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YIIK: A Postmodern RPG - recensione

L'epopea hipster di Alex tra gioco di ruolo giapponese, citazionismo e postmoderno.

Il termine filosofico postmoderno, che genericamente descrive la produzione culturale contemporanea, ha avuto origine da un'opera del 1979 di Jean-François Lyotard, ovvero La Condition postmoderne: rapport sur le savoir. Il filosofo francese nella sua opera definisce la nozione di postmoderno, analizzandone il carattere metanarrativo e filosofico.

A grandi linee l'ondata postmoderna si è evoluta successivamente come una corrente artistica che lavora su concetti preesistenti, elaborati per dar vita a qualcosa di nuovo, con un chiaro riferimento a temi esplorati nel passato. Un celebre esempio cinematografico di questa filosofia creativa è rappresentato da Quentin Tarantino, maestro di rimescolamento sistematico di modi diversi di fare cinema provenienti dal passato.

Tarantino si lascia deliberatamente ispirare dai grandi maestri, come Sergio Leone, Orson Welles, Federico Fellini, e contemporaneamente riesce a saccheggiare anche dai peggiori B-Movie, di cui lui è molto appassionato. Il risultato è sicuramente qualcosa di nuovo, un'estetica riconoscibile e personale, ma che contemporaneamente riflette la filosofia di chi ha avuto il merito di ispirarlo.

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La scintilla che ha dato vita a YIIK: A Postmodern RPG sembra essere esattamente la stessa, così come deliberatamente dichiarato anche nel titolo del gioco. La voglia di Ackk Studios di rituffarsi nelle idee dei capisaldi del gioco di ruolo giapponese, genere morbosamente amato dagli sviluppatori, si pone alla base dello sviluppo di YIIK. Non mancano nel titolo anche contaminazioni di RPG occidentali, più o meno recenti. Si accumula così talmente tanta sostanza che per renderla scorrevole e fruibile servirebbe la stessa precisione matematica di accostamento che Tarantino ha nelle sue pellicole. Una precisione che possiamo già dirvi essere totalmente assente nell'opera della piccola software house americana. Ma procediamo con ordine.

YIIK (da leggersi why-two-kay) è ambientato nel 1999 e narra le vicende di Alex, un ragazzo appena diplomato che dopo il suo percorso di studi fa ritorno al suo paese natale, Frankton. Gli eventi prendono sin da subito una piega surreale e mistica. Per inseguire un gatto nel bosco Alex si ritrova davanti ad un hotel apparentemente infestato da oscure presenze. Qui fa la conoscenza di Sammy, una ragazza dai tratti asiatici che sembrerebbe non riconoscere alcuni riferimenti culturali estremamente noti. Alex così scopre che il gatto che stava inseguendo non è altri che il micio di Sammy, Dalì. Una volta rotto il ghiaccio tra i due una forza sconosciuta rapisce Sammy nell'ascensore dell'hotel e a quel punto toccherà ad Alex risolvere il mistero della sua scomparsa.

Le prime fasi di gioco risultano lente e macchinose, sia dal punto di vista narrativo che di gioco vero e proprio, visto che non vi è la possibilità di salire di livello. Una volta fatta la conoscenza di Vella, una ragazza che lavora presso la sala arcade della città, si viene a conoscenza di come sfruttare l'esperienza accumulata durante i combattimenti. Attraverso i telefoni, una cosa che ricorda un po' Matrix, si può accedere al Mind Dungeon, una segreta stratificata nella mente di Alex che man mano che la si percorre permette di aumentare il livello e le statistiche dei personaggi.

Lo scorrere della narrazione è dettato dai monologhi mentali di Alex.

Alex è un hipster con il feticismo dei vinili e dei vecchi cabinati arcade. Questo ricollega molti elementi del gameplay ai suoi feticci e a quelli dei suoi compari. Il protagonista infatti combatterà utilizzando come arma un disco, così come il suo primo compagno di viaggio Michael, sfodererà come arma la sua preziosa macchina fotografica.

Superati i confini di Frankton il mondo esplorabile ha le sembianze dei primi vecchi Final Fantasy, in cui il protagonista può muoversi da una città all'altra e da un dungeon all'altro. Vi sono però alcuni ostacoli come massi o alberi che non consentono il proseguimento verso certe direzioni e per percorrerle è necessario prima sbloccare determinate abilità, proprio come succede nei giochi della serie Pokémon.

I combattimenti non sono casuali, ma si avviano nel momento in cui veniamo a contatto con dei mostri o delle persone malintenzionate. Il sistema di combattimento è basato sul caro vecchio sistema a turni. Per attaccare fisicamente c'è bisogno di premere a tempo determinati tasti, così come per difendersi, con la possibilità di schivare totalmente l'attacco. I combattimenti sono molto macchinosi, non vi è mai vera soddisfazione nell'ingaggiarli o nel portarli a termine. Gli elementi saccheggiati qua e là dai più grandi RPG della storia sono sparpagliati in modo casuale e caotico, come un mosaico che visto dall'altro non ha alcun senso.

La chiave umoristica di YIIK funziona solo a tratti.

Anche la narrazione, che presenta alcuni spunti interessanti dal punto di vista surreale e metalinguistico, si lascia trasportare dai monologhi interiori dei protagonisti, soprattutto quelli di Alex. Lo spirito umoristico, che a volte sembra ricalcato da Scott Pilgrim di Bryan Lee O'Malley, è fin troppe volte forzato e tedioso.

Dal punto di vista grafico YIIK è volutamente spoglio, molto colorato e a tratti psichedelico. Tre elementi che mescolati tra loro non restituiscono una bella sensazione visiva. Nonostante l'impianto tecnico sia abbastanza semplicistico abbiamo notato dei cali di frame rate su Playstation 4, che aggravano ulteriormente la situazione. Una piccola nota di merito va alle musiche, curate discretamente bene, sempre diversificate nei vari momenti del gioco. Le tracce variano dal prog, all'elettronica, passando per il jazz e ai motivetti in 8bit che fanno il verso alle vecchie glorie del gioco di ruolo giapponese.

L'amore e le buone intenzioni che sono state messe nella realizzazione di YIIK si percepiscono fino in fondo e questo non fa che aumentare il dispiacere che si prova nel giocarlo. In questo titolo, che cerca di omaggiare alcuni capisaldi della storia del videogame, non vi è quasi nulla che funzioni in maniera serena, dal comparto tecnico al gameplay. Il contesto metanarrativo in cui è immerso il titolo non lascia mai far entrare il giocatore nella storia di Alex, per goderne appieno.

L'incontro con Sammy è decisamente surreale.

Per immergersi nel postmoderno efficacemente c'è bisogno di un'eleganza creativa e di una precisione matematica che rasenta la perfezione. Un po' come quella che sfodera Tarantino nel realizzare i suoi film. Un'accuratezza totalmente assente in YIIK, che si perde inevitabilmente in un mare magnum di citazionismo spicciolo.

4 / 10

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Antonio Savino

Contributor

Aspetta ostinatamente la lettera d'ammissione ad Hogwarts, nonostante la comparsa dei primi capelli bianchi. Per ingannare l'attesa cerca la magia nel cinema, nella musica, nei videogame e nel culto di Cthulhu.
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