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Il Re Leone - Recensione

Da un cielo di stelle i Re ci guardano

Ritorna il Re Leone, con una CG che rende i leoni più belli del vero, lasciando intatta la vecchia storia con i suoi valori sempre attuali.

La Walt Disney Pictures dal 1937 ha realizzato una serie di film che sono stati delle pietre fondanti nelle vite di molti di noi e, a seconda dell'età, dei nostri figli e nipoti. Da alcuni anni la mitica Casa sta riprendendo tutti i suoi più grandi successi, rifacendoli con attori veri o con una computer grafica più sofisticata della vecchia animazione "piatta". Dopo Alice, Malficent, Cenerentola, La bella e la bestia e Dumbo, arriva sugli schermi il remake del Re Leone, film in animazione del 1994, rifatto con una computer grafica definita "foto realistica", in effetti strepitosa, ancor più che nel Libro della giungla (uno dei precedenti remake, già diretto da Jon Favreau), che rende i personaggi più veri del vero, così realistica da essere definita "live" (strada ne è stata fatta dal pur splendido leone delle Cronache di Narnia).

La trama segue con assoluta fedeltà quella originale, addirittura a tratti sembra che si siano usati gli stessi storyboard, con la sceneggiatura di Jeff Nathanson (Prova a prendermi, The Terminal, un Indiana Jones, un Pirati dei Caraibi) basata sulla storia originale rielaborata da Brenda Chapman (Brave). Visto che il Re Leone del 1994 durava 128 minuti e questa nuova versione ne ha 30 in più, qualche aggiustamento è stato fatto, qualche scena dilatata, qualcosa aggiunto o leggermente cambiato, ma nel complesso non risulta evidente, non appesantisce e non annoia.

(Se qualcuno non avesse mai visto l'originale, smetta di leggere adesso)

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Il regno dei giusti è illuminato dal sole mentre i malvagi strisciano nelle tenebre. Torna così il re Mufasa, nobile e illuminato, detronizzato con l'inganno dal perfido fratello Scar, che vede svanire il suo sogno di successione al trono per la nascita di Simba, il figlioletto di Mufasa e Sarabi. E Scar come in una tragedia shakespeariana complotta con l'aiuto delle vili iene, per eliminare gli ostacoli alla sua ascesa al potere. Simba, tenero e indifeso, diventa una pedina nel gioco dello zio. Solo molti anni dopo, cresciuto in compagnia di nuovi amici che gli hanno fatto scordare la sua natura reale, sarà costretto a rivendicare un ruolo che non sente più suo. Perché Simba, nato come futuro Re, si era lasciato ingannare e tutto aveva perduto, lasciandosi poi vivere dimentico del suo destino. E di quel destino si dovrà riappropriare, riacquistano la fiducia in se stesso.

Il suo Regno, con la rigogliosa savana ridotta a un arido deserto, ha bisogno di lui, della sua guida, in quanto portatore dei saggi principi appresi tanti anni prima dal buon Mufasa. Perché il despota Scar e le avide iene hanno solo depredato, spezzando quel virtuoso cerchio della vita che è la base della filosofia di un saggio governante. Discorso sempre attuale, oggi leggeremmo in chiave più politica che ecologica. E giustizia sarà fatta. Intorno tutti i personaggi del film originale, il babbuino saggio Rafiki, Zazu l'uccello logorroico e un po' "lecchino" e poi il facocero puzzone Pumbaa e Timon il suricato chiacchierone e la malvagia iena Shenzi.

Tutta la vita davanti.

La CG sbalorditiva aggiunge drammaticità a molte situazioni, come la carica degli gnu, già pezzo forte della versione di 25 anni fa per la quale allora era stato sviluppato un software apposito. Per il resto è tutto stupefacente, dai paesaggi ai mantelli degli animali, le luci, l'acqua, un iperrealismo al computer davvero affascinante. L'espressività non è accentuata, forse perché nessun animale è una caricatura del reale e non si è voluto fare esprimere ai loro musi emozioni troppo umane (perfino Scar era più infido nel cartone animato).

Lungo sarebbe il discorso sulle voci, noi abbiamo visto la versione doppiata. Diciamo che nell'originale Mufasa ha ancora la voce del mitico James Earl Jones, ma in italiano si fregia dell'altrettanto mitico Luca Ward. Ottimo anche Massimo Popolizio con il suo Scar (che era Jeremy Irons e ora è Chiwetel Ejiofor). La madre di Simba, Sarabi, più moglie di Ulisse che madre di Amleto, è Antonella Giannini (Afre Woodard nell'originale). La strana coppa facocero/suricato si avvale di Stefano Fresi e Edoardo Leo. Cheryl Porter (cantante e vocal coach) al posto di Spagna canta Il cerchio della vita in italiano. Bella voce, accento americano, la scelta ci ha lasciato perplessi. Marco Mengoni (Simba, in originale Danny Glover) si difende dignitosamente, quanto ad Elisa (Nala, l'amica di Simba e futura Regina, in inglese è Byoncé) pensiamo sia stata corretta con qualche miracolo della tecnologia. Niente da ridire sulle parti da loro cantate almeno.

In questa versione visivamente ricchissima, ci sono ovviamente tutti i temi cari al grande novellatore Disney, la famiglia, l'amicizia, l'amore, la solidarietà, la rivalsa (di vendetta non si parla, sentimento negativo) e inevitabilmente si ribadisce il concetto filosofico del cerchio della vita, che ci porta dalla nascita alla morte per farci tornare a vivere in altra forma (in contrasto con la "linea retta" di una vita inutile vissuta egoisticamente). Il discorso ecologico è sempre forte (il territorio va gestito oculatamente, altrimenti muore e noi con loro). Su tutto però conta la Legacy, l'eredità che un genitore lascia al figlio, i semi che pianta nel suo animo e che un giorno fioriranno, producendo altri fiori e frutti, invece che rovi e spine. Perché diciamocelo, in questi nostri tempi in cui ci lamentiamo tanto delle nuove generazioni, dobbiamo solo interrogarci su che educazione abbiano avuto, di quali veleni siano stati nutriti. Come stupirsi dunque. Re Leone non si diventa a caso.