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Tredici (13 Reasons Why) - terza stagione completa - recensione

Mai una gioia.

Parliamo della serie tv Tredici, 13 Reasons Why, arrivata alla sua terza stagione su Netflix. Ovviamente chi non avesse guardato le due stagioni prevedenti, si astenga dalla lettura dell'articolo. Anche se, per quelli che già conoscono la serie, va detto che trailer e pubblicità hanno già spoilerato ovunque un decesso importante, di uno dei personaggi "storici" della narrazione.

Perché non è mai decollata la relazione fra Hannah e Clay, perché la loro reciproca attrazione, la loro affinità, non sono riuscite a superare tutte le barriere che inevitabilmente gli adolescenti pongono fra loro? Di chi è la responsabilità, dei due protagonisti, dell'ambiente, delle famiglie, della famigerata società? Del sistema scolastico? Avesse funzionato ci saremmo risparmiati tanti dolori. 13 sono state le ragioni per cui nella prima stagione la storia aveva preso una piega tragica. 13 episodi nella seconda ci hanno mostrato le varie deposizioni in tribunale, durante la sacrosanta causa voluta dalla devastata mamma di Hannah. Ora altri 13 episodi ci fanno procedere nella ragnatela dei rapporti fra i ragazzi. Come nei film horror, inutile stare a stigmatizzare i comportamenti dei personaggi, se tutti si comportassero ragionevolmente, il romanzo di Jay Asher, scritto nel 2007, trasposto per lo schermo da Brian Yorkey, non sarebbe stato un successo e la serie non esisterebbe.

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Nel solito liceo americano, la Liberty High School, dall'ingannevole nome, la solita ragazzina fragile diventa vittima o forse carnefice di se stessa. Si suicida e lascia gli indizi per risalire ai responsabili del suo gesto su un supporto antiquato, 13 audiocassette che saranno ricevute da tutti coloro che sono a diverso titolo coinvolti nella sua morte. Tutti vedono solo una parte del disegno, solo uno avrà il quadro complessivo, il più sensibile, il più amato, in fondo per questo colpevole più degli altri. I metodi sono quelli moderni del cyber bullismo ma i mali che affliggono ragazzi e adulti sono vecchi come il mondo. Se la prima stagione traeva il suo punto di forza nell'originale struttura narrativa, la seconda è stata già più convenzionale, con la sfilata dei testimoni in un'aula di tribunale, alternata agli incontri/scontri fra i ragazzi e anche con gli adulti al di fuori dell'aula. Il fulcro resta il bullismo, la violenza sessuale, la paura dell'ostracismo sociale, del giudizio degli "amici" prima ancora che dei genitori. Del resto il mondo adulto continua a non fare una gran bella figura, perché la Giustizia, appannaggio proprio degli adulti, darà risultati assai deludenti e al liceo continuano a succedere vere atrocità.

La terza stagione prende una piega thriller, nella ricerca del colpevole della morte annunciata di uno dei personaggi principali. Mentre la narrazione si sposta fra gli eventi drammatici avvenuti al Ballo di Primavera e l'agitazione dei ragazzi per gli ultimi fatti, una maxi-rissa devastante in occasione di una partita, la voce fuori campo del nuovo personaggio di Ani fa da filo conduttore. Quasi tutti i ragazzi avrebbero avuto un movente e si coprono a vicenda. Quindi le indagini procedono lente, sfilacciate, incerte, per arrivare a una verità costruita che però lascia un finale aperto verso una quarta stagione. Alla fine del tredicesimo episodio c'è uno speciale di 17 minuti, Beyond The Reasons, in cui una volta di più gli attori protagonisti insieme a consulenti e psicologi invitano a condividere, parlare.

Clay, l'intransigente.

Si conferma la buona scelta del cast complessivo. Dylan Minnette è sempre il bravo ragazzo appena un po' troppo rigido; Christian Navarro il fidato amico latino e proletario, ormai dichiaratamente gay; Brandon Flynn è il sempre inaffidabile Justin e Miles Heizer il fragile Alex. Alisha Boe resta l'oggetto del desiderio di molti, incapace di farsi soggetto, almeno fino a qui. Devin Druid è Tyler, il nerd pallido, fragile, appassionato di fotografia (spione forse), che spinto ai limiti potrebbe diventare un mostro. Justin Prentice è il detestabile Bryce, tronfio e compiaciuto del suo potere. Il vero cattivo a questo giro sembra essere però Monty, il suo gregario, che nell'impossibile gara per guadagnarsi il ruolo di prediletto, compie azioni ancora più spregevoli. New entry per Grace Saif, Ani la "ragazza nuova", quella che osserva e ascolta dall'esterno, senza conoscere i presupposti e matura una sua personale idea su fatti e persone. Katherine Langford che è stata la morbida, luminosa eppure vulnerabile Hannah Baker, in questa stagione non compare, né in flashback né come visione con cui dialogare, e proprio nemmeno viene citata.

Ormai però, all'interno di una struttura più drammatica che vira al thriller, proviamo una sensazione di già visto, siamo al livello dei soliti inutilmente complicati rapporti fra ragazzi, fra mezze verità, omissioni, equivoci, tutto da manuale per una serie teen, genere da cui all'inizio 13 sembrava staccarsi parecchio. Per di più la costante denuncia dei noti mali dell'ambiente scolastico appesantisce la narrazione, evitando che anche per sbaglio ci si diverta. Dopo una serie così, continuare a fare le solite commedie un po' stupide sugli sballi del liceo sembra improbabile. Sarà quindi il grado di affetto che ciascuno potrà aver provato nei confronti dei vari personaggi a determinare il proseguimento della visione, che altrimenti potrebbe generare qualche sbadiglio, pur nel rispetto delle drammatiche vicissitudini.

Buoni e cattivi, a variare.

La serie ha beneficiato del particolare momento storico, dell'attenzione nei confronti del bullismo, della rivendicazione delle donne a non essere discriminate per comportamenti invece approvati nella controparte maschile, nel diritto di essere quello che si vuole senza dover cercare a tutti i costi l'approvazione del resto del mondo. Vasto programma, avrebbe detto Da Gaulle... E un tema portante è quello delle violenze sessuali, delle molestie, degli abusi grandi e piccoli che le donne (ma non solo loro, sia chiaro) devono subire da parte dei più forti, in uno scenario da legge della giungla. Il discorso si è infatti ampliato alle violenze che anche i ragazzi subiscono, violenze prive di una connotazione sessuale, di cui sono vittime maschi etero stuprati (spesso con oggetti) da altri maschi "dominanti", in un'escalation le cui cifre lasciano esterrefatti. Da tutto questo, nella fine della seconda stagione, si era arrivati a toccare il tema degli "School Shooting", delle stragi in ambito scolastico, incoraggiate dalla facilità con cui anche un adolescente instabile può procurarsi armi. Con lampante chiarezza si vedono i limiti ben noti di un sistema educativo che predilige la forma alla sostanza (si esaltano i muscoli degli atleti mentre lo studioso diventa il nerd, il secchione), che obbliga alla ricerca del consenso a tutti i costi, guai restare fuori da certi giri, guai non essere "popolari", per cui anche la denuncia di un abuso subito diventa ulteriore motivo di emarginazione per la vittima e di trionfo per l'abusatore.

Certo siamo lontani dalla frivolezza delle beghe esistenziali pure e semplici di serie come Dawson's Creek, The O. C. o Gossip Girls, perfino Glee sembra più leggera. 13 Reasons Why è stata capace di coinvolgere gli adulti, diventando un fenomeno mediatico. Quanto una certa ipocrisia politicamente corretta, cioè la cattiva coscienza di tutti, abbia contribuito non si può sapere. Una serie tv non cambierà il mondo. Inducesse un ragazzo e una ragazza a fermarsi un attimo a riflettere prima di fare qualcosa di chiaramente avventato, a raccontare, denunciare quanto subisce, sarebbe già un successo, se la vediamo in chiave didascalica e non di semplice intrattenimento. Gli adolescenti sono incauti si sa, quello che i genitori dicono, raccomandano, mai viene ascoltato, ritenuto frutto di senile apprensività. Gli adolescenti inoltre sono ostili, omertosi, spesso la maggior parte dei guai si potrebbe evitare con un confronto onesto con qualche adulto equilibrato. Certo spesso gli adulti sono inaffidabili, disturbati da loro tare, ingolfati nei problemi della sopravvivenza, infelici e disattenti, impreparati. Ma non sempre, non tutti, perfino in questa serie che li dipinge spesso amorevoli ma ottusi, impegnati ma distratti, illusi sempre dalle apparenze e ciechi di fronte alle evidenze. E qui sono pure coinvolti oltre le loro implicazioni genitoriali, perché sono poliziotti, avvocati, dipendenti, finanziatori, tutti legati da ulteriori legami nel piccolo centro urbano. Questo per dire antipaticamente che tutti se la vanno a cercare? Un po' sì in effetti.

Tante parti, una verità.

13 si segnala anche per la preoccupazione che l'argomento deve aver suscitato nella produzione, che timorosa forse di cause legali per istigazione, fa precedere ogni episodio da saggi avvisi, con raccomandazioni e istruzioni per l'uso, che proseguono nella serie di brevi filmati che Netflix mette a disposizione insieme agli episodi. Generalmente ci si limita al solito (bastante) avviso che la serie contiene scene di sesso, nudità, droga ecc e uno si regoli di conseguenza, qui siamo un passo oltre, con le raccomandazioni del cast in prima persona a "take care of eachothers" o a consultare il sito 13reasonswhy.info. Pudicamente (ma come siamo ridotti) è stata anche censurata la scena del suicidio di Hannah, chi l'avesse vista in passato bene, chi non lo avesse fatto adesso può farsela raccontare. Era una scena molto drammatica, di desolato sconforto, con un suo peso narrativo, sobria e realistica e per niente compiaciuta, pur nel suo "gore". Come il tragico equivoco che porta alla morte di Giulietta e Romeo, non induceva a nessun desiderio di emulazione, anzi invitava a sagge riflessioni. Se solo ci fossimo parlati un po' di più... come dicevano i Pink Floyd. "Tutti soli o in coppia quelli che davvero ti amano camminano su e giù al di là del muro".