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Underwater - recensione

L'orrore sta sul fondo dell'Oceano.

Siamo sul fondo dell'Oceano, in una stazione che compie trivellazioni a quasi 7 miglia di profondità. A pochi minuti dall'inizio del film avviene la sciagura, qualcosa provoca un tale sommovimento da distruggere gran parte della base sottomarina e ammazzare quasi tutti gli addetti ai lavori.

Sopravvivono a fatica in sei: Norah (Kristen Stewart con capello cortissimo e ossigenato, bellissima); il Capitano Lucien (Vincent Cassel, paterno); Rodrigo (Mamoudou Athie), l'amore di Norah; il simpatico Paul (T.J. Miller che si riserva il ruolo di alleggerimento comico); l'ansiosa biologa Emily (Jessica Henwick) e il suo innamorato Liam (John Gallagher), tutta gente poco abituata all'azione.

Inizia così il loro lento spostamento verso un'altra parte della struttura semi-distrutta, da cui, sempre in mezzo a comprensibili difficoltà, dovranno staccarsi per percorrere un tratto a piedi sul fondo marino e raggiungere un modulo esterno, che contiene alcune capsule di salvataggio (mai che siano a portata di mano).

Cover image for YouTube videoUnderwater | Trailer Ufficiale HD | 20th Century Fox 2019

Visto che anche i bambini sanno che a quella profondità la pressione è mostruosa, i nostri protagonisti sono chiusi dentro tute subacquee che sembrano esoscheletri integrali (lo diciamo avendo già intuito qualche perplessità da parte di chi legge). Cosa potrà mai andare storto? Tutta la parte meccanica sta collassando, ogni spostamento avviene fra crolli progressivi, ogni scricchiolio è inquietante, ogni tonfo angosciante.

L'acqua è piena di residui di ogni genere e le luci delle tute rendono lo scenario ancora più confuso. Poco alla volta appare chiaro che qualcosa si nasconde là fuori, misterioso e letale. E a questo punto lo spettatore che avesse osato sperare in qualcosa di nuovo, di originale, si mette il cuore in pace e si dispone a lasciarsi "spaventare" da tutto ciò che si paleserà, prima confusamente poi in modo un poco più definito. Perché andando a trivellare placche tettoniche non si sa mai cosa si trova. Ma va dato atto alla sceneggiatura di avere almeno scelto un finale leggermente fuori dal consueto (almeno quello).

A scrivere la storia è Brian Duffield, che a vedere i suoi lavori precedenti sembra amare i personaggi femminili (The Divergent: Insurgent, Jane Got a Gun, The Baby Sitter), che firma anche la sceneggiatura insieme a Adam Cozad (Jack Ryan e La leggenda di Tarzan), mentre alla regia troviamo il giovane William Eubank, al suo terzo film, dopo gli indipendenti Love e The Signal, reduce da una carriera come direttore della fotografia. Underwater ha avuto un'uscita assai ritardata (il film risulta finito nel 2017), causa una lunga post-produzione e l'acquisizione di Fox da parte Disney.

La Ripley del nuovo millennio.

Trasportando sul fondo marino le meccaniche dei film di catastrofi ambientati nello spazio, Underwater mischia thriller subacqueo a horror (con qualche mostro stile kaiju/Lovecraft) e in effetti ha poco da spartire con i titoli di riferimento del genere "thriller acquatico", perché più che The Abyss ricorda (e vuole ricordare) il fondamentale Alien (o Deep Rising o Creatura degli abissi).

Si butta lì un vago approfondimento dei personaggi, assolutamente sprecato quello relativo al background del Capitano che è Vincent Cassel, cui si accenna in modo fumoso per poi abbandonarlo del tutto. Lodevole l'impegno profuso da Kristen Stewart, al suo primo survival, che riesce a rendere credibile la sua piccola eroica Norah, tostissima come in generale negli horror, dove la sopravvissuta è spesso donna.

Ci si interroga sulla necessità in un paio di sequenze di metterla in mutandine e reggiseno (roba sobria stile Ripley di Alien, e non a caso) con anche dei copri gomiti e copri ginocchia un po' sexy (che uno anche si chiede quando abbia trovato il tempo di infilarseli). Degli altri che dire, qualcuno muore, qualcuno no.

Capitano, mio Capitano.

Va detto che non vengono sprecati in chiacchiere che pochi dei 95 minuti di durata del film, e questo è un bene perché il tempo rimasto è impiegato interamente per l'azione. Ora va bene essere derivativi, va bene citare, rimescolare tutto un immaginario, ma qui il risultato non è eccelso e, a parte l'accostamento spazio profondo/profondo del mare, non c'è niente di originale. Anche quella multinazionale che si lascia intuire cinica e pervicace, non fa né caldo né freddo.

Underwater sembra uno di quei film che solitamente escono fra luglio e agosto, da sala con aria condizionata con bicchierone di popcorn da spargere in giro a ogni jumpscare. Si chiamano anche B Movie, e non è detto che sia un'offesa.

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Giuliana Molteni

Contributor

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