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Da Killzone: Shadow Fall ad Horizon: Zero Dawn, il viaggio di Guerrilla Games - articolo

Tra pesci volanti e scadenze.

"Qualcosa che non avevamo mai fatto prima d'ora". È una frase che è ricorsa spesso nei discorsi di Arno Schmitz, senior character artist per Guerrilla Games, e Patrick Munnik, senior producer, che al Level Up di Roma hanno spiegato il processo di produzione di Horizon: Zero Dawn, una delle esclusive più acclamate su PlayStation 4.

Un percorso che, dopo quattro capitoli di Killzone, ha portato lo studio verso un campo completamente nuovo: i giochi a mondo aperto. E le sfide sono state diverse. "Passare da uno sparatutto lineare come Killzone a Horizon ha influenzato l'intero team", ha spiegato Schmitz. "La sfida principale è stata la quantità di personaggi che dovevano essere realizzati cercando, allo stesso tempo, di mantenere la qualità grafica per cui lo studio è rinomato. Ogni personaggio ha richiesto più attenzione e più lavoro rispetto a Killzone. Ci siamo concentrati più che mai sui materiali per realizzare i modelli di ogni personaggio, materiali che sono presenti in numero maggiore rispetto a qualsiasi personaggio che abbiamo inserito in Killzone".

"Abbiamo dovuto realizzare da zero l'intelligenza artificiale - ha spiegato Munnik - perché non avevamo l'intelligenza artificiale per le orde di nemici o per gli animali". Gli animali meccanici sono stati una sfida da superare tanto dal punto di vista del loro comportamento quanto da quello grafico.

Patrick Munnik, senior producer di Guerrilla Games, durante la sua discussione al Level Up.

Nella prima fase - e ancora prima di mostrare a Sony qualcosa di concreto - gli unici modelli su cui lavorare derivavano da Killzone: Shadow Fall, pubblicato su PS4 quattro anni prima del lancio sul mercato di Horizon: Zero Dawn. "Era ciò che avevamo e ci sono serviti, per esempio, per capire l'interattività con il Thunderjaw. Ma quando siamo riusciti ad animare per la prima volta l'animale che poi, nel gioco finale, è diventato il Watcher, è stato fantastico".

"Il fattore che definisce Horizon è che in un mondo post apocalittico ci sono i dinosauri meccanici. Ciò ha significato, per esempio, dover aggiungere la Robot Art", ha ricordato Schmitz. "Gli umani che vivono nel mondo di Horizon appartengono a diverse tribù. Ci siamo divertiti ad avere una palette di materiali molto vasta, dal ferro fino al cotone e alla seta. Spesso molti di questi sono stati usati per un unico personaggio".

Il processo di produzione è cominciato nel 2011 ed è durato circa sei anni. E non sempre le cose sono andate per il verso giusto. Munnik si è unito al team appieno solo alla fine del 2014, dopo aver ultimato il proprio compito con Killzone: Shadow Fall. "Inizialmente - ha sottolineato - non ero pienamente convinto del gioco: quando ho tenuto in mano il pad, sentivo che c'era la base, ma non era ancora sufficientemente adatto".

Il fatidico momento in cui i tester hanno provato il gioco è stato una prova del nove, il momento della verità. "Abbiamo tenuto il primo playtest - è andato avanti Munnik - a inizio 2015. Fa paura far provare alle persone il tuo gioco, portarlo fuori dallo studio per la prima volta, specialmente perché non usano mezze parole per giudicarlo. Per esempio, avevano notato che le abilità del giocatore non erano ancora sufficientemente intuitive o che non erano chiari i punti deboli dei nemici e come approfittarne".

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In una delle prime missioni del gioco, il giocatore deve vestire i panni di una giovane Aloy, nascondendosi nell'erba alta per arrivare ad aiutare una persona ferita. "Volevamo che i giocatori sentissero la tensione e la sfida, ma i tester non stavano usando nessuna delle abilità focus a disposizione, si muovevano nelle direzioni sbagliate e, in breve, non si stavano divertendo", ha spiegato Munnik. "Poiché questo problema si presentava a ogni playtest, abbiamo continuato con tre playtest al giorno e ogni volta miglioravamo in qualche modo il gioco. Dopo tre giorni abbiamo iniziato a vedere i risultati e a notare che i miglioramenti stavano avendo effetto".

Attorno alla metà del 2016, a pochi mesi dal lancio sul mercato, i contenuti nel gioco c'erano tutti; era questione, quindi, di correggere i bug e di definire al meglio tutti i dettagli. "Organizzavamo un playtest ogni due settimane, perché arrivati a questo punto ormai le differenze in termini di giocato erano minime. Eravamo molto diligenti in merito a quali cambiamenti apportare. Rispetto ai bug, per noi è stato molto nuovo, perché in un sistema così se ne trovano molti".

Fra i problemi che sono stati riscontrati in queste fasi, alcuni erano specifici del sistema procedurale e hanno prodotto risultati affascinanti. "In una parte del gioco ci siamo accorti che i pesci volavano. Era fantastico, ma non particolarmente realistico", ha ricordato Munnik ridendo. Anche il sistema che generava i personaggi non giocanti casualmente mostrava qualche spazio di miglioramento e in alcuni casi due personaggi erano assolutamente uguali. Lo stesso valeva per il comportamento di alcuni PNG, che in situazioni di attacco da parte delle macchine restavano a pulire il giardino.

Per testare l'interattività del Thunderjaw, Guerrilla Games ha usato del materiale proveniente da Killzone: Shadow Fall.

Il 28 febbraio 2017 Horizon: Zero Dawn è sbarcato nei negozi statunitensi; il giorno successivo in Europa. "Eravamo molto felici di vedere che alle persone piaceva e che era riuscito a colpirli", ha commentato Munnik.

Un'esperienza che ha dato molto a Guerrilla Games come studio. "Abbiamo imparato tanto", ha confessato. "Ci sono tanti talenti creativi all'interno dello studio e da loro sono partite molte idee interessanti. Bisogna sempre trovare modo di far esprimere quel talento per migliorare il risultato finale. È importante, poi, far sì che i designer si innamorino del gioco già all'inizio del processo perché così si risolveranno molteplici problemi durante lo sviluppo. Infine, non posso enfatizzare abbastanza quanto sia importante condividere con gli altri e imparare. Può essere spaventoso, ma si ricevono molte critiche positive. Bisogna comunque fare una cernita del feedback, perché i tester non sono designer".