. Questa parte del processo creativo è rimasta immutata. Quello che è cambiato è tutto quello che sta attorno al videogioco, il fatto che sono diventati un business. Quindi... dove ho allocato i miei punti esperienza? Senz'altro nell'abilità di saper tagliare, di ridurre il superfluo. Quando ho iniziato cercavo di mettere dentro i videogiochi qualsiasi idea mi passasse in testa, ora ho imparato a togliere quel che non è necessario.

Riguardando indietro a tutti i giochi cui hai lavorato, qual è quello che reputi essere il migliore e quale invece il peggiore?

È difficile dire quale sia il gioco migliore. Ognuno è unico ai miei occhi, alcuni erano molto personali, altri invece mi hanno suscitato emozioni diverse. Non credo comunque che spetti a me dire quale sia stato il videogame migliore o quello peggiore, ma a voi e al pubblico.

Cambiamo allora argomento. Qualche anno fa il crowdfunding sembrava la nuova frontiera dei videogiochi, e molti sviluppatori hanno creduto che grazie a Kickstarter ci si sarebbe liberati dal gioco dei grandi publisher. A distanza di qualche anno il fenomeno sembra però rientrato e m'interessava l'opinione di chi questo sistema di finanziamento lo conosce molto bene...

Quando è uscito Kickstarter, per noi è stata un sorpresa, dal momento che si dava potere agli appassionati e agli sviluppatori. Ma la novità da allora è andata esaurendosi, perché tutti hanno voluto salire sul carro del crowdfunding. È per questo che nel 2015 abbiamo creato Fig: grazie al fatto che i backers possono ricevere proventi dai prodotti finanziati, non ci sono più donatori ma investitori. Col risultato che Kingdoms and Castles ha fruttato proventi a chi tra il pubblico ci ha creduto.

Psychonauts è uno dei titoli più famosi di Tim Schafer in veste di sviluppatore indie.

Uno sviluppatore viene da te e ti chiede: "Tim, dammi qualche consiglio per essere un buon game designer". Cosa gli rispondi?

Beh, fare il mio mestiere oggi è molto più facile che in passato. Ora basta scaricarsi l'Unrel Engine ed ecco che per cominciare hai già il motore grafico. E poi, adesso, qualsiasi dubbio uno possa avere, basta andare online per trovare la risposta. Tolto questo, raccomanderei di essere il più personali possibile e non di appiattirsi sulle produzioni altrui, clonandole. Io ad esempio ho sempre avuto la passione per la psicologia, l'antropologia e l'heavy metal, e ho provato a convogliare questi interessi nelle mie produzioni.

E gli suggeriresti di restare del tutto indipendente, finanziandosi magari col crowdfunding, o di provare ad affiliarsi alle etichette indie di Sony e Microsoft?

Dalle collaborazioni con le first party possono derivare visibilità mediatica e alla volte anche finanziamenti per cui sì, glielo raccomanderei. Ma va anche detto che la ragione per cui si sceglie di essere indipendenti, di solito, è proprio perché non si vuole lavorare per conto di altri. Io stesso, comunque, ho imparato molto dalla mia esperienza con LucasArts, per cui si può anche lavorare inizialmente per un grande publisher, fare tesoro degli insegnamenti appresi e poi mettersi in proprio.

Alla Gamescom ho intervistato Amazon in merito alle loro strategie in ambito gaming, e ho trovato interessante la loro attenzione nel rendere i videogiochi i più 'televisivi' possibile. Questo però significa piegare la propria creatività per provare a beneficiare della visibilità derivante da Twitch. Qual è dunque la tua opinione sull'importanza crescente dello streaming? E quanto un game designer dovrebbe provare ad adattarsi a questo trend?

Credo che lo streaming funzioni bene per alcuni generi e male per altri. Ad esempio non funziona bene coi miei titoli, dal momento che mi trovo a mio agio a produrre giochi single player con una forta componente narrativa. Cioè giochi che io per primo non guarderei su Twitch per non spoilerarmi la storia. Capisco invece che la formula possa funzionare per giochi come Rocket League, Minecraft e tutti i titoli che sono esport. Ma io non riesco a relazionarmi bene con gli streaming e non ritengo che siano necessariamente una cosa buona.

Il successo di giochi come Rocket League sta allontanando i publisher dalle produzioni single player? Per Tim Schafer il rischio è concreto.

Anche perché stiamo assistendo a un progressivo allontanamento dei publisher dalle produzioni single player e, probabilmente perché non sono mai stato bravo a predire il futuro, va ancora capito se questo sia un trend destinato a durare o meno. Certo è che l'industry dei videogiochi in questi anni ha mostrato di cambiare molto velocemente e non necessariamente in un'unica direzione.

Spesso tra giornalisti ci divertiamo a decidere quale sia stato il momento migliore per fare il nostro mestiere, e siamo tutti d'accordo che siano stati gli anni '90. Qual è stato invece secondo te il momento migliore per fare il game designer? Non dirmi che lo è oggi solo perché ci sono Unity e l'Unreal Engine!

Oggi ci sono non solo i motori grafici disponibili per tutti, ma il crowdfunding che offre una grande liberta creativa. Gli anni '90 sono stati belli sotto alcuni punti di vista, ma avevano i loro problemi. Rispondendo alla tua domanda, ti dico i primi anni di Double Fine Productions. C'erano nuove console, una competizione serrata tra piattaforme e molte opportunità. Sì, diciamo che il periodo che va dal 2000 al 2005 secondo me è stato il migliore. Anche perché ho potuto mettere bene in pratica ciò che avevo imparato nel decennio precedente.

Peter Molyneux, Charles Cecil, David Perry: questi sono alcuni dei nomi dei game designer più in voga che intervistavo agli inizi della mia carriera. Di questi, pochissimi sono riusciti ad arrivare fino ai giorni nostri. Per quale ragione secondo te così pochi si sono adattati al cambiamento? E perché invece tu ci sei riuscito?

Per quanto mi riguarda, la risposta è prettamente finanziaria: non sono mai riuscito a guadagnare abbastanza soldi da potermi ritirare! Ma tornando seri, credo sia una questione di capacità di adattamento. Quando ho realizzato di non poter più produrre giochi tripla A, sono subito passato a giochi indie dal budget più contenuto. E credo che aver continuato a farlo sia stato una grande idea. Non sono comunque una persona che guardi troppo al passato e anche questo credo sia un elemento importante. Faccio un gioco e passo subito a quello dopo, un po' come i protagonisti dei film d'azione che camminano via lentamente mentre alle loro spalle avviene un'esplosione.

Tim Schafer afferma di essere appassionato di psicologia, antropologia ed heavy metal. Non a caso a lui si deve anche il geniale Brutal Legend.

Recentemente ho intervistato Facebook, che oltre a spiegare il suo rafforzato impegno negli esport ha detto di voler insistere con Gameroom e gli Instant Games. E in questi anni, quella dei giochi free to play, è stata un'altra delle grandi rivoluzioni che hanno riguardato il nostro settore. È un genere che t'interessa e nel quale potremmo vederti impegnato in futuro?

Non mi sono mai visto a fare Instant Games. Si tratta di prodotti davvero casual, che si giocano magari mentre si chatta con qualcun altro. Io preferisco realizzare videogame che richiedano altri stati mentali, che offrano esperienze più immersive e che catturino tutta l'attenzione, che creino mondi in cui immergersi. Al momento non mi ci vedo ma... per quanto riguarda il futuro non si può mai dire!

Da quando hai iniziato a fare il game designer, qual è il titolo non tuo che l'hai giocato e hai pensato "perché non l'ho fatto io"?

Dici una cosa alla Man in Black, cioè che tiro fuori una penna e la gente si dimentica che l'ha fatto qualcun altro?

Esattamente.

Vediamo... ti direi Katamari Damacy, Animal Crossing e LittleBig Planet. Facciamo così: d'ora in poi andrò in giro a dire che li ho fatti io, magari alla lunga la gente ci crederà davvero!

Katamari Damacy è uno dei giochi che Tim Schafer vorrebbe aver realizzato.

Ultima domanda: non ti sei mai fatto acquisire dai grandi publisher quando immagino ne avresti avuto la possibilità. Come mai?

Dopo l'esperienza in LucasArts ho capito che potevo camminare sulle mie gambe, e quando ti accorgi di poterlo fare provi una sensazione tale per cui è molto difficile tornare indietro. In generale, non sono uno cui piaccia avere un capo... ma a ben guardare, a chi piace?

Quindi possiamo dire che Tim Schafer è indipendente e resterà per sempre indipendente?

(ride) Beh... dipende dall'offerta!

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Stefano Silvestri

Editor in Chief, EG.it

Il suo passato è costellato di tutto ciò che è stato giocabile negli ultimi 40 anni. Dal ’95 a oggi riesce a fare della sua passione un mestiere, non senza una grande ostinazione e un pizzico di incoscienza.

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