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Ghost Recon Breakpoint - prova

Un ultimo tango a Parigi prima della recensione.

Come spesso reiterato su altre sponde videoludiche, la guerra non cambia mai. Sono infatti i soldati a cambiare, facendosi carico di cicatrici destinate a corroderne per sempre la percezione del mondo. È quello che è successo a Cole Walker, ex leader della squadra speciale Ghost interpretato da Jon Bernthal, un mastino assetato di sangue che ha visto decine dei suoi compagni cadere con la faccia nel fango, un uomo che ha dedicato la vita alla protezione della bandiera degli Stati Uniti senza ottenere nulla in cambio, se non qualche fredda pacca sulla spalla.

Il protagonista Nomad conosce bene il suo avversario, sa quanto possa essere pericoloso: non si tratta del classico aspirante Escobar richiuso in una villa ai confini del mondo, ma di uno stratega navigato, di un professionista forgiato fra le fiamme dei conflitti mediorientali capace di decimare le forze della squadra Ghost a meno di cinque minuti dall'inizio della delicata operazione Greenstone.

Ancor prima di atterrare sull'immaginario arcipelago di Auroa, paradiso utopico nel cuore del Pacifico in cui si ambienta Ghost Recon Breakpoint, i ragazzi che misero a ferro e fuoco la giungla della Bolivia durante Wildlands si trovano con la coda fra le gambe e le spalle contro il muro. Feriti, sparpagliati e tenuti in scacco non solo dal gruppo paramilitare degli Wolves, ma soprattutto dai terrificanti droni bellici delle Skell Industries, questi sono costretti a chinare il capo di fronte a robot e nanomacchine figlie della 'guerra del domani'.

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Tralasciando quella briciola di feeling stile "The Boss" che ci ha trasmesso il personaggio di Walker, è evidente che la filosofia alla base di Ghost Recon Breakpoint sia quella di rovesciare il rapporto di forza tipico della serie, trasformando i membri della squadra in prede inermi circondate da branchi di cacciatori, un gregge di agguerrite pecore destinate a fare affidamento su silenziose operazioni di wetwork e contrattacchi fulminei per far fronte allo strapotere dei Lupi.

Nell'inseguire questo obiettivo Ubisoft ha costruito sulle fondamenta di Wildlands, senza stravolgere l'originale formula di gameplay ma innestando una serie di meccaniche ricamate attorno al tema della sopravvivenza, valorizzando con decisione il gioco di squadra e flirtando con piccole sfumature ruolistiche.

Se ferito gravemente, Nomad inizierà a zoppicare, farà fatica, non potrà contare sulla barra della stamina e dovrà impegnarsi in una lunga operazione di primo soccorso, restando vulnerabile per svariati secondi. La stessa barra della stamina, poi, andrà incontro ad una lenta e inesorabile riduzione, e sarà necessario mantenersi idratati tenendo d'occhio le scorte d'acqua per poter dare il meglio una volta in missione.

L'arcipelago di Auroa è un meltin-pot di biomi e condizioni metereologiche differenti: dall'oceano si passa rapidamente alle foreste di conifere, per arrivare infine in cima ad alte montagne innevate.

Sono piccole pennellate survival che disegnano uno sfondo accattivante tanto per gli scontri a fuoco quanto per il neonato sistema delle classi. Se il Medico, ad esempio, può utilizzare un drone per rianimare i compagni a distanza e mettere a disposizione della squadra una serie di stimolanti, la Pantera apre un ventaglio di opzioni tattiche, scomparendo fra nuvole di fumo e sfruttando uno spray per diventare invisibile ai droni.

Per completare il quadro, l'Assalto ed il Tiratore possono fare pulizia fra granate a gas e sensori di movimento, rispolverando parte dell'ispirazione alla base di The Division ma spostando il focus sull'importanza del loadout, e non ci si rende conto di quanto possa essere utile una tronchese finché non la si sfrutta per aprirsi un varco ed aggirare le truppe nemiche.

L'integrazione del modello basato sulle classi ha finito inevitabilmente per portarsi dietro un sistema di progressione: non solo il nostro personaggio dovrà salire di livello per sbloccare perk, abilità ed utili strumenti, ma tanto le armi quanto gli elementi dell'attrezzatura saranno dotati di un valore numerico, apparentemente destinato a delinearne la potenza in battaglia.

A prescindere dal livello raggiunto, tutti i nemici cadranno con un colpo alla testa. Il difficile è penetrare le basi protette dai droni corazzati della Skell e da decine di torrette e mortai automatizzati.

Sappiamo già cosa state pensando: solitamente, un sistema di livelli legato all'equipaggiamento apre allo spettro dei nemici "bullet sponge", ovvero quegli avversari su cui bisogna scaricare estenuanti piogge di proiettili prima di vederli finalmente crollare al suolo. Ed è stata una vera sorpresa scoprire che, a prescindere da numeri e livelli, un colpo alla testa è sempre sufficiente per mettere a tacere un avversario, specialmente se si tratta di un calibro .50 capace di forare gli elmetti degli Wolves.

La strategia e l'abilità regnano dunque sovrane, ed è possibile fin dai primi minuti di gioco far calare il silenzio su un avamposto gremito di mercenari d'élite. D'accordo, ma allora dove sta la sfida? Partendo dal presupposto che è pressoché impossibile lanciarsi in un assalto frontale per via della "cattiveria" dei Lupi, pronti ad abbatterci con un paio di celle di M3, il vero pericolo risiede nei droni della Skell, e basta un singolo Behemot corazzato per mettere in ginocchio un intero gruppo di fuoco, specialmente se assistito da un paio di mortai.

Nel complesso, tuttavia, si tratta di un'esperienza che dà il meglio di sé quando giocata ai livelli di difficoltà più arrabbiati, senza dubbio i contesti migliori per far brillare la ritrovata importanza delle granate EMP e dei visori notturni, delle sinergie fra le classi e dell'approccio stealth, elementi che acquisiscono importanza al crescere del numero di Ghost coinvolti.

Il sistema di guida non ha fatto grandi passi avanti, e presenta gli stessi spigoli di Wildlands. L'atmosfera, tuttavia, è molto più interessante.

Si tratta di un amalgama che prende vita sul campo solo perché accompagnato da un sistema di shooting particolarmente convincente: ogni arma può contare su un feeling unico e riconoscibile, impreziosito da un'ottima fisica dei proiettili ed un feed che riesce a regalare emozioni. Sparando un calibro .12 da un Kel-Tec KSG si sente tutto il peso dell'arma scaricarsi lungo la spalla, notando con soddisfazione l'assenza della rosa e l'attenzione riposta nel replicare l'effettiva gittata del fucile a pompa.

A onor del vero, si tratta di una cura riservata a ciascuna fra le decine di armi con le quali ci siamo confrontati, e tutti gli appassionati non potranno che ritenersi soddisfatti: non solo sono presenti 'evergreen' come la CZ Scorpion EVO ed il SIG-Sauer SIG516, ma ciascuna bocca da fuoco virtuale, dagli Mk 14 EBR fino al più classico degli MP5, ne rispecchia le reali specifiche in modo certosino.

Senza contare che ogni pezzo può essere ulteriormente personalizzato nella sezione dedicata al Gunsmith, piccola officina in cui giocare con gli accessori per aumentare la performance o regalare uno stile estetico inconfondibile ai ferri del mestiere. Se, poi, doveste appassionarvi in particolar modo ad un fucile, sappiate che sarà possibile incrementarne costantemente le statistiche attraverso un pratico sistema di crafting, senza doverlo gettare via alla prima occasione.

L'approccio stealth è decisamente premiato, specialmente quando si affronta l'avventura in giocatore singolo.

Bene: una volta tirati a lucido i cannoni vicino ad uno dei Bivacchi presenti su Auroa, arriva il momento di lanciarsi nel vivo dell'operazione Greenstone. Le battute da caserma di Wildlands hanno ceduto il posto ad un intreccio che, seppur poco più profondo rispetto alle disavventure sudamericane grazie alla presenza di Bernthal, sembra non allontanarsi eccessivamente dal contesto dello scorso episodio.

La mappa, anche stavolta a dir poco enorme, si snoda in una serie di regioni che deviano dal tema ricorrente della giungla per abbracciare piccole calette strette da conifere e catene montuose innevate, tutte zeppe di avamposti dei Lupi. All'ombra delle caverne si nasconde qualche sporadica cellula della resistenza che ci impegnerà nelle più classiche varianti dei modelli "search & rescue" e "search & destroy", spingendoci a svelare la verità dietro l'operazione di Walker ed alzando il sipario su un piccolo ventaglio di attività collaterali.

La differenza più tangibile rispetto alle tinte verdi della Bolivia, oltre alla ritrovata varietà del setting, risiede nel clima di tensione che investe gran parte del comparto esplorativo: la presenza civile è ridotta all'osso, e praticamente ciascun contatto sul campo finisce per tradursi in uno scontro a fuoco. Anche quando ci si sente i padroni dei cieli nell'abitacolo di un Apache, non si è al sicuro dalla minaccia dei nano-droni, pronti ad intercettare Nomad con conseguenze a dir poco disastrose.

Nascoste sull'isola principale di Auroa ci sono diverse fazioni che offrono, oltre ad un rifugio sicuro, una serie di missioni per aumentare la nostra reputazione.

Viene da sé che l'intera esperienza di gioco guadagna enormemente dal comparto multigiocatore: se affrontando le operazioni in singolo si può toccare con mano tutto il peso dell'ispirazione survival, l'esplorazione di Auroa assume un colore del tutto diverso quando si è accompagnati da un fireteam, trasformando Breakpoint in una fucina delle classiche situazioni assurde e divertenti che fioriscono di continuo nella cooperativa open-world.

A questo proposito, non possiamo non menzionare la validità del comparto PvP Ghost War, uno fra i più interessanti a fare capolino dal recente portfolio di Ubisoft. Si tratta di partite competitive da affrontare nel più classico dei 4vs4, match che mettono alla prova la coordinazione di squadra nelle modalità Eliminazione, in cui l'ultimo team a rimanere in piedi porta a casa la vittoria, e Sabotaggio, che ricalca le regole del tradizionale Cerca e Distruggi.

L'elemento capace di brillare sopra tutti gli altri è il design delle mappe destinate al multiplayer, sapientemente ritagliate dal comparto open-world ed impreziosite da un accattivante meteo dinamico. Non solo i diversi contesti premiano la totale libertà d'approccio, rendendo efficace tanto il perentorio attacco dell'incursore quanto la riflessività del cecchino mimetizzato, ma le operazioni in notturna e le piogge torrenziali spingono verso il costante adattamento della strategia in base alle circostanze.

Il sistema dei loadout funziona piuttosto bene, mescolando l'ispirazione di The Division con il classico stile di Ghost Recon. L'elemento migliore del titolo sono però le armi, estremamente varie e molto convincenti.

Insomma, Ghost Recon: Breakpoint si è presentato sul nostro banco di prova come il più classico dei sequel figli della filosofia "bigger and better", una vera e propria versione 2.0 di Wildlands intenzionata a limare ciascun elemento della serie, cercando ispirazione nello scatolone di The Division e prendendosi qualche licenza per insaporire comparto narrativo e sistema di progressione.

In effetti, ciò che temevamo maggiormente era l'ipotetica eccessiva vicinanza ai modelli introdotti da Massive Entertainment nel suo game as a service, ma il funzionamento del sistema di progressione è riuscito a far cadere buona parte dei nostri dubbi. Le meccaniche di guida, invece, sono ancora piuttosto spigolose e, in generale, si sente la necessità di un'ulteriore operazione di polishing per ridurre all'osso compenetrazioni e piccoli bug. Nel complesso, tuttavia, la build che abbiamo potuto testare su PC high-end rappresenta senza ombra di dubbio uno fra i traguardi più importanti raggiunti da Ubisoft nel contesto del comparto grafico.

In fin dei conti, Breakpoint si è rivelato essere nient'altro che un nuovo, classico capitolo di Ghost Recon e, nonostante l'auspicato rovesciamento dei rapporti di forza faccia fatica ad emergere nelle modalità più accessibili, sembra riuscire a svolgere il suo dovere in modo egregio. Se avete amato le scorribande nella giungla di Wildlands, difficilmente resterete delusi dalla formula che vi aspetta sull'arcipelago nel cuore del Pacifico. Se, invece, siete come San Tommaso e credete solamente a ciò che potete toccare con mano, vi ricordiamo che la versione Beta aprirà i battenti il prossimo 5 settembre.

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Lorenzo Mancosu

Editor-in-Chief

Cresciuto a pane, cultura nerd e videogiochi, i suoi primi ricordi d'infanzia sono tutti legati al Super Nintendo. Dopo aver lavorato dentro e fuori dall'industry, è finalmente riuscito ad allontanarsi dalle scartoffie legali e mettere la sua penna al servizio di Eurogamer.it.
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