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Desert Child - recensione

Molto più di un semplice tributo!

Nato da una campagna kickstarter che ha raggiunto il founding, Desert Child è un action RPG piuttosto particolare partorito dalla mente di Oscar Brittain. L'ambientazione ricorda molto da vicino un anime piuttosto acclamato come Cowboy Bebop, una sorta di dichiarazione d'amore che contamina in maniera cristallina l'intera pixel art di cui è composto il gioco.

Facciamo però un passo indietro, e cerchiamo di capire i motivi che ci hanno portato ad apprezzare questo progetto indie. In Desert Child si vestono i panni di un ragazzo della terra chiamato "il pilota", un perfetto "signor nessuno" che si guadagna da vivere correndo sul suo logoro e vintage Hoverbike, vendendo particelle di energia e mangiando per lo più street food.

Tutti però nella vita cercano uno scopo, e il ragazzo lo trova in Marte, il nuovo pianeta a cui tutti ambiscono; la Terra, infatti, è un posto che rantola nel ricordo di un passato rigoglioso, ora sovrappopolata, povera di risorse e ormai in completo declino.

Dopo una serie di peripezie il nostro pilota trova il modo per arrivare su Marte, approdando all'interno di una tentacolare metropoli futuristica, fatta di opportunità lecite e meno lecite, di scoperte e segreti, tutti da scovare in sella alla sua inseparabile Hoverbike.

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Il cuore di questa esperienza, nonostante il gioco sia classificato come RPG, è sicuramente quella della gare a bordo della moto volante. Una serie di sfide continue, in un crescendo di difficoltà che accomuna Desert Child con quei vecchi cabinati arcade in cui era unicamente la skill del giocatore a fare la differenza.

Tra una gara e l'altra si evolve la storia, ma soprattutto si fanno crescere le caratteristiche del mezzo e si tiene in salute il personaggio. Il titolo di Brittain ha, infatti, una piacevole componente gestionale di cui il giocatore deve sempre tenere conto.

All'interno dei vari hub di gioco che si visitano proseguendo nella storia, si potrà infatti incappare nelle location più disparate. I meccanici, ad esempio, sono utilissimi per riparare i danni della moto, rendendola nuovamente performante nelle gare. I luoghi dove poter mangiare sono tanto bizzarri quanto etnici, ma con il minimo comune denominatore dello street/junk food: noodle, pizza, snack ipocalorici e molto altro ancora.

La prima cittadina che si visita nel gioco dimostra la povertà del pianeta Terra.

Non va poi dimenticato che molti di questi negozianti di alimenti possono offrire anche pietanze molto particolari, in grado di rendere più concrete (con buff temporanei) le prestazioni in gara. Tra i vari negozi che si possono visitare non è da sottovalutare quello dedicato ai potenziamenti dell'hoverbike. Attraverso un sistema di puzzle connection, un'apposita schermata ci chiede di incastrare il maggior numero di pezzi aggiuntivi per il nostro mezzo, collegandoli con dei blocchi di celle energetiche. Essendo lo spazio piuttosto limitato ci si troverà spesso a fare delle scelte, il più delle volte dettate dai tipi di potenziamento posseduti, e dallo stile di guida che si vuole adottare.

Parlando proprio dello stile di guida (e quindi del gameplay principale), il titolo mette il giocatore di fronte a furiosi testa a testa, in cui lo scopo è tagliare per primi il traguardo. L'azione si svolge su un piano orizzontale, mentre sullo schermo si susseguono ostacoli, bonus da raccogliere distruggendoli con l'arma che c'è in dotazione sull'Hovercraft, e una serie di segreti che possono essere scovati dopo alcune run. In base all'andamento della corsa, il giocatore sarà gratificato con una cella energetica, dei soldi e un giudizio complessivo sotto forma di lettere (le classiche A, B, C, ecc.).

Alla gara classica, si affiancano una serie di attività secondarie che rompono la tipologia di obiettivi da perseguire, ma non la struttura a schema orizzontale dell'esperienza. Il nostro pilota, nel tempo libero, si troverà a fare il fattorino della pizza, il ladro, il cacciatore di taglie e molto altro ancora; la varietà sotto questi aspetti non manca sicuramente. D'altronde lo scopo finale è quello di raggiungere un certo ammontare di denaro per potersi iscrivere al Gran Prix, la più importante gara della galassia tra Hoverbike.

A livello tecnico il gioco usa in maniera ottima la pixel art.

Purtroppo, l'unico limite che potrebbe emergere sulla lunga distanza riguarda una certa ripetitività dell'azione. Sebbene i percorsi siano sempre piuttosto vari e mai troppo simili l'uno all'altro in termini di oggetti e ostacoli, oltre che di ambientazione, la meccanica tende a essere veramente ridondante.

Se i giocatori più avvezzi alla sfida tenderanno costantemente a perfezionarsi, quelli alla ricerca delle varietà all'interno del gameplay potrebbero rimanere un po' delusi. Non basta purtroppo una banale sfida multigiocatore uno contro uno in locale a risollevare una ripetitività che, ce ne rendiamo conto, per alcuni potrebbe risultare indigesta.

Tolto questo neo volendo soggettivo, Desert Child è sicuramente uno degli indie più divertenti degli ultimi mesi. Come se non bastasse, la parte visiva in full pixel art offre agli occhi dei giocatori scorci e inquadrature davvero ricche di stile e caricare di citazioni che passano dal già nominato Cowboy Bebop ma anche ad altri pilastri degli anime come Akira.

Mangiare sarà fondamentale, onde evitare di incappare in malus durante le gare.

A questo si aggiunge un più che solido frame rate, e una serie di effetti durante le corse che rendono perfettamente il senso di velocità su cui viaggiano i personaggi del gioco. Non è inoltre da sottovalutare la completa localizzazione testuale nella nostra cara lingua italiana.

Ciliegina sulla torta si è poi rivelata la componente sonora, composta da pezzi light hip-hop che possono essere ascoltati in totale relax all'interno di una apposita schermata del gioco, mentre il nostro personaggio fuma sigarette sdraiato sul suo Hoverbike.

Insomma, si può dire tutto di Desert Child, tranne che gli manchi stile. Se siete amanti dei racing arcade ad alto tasso di sfida e velocità, dategli una chance, non ve ne pentirete.

8 / 10

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A proposito dell'autore

Roberto Vicario

Contributor

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