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Vane - recensione

Il “Dark Souls dei giochi esplorativi” che strizza l'occhio a Ueda.

Sony e l'universo PlayStation vengono ormai da anni considerati la patria di avventure artisticamente ricercate e dalle atmosfere uniche e affascinanti. Tra gli esempi più emblematici troviamo i lavori di Fumito Ueda e Team ICO (ICO, Shadow of the Colossus e The Last Guardian), o qualche rappresentante del panorama indie che ha deciso di seguire strade differenti a livello di gameplay puntando comunque con forza su comparto artistico e atmosfere. Per quanto etichettare e paragonare non ci faccia impazzire, non si può parlare di Vane senza parlare di questi accostamenti.

Presentato per la prima volta al Tokyo Game Show 2014, dove ha attirato l'attenzione di molti per i rimandi a Journey e ai lavori proprio di Ueda, l'opera prima di Friend & Foe è sbarcata in questi giorni su PS4 (a meno di sorprese in futuro dovrebbe esserci quanto meno l'arrivo anche su PC) accompagnata da premesse importanti e dichiarazioni peculiari di alcuni membri della software house. Il team ha infatti lanciato un'etichetta particolarmente curiosa per questo titolo: signore e signori ecco il "Dark Souls dei titoli esplorativi".

Cover image for YouTube videoVane - Release Announcement

Ringraziamo lo sviluppatore Matt Smith per questa definizione perché francamente, difficilmente ci sarebbe venuto in mente un accostamento tanto strambo quanto a conti fatti sorprendentemente sensato. Per quanto gli sviluppatori abbiano scelto di non snobbare in toto il gameplay, allontanandosi da questo punto di vista da giochi come Journey e l'acquatico Abzu, l'esplorazione e il movimento all'interno delle 5 aree principali del mondo di gioco rimangono i punti focali dell'esperienza controller alla mano. Ma perché parlare di Dark Souls dei giochi esplorativi? Perché rischiando di alienarsi il favore di alcuni appassionati, Vane punta a far perdere il giocatore proponendo un'avventura meno guidata e potenzialmente più impegnativa rispetto ad altri esponenti del genere.

La dispersività è una scelta precisa nonostante alcuni indizi visivi (soprattutto dei luccichii dorati) e sonori (versi e rumori particolari) innestati in un game design che decide molto spesso di ingannarci mostrando sentieri, scalinate e oggetti che però non portano a nulla. La ricerca della libertà e la scelta di non prendere per mano il giocatore non sono dei difetti in assoluto ma la frustrazione in alcuni momenti è purtroppo palpabile nelle circa 3-4 ore di gioco necessarie per raggiungere il finale.

Un miglior lavoro sul level design avrebbe aiutato e non si tratta di certo di operazioni impossibili: per esempio perché continuare a segnalare con dei luccichii elementi già utilizzati e ormai inutili per la risoluzione del puzzle all'interno della seconda zona? Dare l'idea di un mondo più vasto è comprensibile ma era davvero impossibile riuscirci senza riempirlo di quelli che nella maggior parte dei casi sono vicoli ciechi? Queste sono scelte che stonano e che posstrebbero lasciare perplessi.

Se eravate alla ricerca di una narrazione esplicita e chiara abbiamo brutte notizie per voi.

Se da un lato l'esplorazione punta quasi a farci perdere nel mondo di gioco, gli enigmi ma anche le fasi platform giocano sulla trasformazione, concept centrale chiaramente visibile sin dai primissimi video gameplay. Il nostro alter ego è infatti un uccello che entrando in contatto con una misteriosa sostanza dorata si trasforma in una bambina. Questo concetto non si ferma però a una singola capacità ma imbocca strade differenti nel prosieguo del nostro peregrinare, declinandosi in modi anche sorprendenti e giocando sempre su limiti e possibilità derivanti dalle diverse trasformazioni, che si tratti di quelle del nostro avatar o di altri elementi.

Non ogni fase convince a pieno ma non si può negare il fatto che la decisione di non puntare esclusivamente sull'esplorazione si riveli a tratti vincente se non addirittura appagante. Gli enigmi in definitiva sono numericamente pochi ma le situazioni proposte, seppur come detto solo a tratti, convincono.

Vane ci trasporta in una terra dimenticata e in rovina e lo fa scegliendo, come va di moda da ormai alcuni anni, una narrazione criptica e avvolta nel mistero. Le domande riguardo la trasformazione e la sostanza dorata ma anche tutto l'universo, il simbolismo e la mitologia ideati dalla software house sono una costante. Costante quanto un dubbio più che legittimo: capiamo l'ispirarsi al lavoro di Ueda ma era davvero necessario ripeterne anche gli errori? Al di là delle battute fa comunque riflettere la presenza di magagne già incrociate all'interno di The Last Guardian, quasi come a dimostrare il fatto che due membri di Friend & Foe abbiano lavorato all'esclusiva PS4.

La sezione nel deserto è l'emblema di Vane. Nel bene e nel male.

L'ultima fatica di Ueda aveva infatti delle chiare pecche a livello tecnico, pecche più o meno sottolineate da recensori e utenti in base a quanto la componenti artistiche e autoriali fossero riuscite o meno a lasciare il segno. Il discorso è simile per Vane: non ci vuole molto per imbattersi in un calo di frame rate o in qualche glitch e, esattamente come successo con il ragazzino protagonista di The Last Guardian, i controlli della bambina di questo gioco sono tutt'altro che precisi al millimetro. Le similitudini negative purtroppo non finiscono qui dato che anche la telecamera in certe situazioni fa le bizze e tanto per non farsi mancare nulla non mancano alcuni casi di compenetrazioni in certe fasi in cui le abilità in nostro possesso sembrano cozzare con il motore di gioco.

Nulla di game breaking ma dover sottolineare questi problemi è un vero peccato perché al di là di alcune idee e di un concept centrale interessanti, a livello puramente visivo ci troviamo su livelli altissimi, a volte anche degni di Ueda e soci. Unity si dimostra ancora una volta uno strumento eccelso se affidato a mani talentuose e la decisione di non proporre texture ma dei poligoni direttamente "dipinti" dagli sviluppatori è in questo senso assolutamente vincente. Indubbiamente interessanti le scelte a livello di colonna sonora, caratterizzata da un continuo uso di sintetizzatori e musica elettronica là dove solitamente questo genere di produzioni punta esclusivamente su un accompagnamento orchestrale.

Merita una menzione anche il sistema di salvataggio, plasmato in questo caso intorno a una scelta a dir poco curiosa: il gioco salva solo all'inizio di una nuova area e quindi appena 4 volte prima di arrivare al finale. Considerando il fatto che in certe aree l'esplorazione rischia di occupare diverso tempo, questa scelta potrebbe far storcere il naso a molti anche se va detto che una volta comprese le azioni necessarie per proseguire, l'esecuzione è piuttosto immediata. Recuperare i progressi perduti in una certa area non dovrebbe quindi richiedere molto tempo e questo sistema evidentemente limitato si dimostra in fin dei conti molto meno fastidioso del previsto.

Artisticamente si raggiungono vette notevolissime ma per quanto alte queste vette non possono cancellare ogni difetto.

In bilico tra una semplice sufficienza e qualcosa di più (il 6,5 sarebbe stato il voto più adatto), Vane ci ha lasciati con l'amaro in bocca nonostante la presenza di alcuni segnali che nelle nostre teste avevano attivato più di un campanello d'allarme. Lo sviluppo travagliato e piuttosto lungo iniziato nel 2014, l'addio dello sviluppatore che veniva considerato la forza creativa del team dopo appena 6 mesi di lavoro (Rui Guerreiro, attualmente al lavoro su Mare) il continuo accostamento a un autore che probabilmente nessuno è in grado di avvicinare come Ueda e l'incapacità del team stesso di spiegare il nucleo centrale del gioco a pochi giorni dall'uscita.

Tutti elementi che mentre iniziavamo il nostro viaggio in questo titolo annebbiavano il forte entusiasmo che la ricercatezza artistica e le atmosfere tratteggiate da Friend & Foe ci avevano instillato sin dall'annuncio. Secondo il nostro parare si tratta di un'opera che probabilmente rappresenta ciò che sarebbero i titoli di Ueda e Team ICO senza le loro intuizioni migliori e senza quella scintilla che ci spinge a guardare oltre i ciò che non va a pieno. Vane è un'opera di buona qualità, che purtroppo riprende diversi difetti di un preciso archetipo di videogioco ma non riesce a nasconderli a pieno, ad ammantarli in un velo di genialità e autorialità di altissimo livello capace di spingere molti a chiudere un occhio in nome della mole impressionante di elementi che stupiscono e affascinano.

7 / 10

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Vane

PS4, PC

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Alessandro Baravalle

Contributor

Si avvicina al mondo dei videogiochi grazie ad un porcospino blu incredibilmente veloce e a un certo "Signor Bison". Crede che il Sega Saturn sia la miglior console mai creata e che un giorno il mondo gli darà ragione.

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