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Aquaman - recensione

“Perché terra e mare sono la stessa cosa”.

È possibile (e giusto) che su un film, mentre è in lavorazione, si facciano tante illazioni, si speculi sugli inevitabili problemi produttivi e/o di scrittura, con un'attenzione spasmodica ai primi screening test, con voci mai fondate su corse isteriche ai ripari, su modifiche radicali in post-produzione, tutto basato sul nulla o sul pochissimo, perché spesso le indiscrezioni sono del tutto inaffidabili? In tempi di social succede, giusto o ingiusto che sia.

Di suo, le case di produzione spesso la tirano troppo per le lunghe con incertezze e ripensamenti, mentre nel frattempo incrementano l'hype con video e trailer, con indiscrezioni e rumours, pensando di essere capaci di gestire tutto e invece qualcosa scappa sempre di mano. Di conseguenza, quando finalmente il film arriva alla visione planetaria, si va a vederlo quasi oppressi dal peso caricato sulle sue spesso fragili spalle. Fragili perché il film, anche se costato spropositati milioni di dollari (qui si dice 200, più la promozione), racconta solo fantasiose favole e non temi di fondamentale importanza per l'umanità, sui quali accapigliarsi davvero sarebbe cosa buona e utile. E fragili sono anche le spalle del critico, del commentatore, che sa che per molti la recensione è già in tasca, a priori.

Jason Momoa, what else?

Aquaman è nato nel '41 su disegni di Paul Norris (testi di Mort Weisinger) ma qui è riletto in base alla rivisitazione effettuata a partire dal 2011 da Geoff Johns (che è autore della storia del film insieme al regista James Wan e Will Beall). Anche facendo la tara, sembra che i problemi principali siano stati la nota, ondivaga gestione del materiale DC, della serie lo facciamo cupo o lo facciamo allegro, lo facciamo serio e pensoso o con battute sceme (vedi la piega impressa al personaggio Thor da parte della casa 'rivale'). Lasciava incerti anche un cambio di direzione ai vertici e preoccupava la lunga post-produzione da parte di Wan che aveva deciso, chissà perché, di condividerla con i suoi fan, gettandosi in rischiose affermazioni sulle sue fonti di ispirazione, citando Moby Dick e King Arthur. E, per le parti di commedia, I Predatori dell'Arca Perduta e All'Inseguimento della Pietra Verde.

C'era di che preoccuparsi. Calma e gesso, si diceva una volta, e senza farne una faccenda di stato cerchiamo di goderci un film che, come fine ultimo, questo vuole (deve) fare: trasportarci in mondi fantastici, fra personaggi fiabeschi, a combattere per il Bene, certi che dopo un'equa quantità di problemi, l'Amore trionferà e il Male sarà sconfitto. Almeno fino alla prossima volta, come sempre promettono le scene nei titoli di coda. Aquaman è il frutto dell'amore fra la ribelle Alanna, Regina di Atlantide fuggita da nozze combinate, e un umile ma coraggioso guardiano del faro (siamo sulle tempestose coste del Maine).

Il ragazzo, che ha il nome terreno di Arthur Curry, cresce da ibrido, terrestre ma anche acquatico, seguito nell'educazione da un onesto e fedele Consigliere, dopo il forzato abbandono della madre. Vive sereno, da umano più che da figlio di Atlantide, conscio che là sotto sarebbe considerato un miserabile bastardo dal fratellastro Orm, il figlio che Alanna ha avuto dal Re quando è stata costretta a tornare nel suo vero habitat. Al massimo si impegna in onorevoli faccende di soccorso di umani in difficoltà contro cattivi di vario genere.

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Ma Orm ha il dente avvelenato con gli umani, che detesta e vorrebbe sterminare perché hanno trattato il suo meraviglioso modo acquatico come una pattumiera, riempiendolo di rifiuti e veleni e cacciando senza pietà i suoi abitanti. Come dargli torto? La Principessa Mera allora cerca di convincere Aquaman, reduce dall'aver sconfitto Steppenwolf con gli altri della Justice League, per il quale ha palesemente un debole (e come darle torto?), a scendere in campo per mettere un freno alle smanie di Orm. Sarà l'inizio di un lungo percorso iniziatico, che come in tutti i film/giochi del genere comprenderà enigmi da risolvere, prove da superare e oggetti da recuperare. L'oggetto definitivo sarà ovviamente il famoso Tridente. E la metamorfosi avrà luogo, perché "cosa c'è di più di un re? Un eroe".

Aquaman film è una godibile bambinata (puro intrattenimento, si potrebbe dire per nobilitare l'inevitabile kitsch), dove in ogni situazione o personaggio si possono riconoscere echi di vari immaginari più o meno pop (da La Spada nella Roccia e Il Signore degli Anelli in avanti, e pure indietro), inevitabilmente troppo lunga (143 minuti, nefasta tendenza di questi ultimi anni), appesantita da troppi combattimenti e troppo lunghi.

Risibile è il rapporto sentimentale fra i due protagonisti (tensione sentimental/sessuale fra i due meno di zero, ma è colpa di Amber e sì, siamo prevenute), con un tentativo di far trapelare un po' di pathos almeno nel rapporto fra i due fratellastri (riuscito meglio), e fra i due e la madre. Fatica sprecata, perché immaginare il volto bellissimo di Nicole Kidman anche appena increspato da una piega d'espressione è pura eresia. Ma stupendi sono gli infiniti panorami subacquei (bellissimo il volo d'ingresso nel magico regno), strabiliante il bestiario acquatico messo in scena, fra megattere d'assalto, draghi/cavalli marini da combattimento, eserciti di crostacei con granchi giganti che ricordano gli alieni di Starship Troopers, e mostri come usciti da una versione enhanced della Laguna Nera (anche un polipo percussionista, pazienza). E ammaliante è la CG che simula l'effetto dell'acqua.

Patrick Wilson, un cattivo in gran spolvero.

Gran cast al lavoro. Jason Momoa, tanti tatuaggi, lunghi capelli scoloriti dal mare e barba folta, sfodera tutto il suo fascino da simpatica canaglia dal cuore d'oro, badass con compiacimento, con l'ironico sguardo dorato che dardeggia sopra un fisico alla Dwayne Johnson. Patrick Wilson (insieme a Wan da anni nella serie The Conjuring) sorprende in un ruolo d'azione: non è mai stato così fascinoso come in questo film, con i platinati capelli tutti pettinati all'indietro. Pensiamo che fra maschi e femmine i due interpreti maschili assommeranno più estimatori della singola Amber Heard, che sfoggia una chioma rossa stile Ariel e fa quel che può nel ruolo dell'eroina volitiva ma un po' campata per aria.

Assai ben tenuto Dolf Lundgren nel ruolo del re Nereus. Willem Dafoe, l'integerrimo e leale Vulko, sembra un po' imbarazzato. Nicole Kidman è la regina atlantidea fuggita da un matrimonio imposto e innamorata del suo salvatore, per sempre fedele (Temiera Morrison). Graham McTavish, il Santo degli assassini in Preacher, compare brevemente come Re Atlan. Black Mantha, che è il ponte per il sequel, è affidato a Yahya Abdul-Mateen II, poco incisivo.

La temuta parentesi in Sicilia si risolve in modo indolore (ha fatto peggio Woody Allen a Roma), solo gran sfondamento di pareti e lunghe fughe sui tetti con dispendio di tegole, ma come colore locale Wan ci è andato leggero. Segnaliamo un'inattesa citazione di Collodi e del suo Pinocchio. Avvolgenti le musiche di Rupert Gregson-Williams, con qualche eco a là Vangelis (e nel tema di "minaccia" plagia le note di Sense of Doubt di David Bowie), mentre qualche canzone pop sembra proprio appiccicata a caso (e che brutta la cover di Africa dei Toto).

I ragazzini e perché no, le ragazzine, adoreranno il film. L'adulto non si annoierà troppo (anche perché, se fan di Entourage, ci starà ridendo sopra da anni). Il film uscirà in sala il primo gennaio, e per cominciare il 2019 in leggerezza va benissimo. Certo, nell'ambito dell'eterna polemica fra mondi DC e Marvel, anche considerando solo sfracelli e battutine, il coinvolgimento che si prova coi personaggi di Marvel è un'altra cosa. Tranne che nel caso di Nolan.

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A proposito dell'autore

Giuliana Molteni

Contributor

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