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Il secondo Rinascimento del mercato indipendente - editoriale

Il sottobosco indie in 2D chiude una generazione di capolavori.

Siamo ai The Game Awards 2018. Jeff Kaplan sale sul palcoscenico di Geoff Keighley e annuncia i candidati al titolo di Game of the Year: c'è Red Dead, c'è Spider Man, non può mancare God of War, poi incoronato vincitore, e dalla lista fa capolino anche Assassin's Creed: Odissey, seguito a ruota da Monster Hunter: World. Insomma, un'elenco di gigantesche produzioni tripla A, progetti seguiti da centinaia, a volte anche migliaia di addetti ai lavori, la massima espressione tecnologica del medium moderno. Accanto ai titani, tuttavia, appare un'opera decisamente più piccola, nata dall'ingegno di Noel Berry, Matt Thorson e un pugno di amici, ovvero il semisconosciuto Celeste.

Novantaquattro punti di media Metacritic, una caterva di perfect score e lodi sperticate da parte dei recensori più esigenti sulla piazza. Una mosca bianca? Assolutamente no: la parte alta delle classifiche, il percentile più ridotto fra le statistiche degli aggregatori, ha conosciuto in questa generazione la presenza di tantissime produzioni indipendenti capaci di eguagliare e addirittura scavalcare l'ambizione creativa dei colossi del mercato.

Nonostante quella che è la percezione dell'utenza, la soglia del "90" è sempre più difficile da avvicinare e oltrepassare, specialmente quando il numero di voci chiamate in causa aumenta giornalmente. Ebbene, questa tendenza non ha impedito a Celeste di Matt Makes Games, Undertale di Toby Fox, Hollow Knight del Team Cherry, INSIDE di Playdead, Shovel Knight di Yacht Club Games e tantissime altre produzioni indipendenti in 2D di posizionarsi estremamente vicino al limite del 10, lo 'score' definitivo.

The Game Awards 2018: il team di Celeste ritira il premio per il Game for Impact, ma è candidato anche per il Game of the Year. Prima di Celeste, era toccato solo a INSIDE e Kentucky Route Zero.

Si tratta di titoli che non hanno potuto contare sui valori produttivi di Take Two Interactive, sulla forza lavoro di Ubisoft né sull'expertise degli artisti di Santa Monica Studios, ma che hanno dovuto lottare per ritagliarsi uno spazio nell'olimpo sfruttando le declinazioni più sottili nella disciplina del game design, cercando un'art direction personale, un gameplay di per sé innovativo, una cura per i particolari aliena alla tradizione moderna o, qualche volta, una sceneggiatura che sarebbe complicato vendere ai grandi attori del mercato.

Il tratto distintivo che unisce le sopracitate opere è una straordinaria consapevolezza della propria dimensione tecnologica, caratteristica che dimostra la grande capacità di non tentare il passo più lungo della gamba, raccogliendo fondi solamente per limare gli spigoli del progetto senza mai perdersi nel tentativo di imitare il mercato di massa. Due dimensioni, engine 'poco dispendiosi' come Microsoft XNA, Haxe, GameMaker e l'onnipresente Unity, obiettivi di crowdfunding ragionevoli e proiezioni di vendita verosimili, spesso largamente superate.

L'ingrediente segreto risiede nella necessità di presentarsi sul mercato con qualcosa di diverso e originale, che sia al tempo stesso libero dalle catene dell'esigenza produttiva moderna; e, come diceva Shigeru Miyamoto, la necessità è la madre di tutte le innovazioni. Così, chi in un modo e chi in un altro, numerosi studi indipendenti hanno trasformato la misurata ambizione in prodotti di qualità eccezionale e, soprattutto, capaci di andare oltre la basica innovazione del mercato di massa.

Celeste è un platform hardcore che mette una fisica perfetta e un'ottima direzione artistica al servizio della tematica del disturbo psicologico.

Celeste, ad esempio, è sì un platform estremamente hardcore, un'opera studiata per soddisfare le esigenze del panorama degli speedrunner, ma al contempo impegnata nel difficile compito di affrontare tematiche complesse, tra attacchi di panico e disturbi psicologici; l'esperienza si trasforma, di conseguenza, in una vera e propria simulazione ludica della doppia 'scalata', da un lato verso la vetta del Monte Celeste, dall'altro verso il raggiungimento di un sano equilibrio mentale.

Non è un caso che il titolo abbia vinto più di un premio per l'impatto sociale: numerosi videogiocatori hanno affermato di aver trovato nel progetto di Matt Makes Games una grande ispirazione per giungere alla convivenza pacifica con il proprio problema. Un obiettivo, questo, raggiunto non solo grazie all'embrione di scrittura alla base del titolo, ma soprattutto per mezzo di un gameplay che ne diventa la pietra focale, tra migliaia di schermate disegnate a mano ed un sistema fisico profondo al punto da infiammare il pubblico dell'Awesome Games Done Quick.

Ad oggi, Celeste è una fra le produzioni indipendenti meglio recepite di sempre, forte di una media Metacritic che si aggira attorno al 94, risultato da attribuire alla totale assenza di difetti tecnici piuttosto che all'impattante resa della lotta interiore. La perfezione ludica, in effetti, rappresenta un'interpretazione valida quanto quella del videogioco come veicolo per un messaggio, filosofia adottata invece dai danesi di Playdead con la release di INSIDE.

Playdead Games, sviluppatore di INSIDE, era già salito agli onori della cronaca attraverso Limbo. Il secondo progetto ha superato il milione di copie vendute, mentre il primo si è addirittura spinto oltre i sei milioni.

Dopo l'incredibile successo di Limbo, infatti, i ragazzi dello studio hanno deciso di mettere in scena una nuova, forte avventura in 2.5D capace di generare speculazioni su speculazioni nei mesi successivi al lancio, spingendo giocatori e giornalisti oltre il limite della 'lore' tradizionale, in modo che ciascuno fosse libero di formulare una propria riflessione sull'estensione più ampia del concetto del "controllo".

La rottura del sistema diventa lo sfondo per l'intrusione del bambino nel cuore di una realtà distopica, fatta di scienziati, esperimenti e paesaggi inquietanti che si alternano alle spalle del disturbante cammino verso l'ignoto. Non esiste un'interpretazione canonica, ed è proprio questo il più grande successo raggiunto dall'opera: c'è chi ha letto le azioni del protagonista come una metafora del cancro e chi ha preferito rimanere con i piedi per terra, saldamente ancorato alla metanarrativa incentrata sulla visione Orwelliana.

Alla fine, l'obiettivo ultimo di INSIDE era quello di far girare gli ingranaggi nella mente dei giocatori, ed è stato indubbiamente raggiunto con successo. Se il lavoro di Matt Makes Games è stato il frutto dell'ambizione di un paio di folli programmatori, le opere di Playdead incarnavano la volontà di un giovane studio emergente, una realtà che aveva ormai piantato solide radici nel panorama dell'industria. Un'altra parte del sottobosco indipendente, tuttavia, è costituita da tutte quelle produzioni che non sarebbero mai esistite senza la recente spinta del crowdfunding.

Shovel Knight di Yacht Club Games costruisce sull'eredità di Megaman, The Adventures of Link e Ducktales, realizzando un'esperienza autoironica e al tempo stesso estremamente curata.

In un certo senso, Shovel Knight di Yacht Club Games è stato il precursore di un intero filone, sfruttando in modo egregio il sostegno dei "backers" e regalando addirittura l'opportunità di plasmare in prima persona alcuni contenuti del prodotto finito. Pur essendo l'opera più 'semplice' fra quelle trattate, l'avventura del cavaliere armato di pala poggiava su solide fondamenta fin dagli istanti successivi all'annuncio. Lo scopo? Rendere omaggio alle grandi avventure in due dimensioni, mettendo in scena la più classica reinterpretazione dello stile retrò.

Niente tematiche trascendentali, niente rivoluzioni artistiche: una pura celebrazione dei tempi che furono, arricchita dall'esperienza maturata nei passati vent'anni di medium. Il risultato, pubblicato nel 2014, fu un eccellente action adventure erede dell'era 8 bit interamente ricamato a mano, farcito di strambe interazioni e pezzi di pixel art, oltre che accompagnato da una sensazionale colonna sonora addirittura riproducibile su hardware NES.

Dopo aver raccolto circa 350.000 dollari su kickstarter, Shovel Knight ha recentemente festeggiato il traguardo delle due milioni di copie vendute su tutte le piattaforme home dell'ottava generazione, declinandosi lungo una serie di eccellenti espansioni gratuite. Il lavoro di Yacht Club Games finì per influenzare una nuova generazione di sviluppatori emergenti, ma fu uno studio in particolare, l'australiano Team Cherry, a trasformare il lascito in una vera e propria missione.

Hollow Knight è un vero e proprio capolavoro, specialmente nella sua versione definitiva. Un titolo imperdibile per gli amanti del metroidvania e, perché no, anche del soulslike.

Fra i videogame meglio recepiti nell'attuale gen, infatti, c'è un'altra produzione che deve la sua stessa esistenza unicamente al supporto del crowdfunding, ovvero l'incredibile Hollow Knight. Come il sopracitato Celeste, anche l'avventura del misterioso insetto trovò le sue radici nel corso di una game jam, per poi approdare su Kickstarter e raggiungere il 'goal' di 57.000 dollari, giustificando la transizione da Stencyl al decisamente più performante Unity.

Un risultato economico piuttosto debole, eppure capace di regalare una forma a quello che, secondo numerosi critici, sarebbe divenuto uno fra i migliori metroidvania di tutti i tempi. I ragazzi del Team Cherry hanno scommesso tutto su una filosofia vincente: mescolare l'antichissima tradizione del genere con gli assiomi introdotti da From Software attraverso la rivoluzione del soulslike, spingendo tutte le discipline alla base del game design oltre il limite consentito dal mercato indipendente.

Hollow Knight si è presentato sulla scena forte di alcuni fra i migliori world e level design della decade, un combat design eccezionale e una direzione artistica unica nel suo genere, mura portanti sulle quali si sono inerpicati elementi figli dell'ispirazione 'soulsborne', dall'intuizione dei checkpoint, passando per il sistema di cure attive, per arrivare infine ad un'attenzione maniacale riservata agli elaborati meccanismi di questing e alla caratterizzazione degli NPC.

La luce e l'oscurità del mondo sotterraneo, capaci di rovesciare l'estetica alla Faxanadu, hanno fatto il resto del lavoro, disegnando un'intrigante 'lore' che ha portato il Team Cherry a tagliare il traguardo delle tre milioni di copie vendute, rendendo di fatto Hollow Knight la produzione indipendente più redditizia fra quelle in cima alle classifiche di reception secondo gli aggregatori.

Undertale è un'opera titanica per un singolo designer. Eppure, Toby Fox ha compiuto il miracolo.

Il flusso dei capolavori partoriti da Kickstarter aveva conosciuto, oltre all'immediato Shovel Knight ed allo splendido Hollow Knight, un titolo lontano dalla dimensione delle game jam, dal concetto stesso di software house e da qualsiasi rudimento del videogioco tradizionale. Una produzione ideata, scritta, programmata e accompagnata musicalmente da un singolo individuo, un personaggio che si fece assistere esclusivamente da qualche matita più delicata della propria.

Undertale di Toby Fox, dopo aver esordito nel corso del 2015, si trasformò immediatamente in un cult, raccogliendo un sorprendente manipolo di appassionati e piazzando cinquecentomila copie in tempo record, risultato incredibile per un progetto al limite dell'amatoriale. Armato di GameMaker, di una grande storia e, soprattutto, di uno spiccato talento per il game design, il giovanissimo "Radiation" riuscì a distribuire un videogioco con la V maiuscola puntando esclusivamente sulle proprie forze.

Così, presentò al mondo una fucina di grandi innovazioni nel gameplay, un'offerta che dietro il velo della purezza espressiva nascondeva una profondità rarissima da incontrare nel medium moderno. Non si faceva problemi a rompere la quarta parete, riuscendo nell'intento, già complesso per gli artisti più navigati, di costruire un'esperienza diversa per chiunque dovesse trovarsi ad impugnare il pad, accompagnando il giocatore attraverso un mondo di scelte esistenziali magistralmente condite da una geniale vena umoristica.

Certo, questa analisi rappresenta solamente una piccola parentesi nel secondo rinascimento del piccolo mercato indipendente: abbiamo assistito all'ascesa di Dead Cells, metroidvania dei francesi di Motion Twin, di Return of the Obra Dinn, splendido secondo lavoro nel portfolio di Lucas Pope dopo Papers Please, al successo di Cuphead di Studio MDHR, capace di incontrare i favori di Microsoft e approdare infine in casa Nintendo, oltre che ai risultati raggiunti da tantissime altre opere eccellenti.

Braid ha segnato l'inizio del Rinascimento del mercato indipendente, dimostrando al mondo che la produzione autoriale in 2D 'si poteva fare'.

Senza dimenticare, ovviamente, chi il rinascimento l'ha avviato in prima persona, come Braid di Jonathan Blow, IP rilasciata nel 2008 che, all'epoca, fornì a tutti gli attori del mercato una prova tangibile dell'efficacia della piccola produzione autoriale in 2D. Da allora, le potenzialità dell'interezza dell'universo indie, a prescindere dalle due o le tre dimensioni, sono sempre state evidenti; basti pensare a Minecraft, divenuto nel tempo uno dei media franchise più redditizi del settore, ma anche all'impatto di The Binding of Isaac di Edmund McMillen e Florian Himsl, di Fez di Phil Fish o del folle Superhot di Piotr Iwanicki.

Eppure, molti giocatori continuavano a storcere il naso di fronte al particolare sottobosco delle due dimensioni, e anche la stampa di settore tendeva a definire questo genere di lavori quali 'graditi ritorni al passato' o piccoli gioielli. Oramai è evidente come, invece, la ricerca del futuro nasca proprio dalle case che sentono la necessità di osare, di distinguersi, di deviare dalla sicurezza dei sentieri già battuti.

Quella che dieci anni fa sembrava un'ambizione folle si è trasformata in una concreta miniera d'oro e, finalmente, le produzioni indipendenti sono riuscite ad ottenere anche quel riconoscimento della dignità artistica tradizionalmente riservato ai kolossal. Fra i venticinque videogiochi meglio recepiti nell'ottava generazione di console su ciascuna piattaforma, figurano almeno una decina di IP nate nel cuore del mercato indipendente, e la maggior parte degli sviluppatori è andata alla ricerca del domani proprio nell'unicità delle due dimensioni.

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Lorenzo Mancosu

Editor-in-Chief

Cresciuto a pane, cultura nerd e videogiochi, i suoi primi ricordi d'infanzia sono tutti legati al Super Nintendo. Dopo aver lavorato dentro e fuori dall'industry, è finalmente riuscito ad allontanarsi dalle scartoffie legali e mettere la sua penna al servizio di Eurogamer.it.

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