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La storia di violenza alla base dell'ambientazione di Far Cry 5 - articolo

La prima frontiera: dove tutto ha avuto inizio.

Negli ultimi mesi, prima del rilascio del gioco, c'era nell'aria una strana sensazione, come se la scelta del setting statunitense per Far Cry 5 fosse una sorta di “ritorno a casa” per la celeberrima serie. È qualcosa che ho avvertito già nel coverage del gioco, il che è abbastanza strano considerando che la serie è nata in Germania, originariamente era ambientata in Micronesia e ora è nelle mani di Ubisoft Montreal (la branca canadese di uno studio francese). Com'è possibile che una serie caratterizzata da un sorprendente numero di setting diversi, ispirati da luoghi così diversi come il sud del Pacifico o il Nepal, possa “tornare a casa” tra i grandi spazi e le piccole cittadine del Montana?

Forse deriva dal fatto che il protagonista del gioco originale, genericamente chiamato Jack Carver, era un americano (ex-Forze Speciali, naturalmente) naufragato lontano da casa e se c'è qualcosa che collega i giochi di Far Cry, oltre il ripulire gli avamposti nemici e cacciare animali selvatici, è probabilmente il senso di distanza. “Esotico” è la parola che Ubisoft utilizza, spesso in modo risoluto, per descrivere questa varietà di ambientazioni.

Le implicazioni sono ovvie: queste non sono le nostre case, i nostri paesaggi, i nostri posti ma appartengono a qualcun altro. Far Cry ha esplorato a fondo questo concetto di “qualcun altro” includendo non solo qualche stereotipato rivoluzionario africano o qualche isolano tatuato ma anche gli antenati preistorici dell'umanità stessa. Potremmo dire che, nonostante i capitoli più recenti della serie siano stati sviluppati in Canada, l'identità americana del loro pubblico sia stata inserita al suo interno fin dall'inizio. È il mondo visto da occhi americani, un campo di prova per la violenza delle spedizioni e la libertà turistica assoluta. Il nome stesso della serie suggerisce un mondo definito dalla distanza e dalla diversità.

Il concetto di “casa”, quindi, è un'idea inserita da sempre in Far Cry, un paesaggio fantasma nascosto dietro ognuna delle località esotiche che la serie ha presentato. Un po' come il passato militare che i protagonisti dei giochi tendono ad avere, per giustificare anche troppo comodamente la loro abilità nel maneggiare armi da fuoco come soldati veterani, così questa casa americana che ci aspetta ma che non vediamo mai è un modo per rendere l'ambientazione in cui stiamo giocando ancora più “esotica”.

Mi spingerei anche a dire che la prospettiva invisibile di un'indefinita casa americana e l'abbozzato passato militare di molti dei protagonisti servano allo stesso scopo, quello di originare e giustificare la violenza dei vari capitoli: in Far Cry risolviamo problemi sparando perché è quello che sappiamo fare meglio e risolvere quei problemi è nostra responsabilità perché rappresentiamo l'America nel suo ruolo di risolutrice internazionale di problemi. Ubisoft ha provato ad ammorbidire la sgradevole natura di questa narrativa nel corso della serie, con Far Cry 4 che aveva come protagonista un nativo del Kyrat (una versione fittizia del Nepal), emigrato all'estero, ma non hanno potuto resistere dal farlo volare avanti e indietro dall'America per la maggior parte della sua vita. È come se in tutti i giochi esistessero solo due ambientazioni, definite dalla classica e profondamente sgradevole divisione coloniale di Oriente ed Occidente. Se qualcuno non è in una, deve essere per forza nell'altra: la logica non è capace di immaginare un altro posto in cui un rifugiato del Kyrat come Ajay Ghale, il protagonista di Far Cry 4, possa andare.

Cosa succede, dunque, quando questi due mondi si incontrano? Quando l'ambientazione di “casa” e quella esotica si sovrappongono? Quale sarà il punto di origine dell'inevitabile violenza nel gioco? La risposta, ancora una volta, è possibile trovarla in un concetto, una parola problematica e politicamente densa come il termine “esotico” ed ugualmente connessa all'idea di paesaggio: la parola “frontiera”. Apparso ripetutamente nella copertura stampa del titolo fino ad essere citato dallo sceneggiatore del gioco Drew Holmes che ha più volte elogiato il senso di “frontiera” del Montana, questo è un termine chiave per descrivere le ambientazioni di Far Cry 5. La cosa più affascinante del guardare questo termine evolversi in relazione al gioco è che dimostra la difficoltà, per la serie, di lasciarsi alle spalle l'immaginazione coloniale del mondo, anche quando concentra la sua attenzione al proprio Occidente.

Il Montana era, ovviamente, meno di 150 anni prima del setting contemporaneo di Far Cry 5, una vera frontiera. Effettivamente, fu uno dei territori più violenti e contesi degli Stati Uniti, un campo di battaglia tra le tribù di Nativi Americani che hanno vissuto tra i suoi paesaggi per generazioni e la forza colonizzatrice e usurpatrice dell'esercito statunitense. Come potreste già sapere, fu in montana che il Generale Armstrong Custer combatté e perse la battaglia di Little Big Horn e fu sempre in Montana, sei anni prima, che 230 membri della Tribù dei Piedi Neri, che era per lo più composta da donne disarmate e bambini, furono massacrati dalla cavalleria statunitense in una delle peggiori pagine della storia recente. Il Montana fu anche luogo di una serie di battaglie in entrambe le guerre tra i Sioux e i Nasi Forati e una delle più grandi riserve di bisonti del nord degli Stati Uniti, con più di 17 milioni di esemplari nel 1870: in meno di vent'anni di caccia dei colonizzatori americani, essi si estinsero.

Dipingendo il Montana come una frontiera, Far Cry 5, volente o nolente, rievoca queste storie. I nemici del gioco non sono nativi americani, sono, invece, estremisti religiosi. La scelta del Montana e della sua “frontiera” non può essere separata dalla storia di quei luoghi e di quella parola. È un forte promemoria che i paesaggi, le ambientazioni non sono il campo neutrale che potremmo pensare. Come scrive Kenneth E. Foote nel suo libro Shadowed Ground: America's Landscapes of Violence and Tragedy, questi “siti di violenza” sono “incisi nel paesaggio” (cioè sono marchiati a fuoco nella narrativa di quella terra). Come si relaziona, quindi, il Montana fittizio di Far Cry 5 alle vere montagne del Montana e alla loro storia? È, ovviamente, un legame fatto di straripante violenza. Esattamente come le ambientazioni scelte per i precedenti Far Cry, non sono solo uno squarcio di territorio naturale ma, invece, un parco giochi per l'utente. Tutto è inserito appositamente per essere coinvolto nelle meccaniche di combattimento e conquista, dalla fauna che fornisce provviste, oggetti e anche veri e propri interventi nelle sparatorie fino ad arrivare alla vegetazione che fornisce, invece, coperture e linee di tiro ideali per scegliere accuratamente le tattiche di guerra.

È un paesaggio che ritorna a uno stato precedente, quello della frontiera. È una fantasia americana familiare, vista anche in The Last of Us e The Walking Dead, che gli Stati Uniti tornino terre senza legge, tornino ad essere il simbolo che erano un tempo di espansione, di mistero, di fuga: una frontiera, dunque. Questa idea che il territorio americano contenga in sé un nucleo di violenza, di imperscrutabile distanza, è stata esplorata a fondo dallo scrittore Cormac McCarthy. Nei suoi libri, dal futuro apocalittico di The Road alla decadenza contemporanea di No Country for Old Men, ha sempre inserito due elementi di base: i paesaggi e la violenza. È la sua opera omnia, Blood Meridian, la violenta storia di una banda di “cacciatori di indiani” che riassume più accuratamente quella connessione, tramite la voce del demoniaco Giudice: “Non importa cosa gli uomini pensano della guerra”, dice il giudice. “La guerra continua. È come chiedere agli uomini cosa pensino della pietra. La guerra è sempre stata qui. Prima che ci fosse l'uomo, la guerra lo stava aspettando. Lo scambio definitivo attende il suo ultimo praticante. Così è sempre stato e così sempre sarà. Solo e soltanto così”. Come il Giudice aggiunge in seguito: “La guerra è Dio”.

Anche nel panorama di Far Cry 5 la guerra è Dio. Territorio, violenza e religione sono fortemente interconnesse, come se fossero l'eterno paradigma della cultura americana. Forse è questo che intendiamo quando diciamo che la serie è “tornata a casa”. È qui che troviamo il perfetto riassunto delle tendenze colonialiste, del bisogno di violenza e della venerazione dei paesaggi tipica di Far Cry. Qui c'è stata la prima frontiera d'America, quella che diede inizio alle strutture di guerra e oppressione che furono esportate altrove, successivamente. Far Cry è a casa nel Montana non perché esso è il punto d'origine della serie ma perchè è il punto di origine dei suoi valori. È questo il territorio in cui la sua violenza è nata, tra i suoi alti pini e il suo famoso “cielo infinito”. È una parte importante del cammino di Far Cry alla scoperta di sé stessa come serie, mentre si trascina dietro il suo bagaglio di colonialismo tra un'ambientazione e l'altra, senza riuscire mai a scappare dai fantasmi della guerra. Come direbbe il Giudice: “tutti i giochi aspirano alla condizione della guerra in cui ciò che viene scommesso inghiotte il gioco, il giocatore, tutto.”

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Gareth Damian Martin

Contributor

Gareth Damian Martin is a writer, artist and designer. He is the editor and creator of the videogames and architecture zine Heterotopias.

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