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Con la pseudoarcheologia si creano davvero giochi migliori? - articolo

La X non indica mai il luogo dove si trova il tesoro.

Nel 1925 l'esploratore britannico Percy Fawcett e la sua squadra di spedizione partirono dalla città brasiliana di Cuiabá alla ricerca della Città Perduta di Z, che Fawcett era sicuro giacesse nascosta nelle profondità della foresta amazzonica. Quella spedizione rappresentò il culmine di anni di ossessione di Fawcett. Lo studioso, infatti, era arrivato a credere nell'esistenza di una civiltà avanzata scomparsa, basandosi soltanto su vaghi racconti di viaggiatori e su un misterioso idolo che si diceva provenisse proprio da quella zona, consegnatogli anni addietro dall'autore pulp H. Rider Haggard.

Naturalmente prima di allora, erano già state trovate delle città abbandonate. Non era trascorso molto tempo da quando con le spedizioni del XIX secolo si era riusciti a mappare l'area appartenente alla città Maya di Tikal in Guatemala (anche se la sua conoscenza, come accade con molte “città perdute”, non era mai andata completamente perduta all'interno della popolazione indigena). La missione di Fawcett alla ricerca della Città di Z però, non si configurava come una tradizionale spedizione archeologica. Fawcett, infatti, era stato per lungo tempo un devoto dello spiritualismo e dell'esoterismo e la sua ossessione per Z era profondamente intrecciata con le sue convinzioni riguardo la storia dell'umanità. Per determinare le origini dell'idolo consegnatogli da Rider Haggard, Fawcett lo mostrò ad un sensitivo che, dopo la seduta, affermò come questa statuetta fosse stata salvata da un sacerdote di un tempio in un luogo che stava sprofondando nelle viscere della terra. Nella mente di Fawcett, Z non era soltanto una città indigena inghiottita dalla giungla e dimenticata, ma una reliquia collegata alla civiltà di Atlantide. Questa era per lui la chiave per una più profonda comprensione dei misteri esoterici di fronte a cui si trovava.

Ovviamente, c'era un solo modo in cui poteva finire questa storia. La spedizione di Fawcett partì alla volta della giungla e non fu mai più vista né sentita. Numerose spedizioni successive non riuscirono a trovare traccia né di loro, né della città perduta.

Percy Fawcett.

La spedizione maledetta di Fawcett sembra appartenere al mondo di Lovecraft o Machen, a un film di Indiana Jones o alla trama di un gioco. E, in effetti, la vicenda di Fawcett ha probabilmente ispirato “Il mondo perduto” di Conan Doyle e il suo altipiano amazzonico nascosto e pieno di dinosauri. Se a tutto questo aggiungiamo anche un personaggio come Hiram Bingham III, contemporaneo di Fawcett e scopritore di Machu Picchu e della città perduta peruviana di Vilcabamba, ci troveremo di fronte a tutti gli elementi chiave del primo Tomb Raider. Se alla storia di Fawcett aggiungiamo Lara Croft, Nathan Drake o uno degli eroi archeologi del mondo dei videogiochi si ottiene una storia perfetta, basta solo cambiare il finale fallimentare della sua spedizione.

Fawcett però non è l'unico: quasi tutte le storie famose che riguardano spedizioni archeologiche sono costruite sul modello di personaggi come lui. Non su archeologi, ma su pseudo-archeologi. Non si tratta di accademici rigorosi, ma di avventurieri furfanti, bucanieri vicini al mondo dell'occulto che mostrano uno sdegno anticonformista verso il metodo scientifico e il sapere tradizionale.

Sono stato un archeologo per quindici anni. Non ho mai trovato una città perduta; le cose che ho visto che più si avvicinano a dei manufatti occulti sono le mostre di oggetti provenienti dagli archivi della Società per la Ricerca Psichica nella biblioteca dell'Università di Cambridge e il magico armamentario dell'occultista John Dee alla British Library. Gli unici nazisti che di solito incontro sono su Twitter. Per quanto ne so, le esperienze degli altri archeologi sono molto simili. Ho lavorato con un'archeologa di nome Lara al mio primo scavo, ma era disarmata e non ha mai ucciso nessuno per tutto il tempo in cui ho collaborato con lei.

Già. I veri archeologi non sono come Indiana Jones. Tomb Raider e Uncharted non rappresentano accuratamente quella che è la buona prassi accademica. Aspetterò un attimo prima di continuare, così che possiate tutti superare lo shock. Questo tipo di storie ha però un effetto. Dei recenti sondaggi hanno dimostrato che oltre il 50% degli americani crede nelle civiltà perdute di precursori, nonostante la totale mancanza di prove a sostegno (ho già parlato delle civiltà dei precursori in precedenza).

Dal momento che il mondo dell'archeologia viene rappresentato così, queste teorie, di per sé marginali, che siano fittizie o apparentemente fittizie (si pensi a programmi come “Enigmi Alieni” o ai libri di Erich von Däniken e dei suoi successori) diventano piano piano la normalità. Le persone che non hanno una formazione specialistica o accesso ai dati diventano sempre meno capaci di distinguere i confini tra realtà e finzione. Posso confermarlo personalmente: mi ricordo di aver discusso a scuola con un mio compagno che la sera prima aveva visto un documentario di Graham Hancock. Lui si rifiutava di credere che le affermazioni di Hancock riguardanti una presunta antica civiltà di precursori responsabile dell'esistenza delle piramidi nelle parti più disparate del mondo fossero false, altrimenti perché Channel 4 l'avrebbe trasmesso?

E il tutto non si riduce a una mera questione di narrazione: queste teorie non sono poi così diverse da tutte quelle avventure di fantascienza che antepongo una bella trama alla coerenza con le leggi della fisica. Se si guarda Star Wars e ci si lamenta dei suoni nello spazio o delle navi che si muovono come gli aerei, non è che forse non si sta cogliendo il punto? C'è un unico elemento di verità in queste teorie di pseudo-archeologia: sono delle belle storie da raccontare. Come molti archeologi, guardo e adoro Indiana Jones, ho giocato ed apprezzato Tomb Raider ed Uncharted, e così via. Eppure ci sono alcune distinzioni da fare.

Innanzitutto, esiste la fantascienza che utilizza un approccio realistico alla scienza, se questo è quello che si sta cercando. La “fantascienza hard” (ovvero quella che presta grande attenzione all'accuratezza scientifica) è una realtà presente anche nei media tradizionali: “The Expanse” ha ricevuto molti elogi per il suo approccio fondato sulla scienza e per come la utilizza per aprire nuove possibilità narrative. Star Wars e Doctor Who non rappresentano gli unici esempi di fantascienza possibile. Questo problema di attinenza alla realtà riguarda principalmente la storia e l'archeologia, soprattutto nei videogiochi. Si possono trovare in giro tanti romanzi storici, spesso ricchi di dettagli di quell'epoca storica ben documentati, ma quanti videogiochi storici ci sono in circolazione che non abbiano nessun elemento sovrannaturale? Tra i principali franchise, quello che si avvicina di più al videogioco storico è Assassin's Creed, in cui gli elementi esoterici compaiono qua e là senza pervaderlo mai completamente, rendendo la narrazione piuttosto fondata.

La mancanza di elementi fantasy in un RPG è così tanto insolita che un gioco come Kingdom Come: Deliverance è riuscito a trasformarlo in uno dei suoi punti di forza. Naturalmente, ci sono molti giochi di strategia che utilizzano la storia, ma in questi titoli spesso mancano delle vicende storiche precise. Spesso (anche se non sempre) la loro impostazione storica è poco più che una semplice vetrina, utile per sfruttare delle meccaniche da wargame che, in caso contrario, sarebbero piuttosto tradizionali. Avendo avuto origine da prodotti come Dungeons and Dragons, la fantascienza e il fantasy sono l'equivalente videoludico di un contorno di patatine. Arrivano con tutto quello che si ordina, di default.

Questa visione alternativa (o meglio, non alternativa) dell'archeologia e del passato scarseggia nel medium, sebbene l'archeologia e la storia rivestano una grande importanza per le persone, molto più che la fisica e le altre scienze. Certo, tutti noi ogni giorno ci imbattiamo nella gravità in mille modi diversi, ma pochissimi di noi costruiscono la loro identità attorno ad essa. La Storia, invece, è intimamente legata alle domande che ci si pone su chi siamo e da dove veniamo. Appartiene a tutti noi. Non sottovalutare il valore della Storia è importante per i popoli moderni le cui identità e legittimazioni sono legate proprio al passato.

Grande Zimbabwe. Un sito archeologico così importante per l'identità nazionale da chiamarne così lo Stato all'interno del quale si trovano le sue rovine.

Potrebbe sembrare una cosa innocua affermare che gli alieni o gli abitanti di Atlantide abbiano costruito quel determinato monumento o quella città perduta, ma così facendo, non si sta permettendo al mondo di conoscere chi li ha davvero realizzati. Spesso si tratta di antenati delle moderne comunità indigene che hanno sofferto l'oppressione e l'emarginazione colonialista. E questo ci conduce direttamente alla problematica relazione tra la pseudoarcheologia e le diverse etnie.

Quando Fawcett si avventurò alla ricerca di una civiltà avanzata scomparsa in Amazzonia, si era convinto che questa dovesse essere per forza collegata ad Atlantide e popolata esclusivamente da bianchi, perché non riusciva a concepire che la popolazione indigena potesse essere stata capace di realizzare quelle meraviglie che immaginava. Allo stesso modo, credeva che i Toltechi del Messico dovessero apparire “dalle fattezze delicate, di un leggero color rame, con gli occhi azzurri e probabilmente con i capelli ramati… per i degenerati autoctoni, i Toltechi erano esseri superiori”. Erich von Däniken, il più vecchio sostenitore dell'ipotesi degli antichi alieni fautori delle civiltà più evolute, si è domandato in uno dei suoi libri: “La razza nera è stata un fallimento? Gli extraterrestri avranno forse rimediato all'accaduto modificando l'intero codice genetico per mezzo dell'ingegneria genetica per programmare successivamente una razza bianca o gialla?”.

Più recentemente, la teoria complottista nota come “ipotesi solutreana” (che sostiene che l'America, prima dell'arrivo delle popolazioni native americane, fosse abitata originariamente dagli europei) è stata utilizzata dai suprematisti bianchi per delegittimare le popolazioni indigene e il loro diritto ad abitare quelle terre. Molte delle teorie pseudoarcheologiche si fondano sull'idea che esistano razze superiori e razze inferiori e si basano sull'assunto implicito o esplicito che le società non-bianche non avrebbero potuto realizzare grandi cose da sole.

La pseudoarcheologia permette di creare belle storie. Non sto cercando di negarlo. Essendo un fan appassionato di fantascienza e fantasy, non posso fare a meno di pensare che un pizzico di fantasia dia quel qualcosa in più, che si tratti di fare shopping o di un videogioco epico. Ma dobbiamo stare anche attenti affinché queste non diventino le uniche storie che si raccontano, dobbiamo riflettere sulle loro implicazioni ed essere consapevoli che qualcuno potrebbe essere coinvolto o convinto da queste fantasie. Mirare alla “autenticità storica” (qualunque cosa essa sia) non ci libera automaticamente da questi potenziali problemi, come ha dimostrato la polemica avvenuta con Kingdom Come: Deliverance, ma adesso che i videogiochi vengono apprezzati da molte persone, spesso estranee alle radici della cultura geek a prevalenza maschile e dominata dal fantasy, dalla fantascienza e dai wargame, è arrivato il momento di ampliare i nostri orizzonti e smetterla di pretendere questo contorno sempre uguale.

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Philip Boyes

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