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Shadow of the Colossus e il problema della fedeltà - articolo

Il Viandante sul mare di texture.

Essendo uno che passa gran parte del suo tempo coi giochi pensando a fotografare i loro spazi, i loro mondi e la loro architettura, spesso dimentico che questi sono spazi in cui non entriamo mai realmente. Mentre la nostra mente vaga oltre lo schermo, per noi è soltanto un confine marcato, uno di quelli che non possiamo mai oltrepassare. In verità, sembra proprio che gli spazi dei giochi non siano spazi reali, immagini degli spazi stessi, riprodotti con stabili sequenze di fotogrammi a 30 o 60 frame per secondo. Perché questo è rilevante? Perché, anche se i giochi possono essere una sorta di figli indesiderati di arte e architettura, vale la pena ricordarsi che la loro storia pre-digitale è quella che si connette alla storia delle immagini, e ad immagini di spazi, prima di diventare la storia dell'architettura o degli spazi stessi.

Tutto questo mi è stato chiaro quando mi sono imbattuto nel remake di Shadow of the Colossus. Qui c'era uno spazio che conoscevo intimamente, in cui avevo speso ingenti quantità di tempo (o almeno immaginando di trovarmi là), che era stato rimodellato, cambiato e anche trasformato. E comunque, non era lo spazio che stava cambiando, ma l'immagine di esso. Le ripide colline, le superfici delle pianure scompigliate dal vento, le rocce selvagge, tutto era riprodotto fedelmente partendo dall'opera originale come una ricreazione rituale. Ogni elemento era specchiato negli spazi che conoscevo e che avevo lasciato affondare nei miei ricordi, ma il modo in cui questi elementi spaziali, questi paesaggi e queste masse maestose si ergevano, era cambiato totalmente.

È una questione di fedeltà, una parola che è più collegata all'immagine che allo spazio. La usiamo spesso per descrivere i mondi di gioco e la loro eccezionale riproduzione dei dettagli e della profondità di spazi e paesaggi reali. Quando ho viso il remake di Shadow of the Colossus, quel che ho visto è essenzialmente fedeltà. Quello che era una volta un espressionistico blocco grigio e sfumato nel gioco originale, che voleva rievocare una scogliera, è ora la descrizione di una scogliera: riprodotta con una marea di chiaroscuri, biforcazioni e colori evidenti ai miei occhi. In questo remake il livello di fedeltà tradisce la sua attitudine divisa. Dopo tutto, fedeltà è una parola che si riferisce alla riproduzione. Ma questo remake non è fedele solamente all'opera originale, bensì anche alla realtà. Quando parliamo di fedeltà, non stiamo solo parlando di una riproduzione fedele delle qualità del gioco originale, stiamo anche parlando della riproduzioni delle immagini da cui il gioco originale stesso traeva spunto.

Il risultato finale è un qualcosa di particolare che sembra separato dal gioco originale. Mentre Shadow of the Colossus, con le sue lande di terra brulle, sfocate e colme di bagliori nella loro forma originale trasmettevano l'idea di un posto, il suo remake descrive invece il posto stesso. C'è qualcosa di irremovibile nel suo livello di dettaglio, una sensazione di esattezza che è completamente differente. Quando vedo una parete rocciosa nel remake di Shadow of the Colossus, sto guardando una parete rocciosa, una roccia particolare, una particolare vegetazione incolta. I loro dettagli li fanno diventare oggetti distinti in un modo che i materiali scenici nebbiosi dell'originale non avevano mai fatto. Tutti insieme mettono in scena un paesaggio indiscutibile, uno che potrebbe anche giocarsela alla pari con un paesaggio reale. In confronto, le pianure erbose e nebbiose del gioco originale davano piuttosto l'aspetto di un sogno, già quasi dimenticato, già perduto.

Oserei dire che la differenza non è solo in termini di fedeltà, ma una differenza di linguaggio. Per me è come confrontare i paesaggi narrati dallo scrittore Mervyn Peake, emergenti e oscuri come i (quasi) trattati scientifici di scrittori come Cormac McCarthy. Entrambi gli scrittori hanno le proprie qualità, ma ognuno è differente dall'altro. Le parole di Peake esplorano il mondo della fantasia e dei sogni, ma sempre utilizzando toni terrestri, mentre McCarty ha un linguaggio più rurale, parlando nei particolari di piante e paesaggi biologici. Ma forse questi paragoni sono poco calzanti perché non stiamo parlando di linguaggio, ma di immagini. Quindi forse un pittore potrebbe essere più utile a farci capire.

Per quanto riguarda i pittori, è difficile pensare a uno più influente sui giochi e sulle immagini materializzate, di Caspar David Friedrich. È morto nel 1840, ma il suo più famoso dipinto, "Der Wanderer über dem Nebelmeer" o Il Viandante sul Mare di Nebbia, ha guadagnato una sorta d'immortalità per le sue innumerevoli imitazioni. Forse il più noto esempio di opera romantica è il Rückenfigur, un quadro che ritrae una figura girata di spalle che rimira un paesaggio, e possiamo vedere dei tratti di quest'opera sulla cover americana di Breath of the Wild e su innumerevoli poster di film per grande e piccolo schermo. Si può anche riscontrare in Minecraft, anche se in versione a bassa fedeltà. Ma al di là di questo, l'immagine del maschio solitario di Friedrich, che medita in cima a un monte con un paesaggio misterioso sullo sfondo, è veramente l'immagine emblematica degli stessi giochi open world. Proprio come i nostri avatar in quei giochi, Il Viandante di Friedrich fa da intermezzo tra la nostra prospettiva e lo spazio interno dell'immagine. Non possiamo trapassare la tela ed entrare nel paesaggio di fronte a noi, ma attraverso il Viandante ci poniamo di fronte ad esso. Guardare il dipinto di Friedrich equivale a prendere i panni del viandante, immaginando di stare sul picco della montagna ammirando il paesaggio. Allo stesso modo, i nostri avatar in giochi come Breath of the Wild, The Witcher 3 o Shadow of the Colossus svolgono lo stesso ruolo di elemento che si differenzia dal paesaggio, fornendo al tempo stesso un vascello su cui possiamo far viaggiare la nostra esperienza.

Il Rückenfigur di Shadow of the Colossus, dimostrando buon gusto, è chiamato pure Wanderer (Viandante). Mentre lui vaga nelle vaste lande del gioco, noi immaginiamo di essere lì in quelle immagini che vediamo. Ma c'è un altro collegamento con il quadro di Friedrich che vorrei portare alla vostra attenzione, uno che si riconnette al problema della fedeltà. Anche se ad un primo sguardo il dipinto di Friedrich sembra trasmettere un paesaggio molto curato, riprodotto con uno stile realistico, appena si guarda in modo più approfondito diventa tutto meno chiaro. Le rocce che compongono il paesaggio sembrano vaghe e disegnate frettolosamente, accompagnate da fila di alberi che appaiono come delle punteggiature. Il paesaggio a distanza, due arcate montuose che scorrono verso il basso con un affioramento montuoso alle spalle, sono rappresentate in modo piatto e con forme nebbiose, attentamente accompagnate da forme suggestive. Infatti, dietro l'immagine altamente dettagliata della roccia che si erge in primo piano, il paesaggio sfuma in forme indeterminate, disconnesse; non è un paesaggio in piena regola, ma un gruppo di forme sfocate con connessioni immaginarie tra esse. È un mare di nebbia, il Nebelmeer (che parola!) che permette questo, con la sua forma quasi cartoonesca schiacciata dal vento, che circonda le disomogenee isole rocciose. Il 'drama' di questa immagine sta tutto nella sua forma, nel movimento e nella tonalità, tutta la sua vita, e quando distogliete lo sguardo, tutti i dettagli. Poiché la cosa più interessante del Viandante sul Mare di Nebbia è come si manifesta nella vostra memoria, riempiendola lentamente con dettagli inventati e che lentamente maturano il senso della vita.

Questa è la cosa strana della fedeltà; che finisce per rovinare quello che cerca di rappresentare. Più è dettagliata e definita un'immagine, e più è a posto. Se tutto è dettagliato in maniera pulita, pienamente visibile, composto e a posto, allora che spazio c'è per noi stessi? Anche con un Rückenfigur al centro dell'immagine ci troviamo bloccati, incapaci di accedere allo spazio. Invece di vagare, siamo fermi in uno spazio, assaliti dai dettagli da tutti i lati. A volte, il remake di Shadow of the Colossus può dare questa sensazione. La fedeltà delle sue pareti rocciose e degli alberi, l'immenso volume della vegetazione ed i singoli fili di erba distinguibili l'uno dall'altro fanno quasi pensare che abbia smarrito la sua strada. È come se iniziassimo a dipingere sopra il quadro di Friedrich, disegnando con precisione le fila di alberi distinguendo le specie, definendo le sue strane rocce in calcare e granito. E forse come tocco finale, potremmo “snebbiare” l'immagine (per utilizzare un termine tecnico), per far affiorare il paesaggio sottostante. O forse potremmo ridipingere la sua strana nebbia, trasformandola dalla sua forma mutevole e immaginaria nelle forme indifferenziate bianco-grigio che rappresentano più accuratamente le nubi reali.

Il risultato potrà essere impressionante, tecnicamente sorprendente, infarcito di quel tipo di dettagli che generano consensi e post dedicati su Reddit. Si potrebbe dire che abbia ignorato il look “antiquato” dell'originale: il linguaggio sarebbe cambiato, il tono della descrizione, così come l'origine dell'immagine. Sarebbe stato un taglio netto da una storia di immagini sostenute da paesaggi magnetici indefiniti, connessi invece alla ricerca senza fine della ricreazione, dell'accuratezza, dei dettagli definitivi. Legato alla fedeltà come ad un guinzaglio. E pensando in questo modo, mi colpisce istantaneamente quanto strano sia il fatto che l'etimologia della parola "fedeltà" provenga dal latino “fede”, poiché un'immagine caratterizzata dalla massima fedeltà non richiede proprio per niente la fede.

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Gareth Damian Martin

Contributor

Gareth Damian Martin is a writer, artist and designer. He is the editor and creator of the videogames and architecture zine Heterotopias.
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