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Vent'anni di Final Fantasy VIII - articolo

Paradossi temporali e fantascienza esoterica

Vent'anni fa, in questo giorno, vedeva la luce l'ottava fantasia finale: come sempre longeva, come sempre infinita. Per un'intera generazione s'è trattato del primo Final Fantasy, addirittura del primo Jrpg: la molla che ha condotto a un intero universo fatto di equipaggiamenti, Hit points, statistiche e recolor di mostri. Senza far regola delle esperienze personali, d'oggettivo c'è che con Final Fantasy VIII abbiamo avuto la prima localizzazione in italiano della saga, per gli ovvi meriti (e grazie al successo) del diretto predecessore.

Il pubblico cresceva, si passava dalla nicchia volenterosa di cimentarsi con l'inglese, al semplice curioso occasionale. Da lì a far parte di una fanbase, il passo è breve. Squall e Cloud sono diventati gli eroi simbolo di un intero brand. Kingdom Hearts - per esempio - questo lo sapeva molto bene, tanto che il "leone" fa da storico alleato di Sora, in quei giorni in cui il prescelto impugnava il Keyblade per la prima volta.

Ma torniamo, dati da parte, al primo incontro con un'intera cultura: a come Balamb e World Map di questo mondo senza nome si siano stanziati nella nostra memoria, diventando quasi emblemi topici di un intero genere e modello videoludico. Non vogliamo generalizzare. Suikoden, Wild Arms, Pokémon, spesso e volentieri hanno avuto, per il pubblico nostrano, lo stesso onore. Per gli appassionati è il caso di aggiungere Legend of Lagoon, Grandia, Legaia, Tales of Phantasia. Per i pionieri dell'epoca, addirittura Phantasy Star, Breath of Fire, Shin Megami Tensei e così via. Nomi importanti. Ma sono anni lontani, oggi gli equilibri sono cambiati e così i primi amori.

L'intro, 'Liberi Fatali', è la seconda soundtrack in latino dell'intero franchise. La prima è 'One Winged Angel', del fantomatico Sephiroth.

Bisogna comunque ammettere che SquareSoft (pardòn, Square-Enix), con Sakaguchi e Kitase, Amano e Nomura, era e resta un colosso egemonico, almeno in termini di impatto culturale. Anche in virtù dei suoi fallimenti, i quali non sarebbero così importanti se stessimo parlando di una piccola realtà. In quegli anni si preparava, dopotutto, il film d'animazione The Spirit Within (2001), un flop nonostante la sua magnificenza visiva. Un discorso che ci porterebbe lontano, a parlare tanto di gestione aziendale (Tabata cammina come un'ombra tra queste righe), tanto di gusti e preferenze, imbastite a forza in scale gerarchiche: un po' l'amaro destino di ogni discussione che riguardi Final Fantasy.

L'VIII come porta per il gdr nipponico, dunque, e inconsapevole fautore di aspettative che possono giocare brutti scherzi. Non è una tesi da voler imporre, ma un principio di discussione: oggi la nostalgia è quasi una buzz word. Si sente dire spesso che non esistono più i Jrpg di una volta, raramente li si guarda nel dettaglio, col senno di poi. Già con Final Fantasy VIII si lasciavano da parte gli MP, le magie si trasformavano in risorse consumabili, le meccaniche di sviluppo ed evocazione in punti fondanti della trama (e dei suoi buchi). Al contrario di Dragon Quest e altri rivali (in casa o meno), farming e difficoltà erano già limitate a piccole attività opzionali, come i super boss. Final Fantasy ha sempre - sottilmente - difeso il giocatore dal Game Over.

Il figlio di un brand che ancora oggi è chiuso in questo limbo tra vecchio e nuovo, un fato che rivediamo - come una profezia - già nel loop temporale che legava Garland a Chaos, nel lontano 1987. L'ottava fantasia finale, parlava di memoria, e anche noi - oggi che è il ventennale - proveremo a parlare di memoria. Ma soprattutto di fantascienza.

I Guardian Force (G.F.) aiutano in battaglia e garantiscono lo sviluppo del personaggio, combinandosi al sistema di Junction. Le abilità in loro possesso sono molto varie: Siren, per esempio, permette di curare gli status alterati più rari.

La trama con gli anni è stata "revisionata" e spulciata più e più volte, ed è stata dura: in pochi ormai difenderebbero l'espediente che, a fine secondo CD, svela la natura "materna" di Edea. In pochi crederebbero a certe teorie fuori-scala e "salvatrici" (Artemisia/Rinoa), smentite ufficialmente in Ultimania. L'esistenza dell'orfanotrofio di Centra è un urto narrativo, così come la dimenticanza - plotwise - di fatti vitali per l'intero mondo di gioco. Un baratro di scrittura pigra è il modo, da lotofagi, attraverso il quale i Guardian Force portino alla totale cancellazione di una grossissima fetta di infanzia in menti nel pieno dell'adolescenza. Questa la grande colpa di FF VIII: un twist eccessivo.

Un ridimensionamento subito anche alla luce di molti aspetti dell'ambientazione. Oggi è più chiaro, in prospettiva, l'impatto che gli Shonen giapponesi, e l'intera cultura scolastica del Sol Levante, abbiano avuto sulla natura accademica dei Garden. Una scelta cara agli anime, "potteriana" o da X-Men, se vogliamo, le cui radici giungono fino al più recente Type-0, e che ha delle controparti in Trails of Cold Steel, Soul Eater e persino Boku No Hero. Ma era il tentativo, da riconoscere come efficace, di centrare in pieno un certo target demografico.

L'idea di un manipolo di bambini-soldato ha delle derive interessanti, ma raramente affrontate di petto (come farà pochi anni dopo Metal Gear Solid 2). Siamo lontani dagli esempi di coraggio mostrati dalla saga: l'ecoterrorismo degli Avalanche; Cecil, cavaliere oscuro in tempi lontani dall'anti-eroe a tutti i costi; il World of Ruin del buon Kefka Palazzo.

Herbia è una delle prime Boss Battle, in cima alla torre radio di Dollet. 'Force Your Way' è il bellissimo tema di Nobuo Uematsu che accompagna gli scontri più impegnativi.

Tutto questo non deve offuscare, nel nostro giudizio, i marchingegni narrativi dietro la guerra tra Galbadia e Dollet, dove son molte le trovate degne di nota. Un altro errore che pesa su questo titolo, dal quale SE pare non abbia imparato, è quel prendere alla lettera il consiglio di scuola americana: «Show, don't tell». Pur di mostrare senza dire, sono fin troppe le informazioni d'archivio, a cominciare dall'importantissimo Pianto Lunare fino alle ragioni dietro le interferenze radio; dal ruolo delle Streghe e dei Seed all'elemento geo-politico. I personaggi danno per scontato che il giocatore sappia, e il giocatore spesso dimentica di avere un database da consultare.

E peccato. Perché è un mondo che colpisce a livello inconscio, colpisce in un certo senso nell'anima, come un sortilegio di strega. Merito della colonna sonora (Nobuo Uematsu al suo apice), merito di un'ambientazione che vive di una filigrana di inquietudine, non detto, come se ci stessimo aggirando in lande di carta carbone, alienanti e in stasi. Un peccato perché il Background non è assente o frammentato, ma nascosto e per giunta molto forte, intessuto della migliore fantascienza.

Riesce a infondere un senso di soprannaturale che va oltre la tecnologia e la magia stessa. C'è qualcosa di fuori posto, e quel qualcosa è il tempo. Edea, Adele ed Artemisia, sono streghe legate allo spazio, che come nei culti di Evangelisti, portano il conturbante. Uno scarto dalla norma molto vicino - come effetto, non profondità - alla sintesi sci-fi/gnostica di Xenogeas: un team al quale furono tarpate le ali proprio per il bene del figlio di Sakaguchi, più forte e famoso.

Se il titolo risuona tanto, nel pubblico, è grazie a un altro tipo di fantascienza, più vicina al fantastico e da Space-Opera. Forse è proprio questa la ragione principale per cui, tra Gunblade e Assimilazioni, Archeosauri e Mecha armati fino all'osso, siamo giustamente affezionati alle avventure di Squall e compagni.

Nel corso dell'avventura ci troviamo al cospetto di tre Streghe, ultima delle quali è l'inquietante Artemisia.

È il capitolo di Vaan (XII) quello col debito più forte nei confronti di Star Wars; ma qui le figure ricorrenti di Biggs e Wedge hanno comunque un ruolo marcato. Gli inseguimenti all'interno di strutture volanti e monolitiche, dai Garden al Lunatic Pandora, ai siti di ricerca in mezzo all'oceano, si inseriscono in questa tradizione. Basti pensare agli Shumi e al loro villaggio, ai Mumba, e al Distretto-D nel deserto.

E c'è dell'altro, dal T-Board di Zell (Ritorno al Futuro) al PuPu, un parodistico approccio agli incontri ravvicinati del terzo tipo. L'Odissea nello Spazio di Clarke e Kubrick fa giusto una toccata e fuga, per lo più da pennellata estetica, restando un sottile e sotterraneo leit-motiv del terzo CD. La luna e il vuoto, non dimentichiamolo, erano già stati al centro dell'attenzione di Square: ma il contorno era ancora spiccatamente High Fantasy, e un paladino contro un lunariano (FF IV) fa più Orlando che John Carter.

VIII è dunque un balzo enorme in direzione futuristica, che sostituisce il timido shuttle di Cid Highwind e il Cyberpunk, lo Steampunk visto in passato, la magi-tecnologia e le aeronavi classiche, con la versatilissima e potentissima Laguna Rock, una sorta di White Base in stile Gundam. E in più, si torna a giocare col tempo, uno degli elementi più distintivi del genere sci-fi, a cominciare dal capostipite H. G. Wells, e che diventerà una grande presenza in Ring of Fates e nella Fabula Nova Crystallis.

Dalla lotta contro gli eserciti e le streghe, ci spostiamo al cuore intimo della vicenda: la romance, l'attesa degli amanti contro tutto e tutti, persino contro lo spazio-tempo. In FF IV Cecil e Rosa, con il loro "Theme of Love", non hanno mai attecchito nell'immaginario dei videogiocatori. E questo nonostante l'ottima costruzione in termini di crescita dei personaggi; incluso Kain, il terzo incomodo. VI e VII sono, per giusta ragione, discretamente vaghi sul fronte sentimentale, e gestiscono l'argomento con grande maestria: è una parte della vita dei personaggi, quando non della backstory.

Il Triple Triad è un minigioco di carte molto divertente. Ogni regione del mondo adotta regole differenti, un tocco di classe non da poco.

Ma ecco la coppia Leonhart-Heartilly, musone tenebroso e incosciente principessa in pericolo, cadere - anche per scelta ponderata - nel regno dei cliché da teen-drama, dei muri sentimentali da abbattere. «Parla con il muro», qualcuno ricorderà, diceva a Quistis il nostro protagonista. Da questo momento in poi la love story è diventata essenziale, una formula da cui non allontanarsi, a rischio di scadere nell'artificiosità. Final Fantasy, se Kingdom Hearts è "Simple and Clean", è stato per un po' anche la dolce melodia di "Eyes on Me", bellissimo brano cantato da Wang Fei. Una delle colonne sonore più vendute nella storia dei videogiochi e momento focale della relazione tra Rinoa e Squall.

Si passa quindi dalle aspettative dei giocatori, che volevano riprovare le stesse emozioni, alla risposta della major, con conseguente - e normale - reiterazione e maggior investimento nel comparto romantico. Square ha imposto un gusto, e subito dopo ha tarato i propri sforzi di conseguenza e ci si è rinchiusa. Ma sia chiaro, non senza ottimi risultati.

Comunque, non c'era solo questo. Una doppia linea narrativa connetteva un altro personaggio, Laguna, a Squall: presente e passato di una storia lunga un ventennio. Scoprivamo così la dittatura della strega Adele, i panorami di Esthar e del deserto di sale, le strambe vicende della famiglia Loire. Ward che smarrisce la sua voce, Laguna con il suo amore perduto, sono grandi tocchi di maturità, camuffati con le scenette slapstick comedy dell'uomo «with a machine gun». Laguna è il grande dimenticato, ma anche il grande vincitore di FFVIII: la trama intorno alle sue vicende alza di molte spanne la qualità complessiva del tutto. Ricorrendo a un mix tragi-comico, la storia abbandona il deus ex machina e si fa più misteriosa e tragica.

Nella versione Steam, gli Asset e l'audio si basano sul porting PC del 2000.

A voler usare la lente di ingrandimento, tra le scene spicca la parata di fine primo CD: una danza delle streghe da Notte di Valpurga, un momento registicamente perfetto, e lo stesso si potrebbe dire delle tante sequenze d'azione in FMV. I viaggi in treno, la possibilità di girovagare in macchina - con benzina a pesare sulle nostre sacchette - e la quantità di Npc in ambiente scolastico, garantivano una grande immedesimazione, con atmosfere che a tratti ricordano le strade asfaltate di Leide, in FF XV.

Non mancavano, gameplay parlando, zone adibite alla libera esplorazion, per citarne due: l'isola più vicina all'Inferno o le Rovine in cui attende Odino. Insieme alle scenografie cittadine di grande impatto, arricchivano la miriade di materiale opzionale. Questi sono giusto alcuni dei tocchi di fascino del titolo, che in un modo o nell'altro si ritrovano spesso in altre opere di quella generazione (dal diretto successore a Chrono Cross). Sono elementi che superano, e quasi sempre vittoriosamente, il trascorrere degli anni... Anche per l'equilibrio tra mondo chiuso e aperto, una consapevolezza che dopo anni di fallimenti i game designer stanno riacquisendo.

Final Fantasy VIII merita una rivalutazione da più fronti. In meglio da chi si è abituato a bistrattarlo per colpa delle sue - inoppugnabili - ingenuità; e in una direzione di concretezza da chi ne conserva un ricordo distante, offuscato. Un ritorno al passato potrebbe rimettere a fuoco tanto gli esempi di game design discutibile (il rettilineo del Fisherman's Horizon o lo squilibrio delle Limit), che le ottime variazioni del collaudato schema dungeon-città (dal treno del presidente Deling, alla Tomba del Re Senza Nome).

Le Limit sono tecniche potentissime che richiedono l'esecuzione di un minigioco, diverso a seconda del personaggio. Con Squall, basta premere il grilletto del Gunblade al tempo giusto.

Tecnicamente, i Junction sono uno dei sistemi più sbilanciati pensati per un Jrpg: permettono di proseguire low-level (i nemici scalano in base al nostro livello) ma con una potenza elevatissima (la nostra forza dipende dalle risorse investite in una statistica). Però restano un'idea originale, che se fosse stata limata, avrebbe potuto garantire fior di sistemi profondi e strategici. E per quanto riguarda le invenzioni, il card game Triple Triad (oggi in XIV), nasce da qui: un gioco nel gioco, con tanto di collezionabili. Dinamica ripresa col più complesso Tetra Master del IX (poi in XI).

I Final Fantasy su Playstation sono quindi lo spartiacque, il filtro con il quale cominciare a porci delle domande, dove l'IP comincia a lasciare il regno del "caro vecchio Jrpg" e si immette nel regno dello sperimentalismo, tematico e ludico. Cosa è classico, cosa è innovativo; cosa è stato frutto di "allontanamento dalla formula", quali pregi e difetti derivano da un cieco adattarsi al gusto, o un cieco rivangare gli albori. Non a caso l'Active Time Battle, visto anche in Chrono Trigger e sistema di combattimento che ha reso famosa la saga, è stato per anni il sistema adottato da Rpg Maker. Già negli anni precedenti era il frutto di una trasformazione di pubblico e mercato, e con il Job System (III-V) e la combo AP/Eidolon (VI) per lo sviluppo degli eroi, si percorreva già la strada del cambiamento.

Che il - recentemente annunciato - Gunbreaker di FF XIV voglia condurci a un salto nel passato? In ogni caso, in quest'anniversario è il caso di sottolineare come Final Fantasy VIII sia forse uno dei gdr meno classici di quegli anni; al nocciolo resta un'esperienza diversa dalla norma. Fuor di campanilismi e cieca esaltazione, credo sia giusto che ci manchi un po'.

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Antonino Fiore

Contributor

Classe 1993, in squadra dal 2018. Ha scoperto i videogiochi con i floppy dell’Amiga e da allora vive, sbalzato temporalmente, una generazione indietro. Dalle avventure grafiche agli horror, è un accanito retrogamer e un vorace escapista. Con gli anni ha realizzato d’essere, più che altro, un semplice Homo Ludens. Megaman e Suikoden sono i suoi punti deboli.
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