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Videogiochi e minoranze: c'è ancora molta strada da fare

Ecco l'intervista del New York Times.

Il New York Times ha intervistato sei studi di sviluppo indipendenti focalizzati su giochi che includono le minoranze ed i loro aneddoti sono stati sia illuminanti che deprimenti. Gli sviluppatori presenti nella storia del Times, intitolata "Paura, ansia e speranza: cosa significa essere una minoranza nei giochi", stanno usando i loro titoli per cercare di creare un cambiamento per i giocatori. Ma non sono immuni da quella mancanza di supporto e visibilità.

Davionne Gooden ad esempio, ha iniziato a creare giochi dopo aver ricevuto in regalo un portatile. Il suo ultimo titolo vede come protagonista una donna di colore, in coma, che cerca di sconfiggere le proprie paure. "Sono un ottimista", ha detto Gooden. "Spero che le cose alla fine saranno migliori nel loro insieme". Allo stesso modo, Mitu Khandakar, professore presso il NYU Games Center, ha detto al Times: "Se sei un giovane di colore che gioca, non ti vedi davvero rappresentato. Quel tipo di gioco instilla in te il senso che forse non si appartiene davvero alla comunità".

Il sentimento di non appartenenza certamente si applica a Dietrich Squinkifer, o Squinky, che ha affermato di aver finito di lavorare presso lo sviluppatore di The Walking Dead, Telltale Games dopo essere stato tacciato su questioni di razza, sesso e genere venendo etichettato come un "piantagrane".

Il rifiuto da parte della comunità in generale fa parte del motivo per cui Julian Cordero non si definisce un giocatore, nonostante sia una persona che sviluppa videogiochi. Il suo gioco, realizzato con il collega sviluppatore Sebastián Valbuena, si chiama Despelote e riguarda il gioco del calcio nei parchi cittadini nella città di Quito, in Ecuador. "Con Despelote, Cordero sta cercando di usare il calcio per eliminare la competitività del gioco, che crede generi la misoginia e il consumismo che sono stati endemici della cultura", si legge nell'articolo del New York Times. Leggere tutte queste affermazioni può rendere facile rinunciare alla speranza. È difficile lottare, ancora più difficile quando si sente di essere solo.

Ma per completare queste interviste, il Times ha parlato con Aziza Brown, fondatrice di Dynamik Focus, una squadra di eSport. Brown ha dichiarato di trovare il sostegno di cui ha bisogno nelle comunità della vita reale. "Una volta ho parlato con una ragazza che giocava, invitandola a interagire con le community offline perché una volta che la barriera dell'anonimato cade, è possibile confrontarsi con le altre persone e ogni comportamento negativo finisce" ha dichiarato.

Fonte: Kotaku e New York Times

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