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I più grandi publisher sono guidati da esperti di marketing - editoriale

Il vero problema nel cuore del mondo dei videogames.

Così parlava Steve Jobs: "È una corrente che sta prendendo piede anche nell'industria della tecnologia, in quelle compagnie che raggiungono una posizione di leadership sul mercato, come IBM o Xerox: quando non hai più margini di crescita rilasciando nuovi prodotti, hai bisogno del reparto Sales & Marketing per fare un ulteriore balzo. Gli esperti di marketing vengono promossi, col tempo finiscono per guidare le compagnie, e chi storicamente realizzava i prodotti resta tagliato fuori dai processo decisionale. Quelle compagnie, di conseguenza, sono guidate da persone che non hanno idea della differenza tra un buon prodotto e uno pessimo, perché hanno escluso il genio creativo che gli ha permesso in primo luogo di raggiungere una posizione di dominanza".

Robert A. Altman, CEO di ZeniMax Media, ha un passato nell'avvocatura, e ha gestito un fondo per conto di importanti investitori arabi prima di avviare la fusione con Bethesda Softworks di Christopher Weaver, il fondatore di lì a breve estromesso dalla società. Andrew Wilson, ormai ex CEO di Electronic Arts, era il direttore delle vendite nel mercato europeo ed asiatico, prima di compiere una scalata che l'avrebbe portato a sedere dietro la scrivania più importante di tutte.

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È vero, al fianco di questi nomi ne troviamo altri più carichi di sfumature, come ad esempio quello di Bobby Kotick, CEO di Activision-Blizzard con un passato da programmatore ed una fortissima passione per il mondo dei videogiochi; una passione tale da spingerlo ad acquisire una quota della casa madre di Call of Duty, per poi diventarne il CEO in un solo anno ed orchestrare il processo di fusione con la società fondata da Mike Morhaime.

Nonostante esempi virtuosi, come un Tim Sweeney rimasto al fianco di Epic Games fino a vederla diventare il più grande colosso dell'industria, bisogna constatare come la tendenza delineata da Steve Jobs stia prendendo piede molto rapidamente nel medium dei videogiochi. Chi prende le decisioni, chi guida le compagnie, chi può godere di una seduta nel consiglio è sempre più spesso un economista esperto di vendite e meccaniche di marketing, figura più che mai distante dalla tradizione dei 'padri' del videogame.

Non vogliamo puntare il dito contro un ipotetico spauracchio, né tantomeno fare del facile populismo. È innegabile, tuttavia, che siamo particolarmente vicini al momento della rottura del sottile legame fra chi crea i videogiochi e chi invece li consuma. Alcune strategie di monetizzazione, ad esempio, hanno iniziato ad invadere le aule politiche, finendo spesso accostate più o meno giustamente al gioco d'azzardo. Al contempo, il mercato si sta lentamente saturando di prodotti privi di una marcata identità creativa, come ad esempio Anthem, una macchia indelebile sulla biografia di Bioware, un progetto che da mesi si trova abbandonato al suo destino.

L'annuncio di Diablo Immortal sarà ricordato come uno fra i più grandi fail nella storia dei videogiochi.

Il pubblico pagante della Blizzcon 2018 ha sommerso di fischi il palcoscenico di Diablo Immortal, prodotto pensato per il solo mercato mobile e annunciato di fronte a una platea di "pcisti convinti". Bethesda, nel frattempo, tentava una sortita nell'universo game as a service con Fallout 76, poi divenuto il titolo peggio recepito della sua storia. Persino Destiny, opera capace di radunare 35 milioni di guardiani sotto la sua bandiera, è riuscito a gettare via buona parte della sua anima, sciogliendo migliaia di clan in nome del "progresso".

Nel frattempo, nell'indifferenza generale, lo scrittore dell'universo alla base di Destiny Joe Staten lasciava Bungie poco prima del lancio della nuova IP. Mike Morhaime, da sempre considerato un bastione incrollabile a difesa del cuore della compagnia, consegnava lo scettro nelle mani di J. Allen Brack, e lo scorso luglio è stato seguito da Frank Pearce, cofondatore del colosso di Irvine. Anche personalità meno mediatiche ma ugualmente importanti, come ad esempio James Onlen, in BioWare fin dai tempi di Baldur's Gate, si stanno allontanando dai lavori in cui hanno investito gran parte della propria carriera.

Le strutture aziendali stanno cambiando molto rapidamente, ed i responsabili dei singoli prodotti sono sempre più distanti dai procedimenti decisionali, in quella che rappresenta una pericolosa inversione di tendenza. È troppo tardi? Assolutamente no: l'ultimo biennio ha evidenziato i disastrosi effetti portati dalla 'contaminazione' dei procedimenti creativi, mettendo allo scoperto la fallacia di simili ragionamenti nel contesto della produzione. Konami ha allontanato Hideo Kojima dalla società e da uno dei suoi brand di punta. il risultato di quell'operazione si chiama Metal Gear Survive.

Patrick Soderlund, dopo aver definitivamente rotto i rapporti fra Electronic Arts e l'utenza con la celebre frase “Non vi piace? Non compratelo”, ha recentemente abbandonato la compagnia.

Il terribile lancio di Star Wars Battlefront II, la rivolta mediatica che ha accompagnato la release di Fallout 76, il rapidissimo esodo dai server di Anthem ed il crollo dell'utenza in seguito all'anno uno di Destiny 2 sono solamente alcuni esempi della pesante lezione impartita dal mercato. Se un determinato videogioco è un grande prodotto, non ha alcuna importanza il modo in cui viene comunicato o monetizzato. D'altra parte, se un videogioco nasce o muta di forma per rispondere ad esigenze economiche, metriche o analytics, è quasi sicuramente destinato al fallimento.

Ormai le software house sembrano averci fatto il callo, e sono diventate estremamente efficienti nel correggere il tiro in corsa, nel "trasformare il titolo in ciò che avrebbe dovuto essere fin dal primo giorno" durante i mesi successivi al lancio. Viene tuttavia da pensare alla quantità di soldi ed energie sprecate nel costante lavoro di limatura post-release, ormai imprescindibile per i tantissimi sviluppatori che impiegano interi live-teams per studiare fin dal giorno due la struttura del papabile sequel, in modo da risolvere tutte le criticità radicate nella fase di preproduzione.

Oltre ai crolli eccellenti, è intervenuta anche la nuova concorrenza per dare una grossa sveglia ai protagonisti del mercato. Sono sempre di più i progetti ad emergere agguerriti dal sottobosco underground, pronti a riportare l'expertise dei programmatori al centro del palcoscenico. Basti pensare a Path of Exile, capace di rubare la scena a Diablo e diventare leader assoluto del mercato di riferimento, ma anche allo stesso Fortnite, partito in sordina e dimostratosi in grado di spazzar via in un sol colpo quasi tutti i competitor diretti.

Bethesda Softworks ha tentato tutti i possibili percorsi di monetizzazione: un card game con Legends, un MMO con TESO, un game as a service con Fallout 76. Nessuno ha funzionato come previsto.

Al contempo, salivano agli onori della cronaca tutti i prodotti figli del buon sviluppo, incorniciati da nomi del calibro di Cory Barlog, Hidetaka Miyazaki o Kaname Fujioka. Qualcuno potrebbe opporre il fatto che opere di questo genere, da God of War, passando per Sekiro per arrivare a Monster Hunter, fatichino a raggiungere i traguardi finanziari delle nuove formule al centro del mercato di massa. Il che è vero solo in parte perché sì, il riscontro economico sul breve periodo fa gola a molti publisher, ma la cura per il "sentiment" e l'engagement sul lungo periodo si stanno dimostrando ben più impattanti rispetto a tre o quattro assemblee degli azionisti.

Basta volgere lo sguardo verso Sony, che ha investito tutto in quella filosofia "for the players" capace di portarla in vetta all'attuale guerra generazionale, o ancora verso CD Projekt, che dopo aver costruito la sua intera legacy sulla percezione dell'utenza si trova oggi al confine della beatificazione. Il focus deve tornare, e sta lentamente tornando, sul design di un prodotto valido, non importa se autoriale o derivativo, ma che sia esente da ragionamenti capaci di sconvolgerne gli equilibri. Dopodiché, le tanto agognate analitiche e le piogge di dollari arriveranno in modo del tutto naturale.

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Lorenzo Mancosu

Editor-in-Chief

Cresciuto a pane, cultura nerd e videogiochi, i suoi primi ricordi d'infanzia sono tutti legati al Super Nintendo. Dopo aver lavorato dentro e fuori dall'industry, è finalmente riuscito ad allontanarsi dalle scartoffie legali e mettere la sua penna al servizio di Eurogamer.it.

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