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Alla scoperta della Virtual Photography in compagnia di Emanuele Bresciani - intervista

"La mia visione, la mia ambizione, la mia speranza, è che la Virtual Photography da qui a 15 anni arrivi al MOMA di New York."

Fotografare mondi virtuali è sempre stato un fenomeno fortemente di nicchia, eppure, da qualche tempo, questa forma d'arte sta prendendo sempre più piede. Di sicuro a spingere tanti fotografi e videogiocatori sull'intricata strada della Virtual Photography è stata l'aggiunta massiva di Photo Mode all'interno dei giochi, nate proprio per cogliere la bellezza e gli incredibili dettagli che la tecnologia oggi consente di raggiungere.

Sono comunque ancora poche le persone che decidono di dedicare anima e corpo a questo particolare tipo di passione fotografica e una di queste è proprio Emanuele Bresciani (conosciuto su Instagram come Emalord): un pioniere italiano della Virtual Photography con cui abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere e con cui collaboreremo ancora in futuro per portare sulle pagine e sui social di Eurogamer la sua arte e il suo amore per la bellezza virtuale.

Riteniamo infatti fondamentale che siano prima di tutto le riviste di settore a parlare di Virtual Photography, se vogliamo che questa forma d'arte, più fruibile rispetto al videogioco in sé, riesca a travalicare le alte mura, che spesso sembrano circondarci, per diventare orizzontalmente conosciuta e apprezzata. Sperando che questo possa contribuire all'ulteriore ascesa del medium videoludico come Arte a tutti gli effetti.

E ora passiamo dalle parole ai fatti e lasciamo la parola ad Emanuele Bresciani.

Emanuele Bresciani.

Eurogamer: Ciao Emanuele e benvenuto sulle pagine di Eurogamer! Partiamo subito in quarta chiedendoti se sei sempre stato appassionato di fotografia o se questa passione è nata direttamente dalla Virtual Photography.

Emanuele: Sono sempre stato un grande appassionato di arti visive. Mi mangio con gli occhi ogni nuovo trailer di film o videogiochi che esce su YouTube e divoro anche artwork e press-kit promozionali per i videogiochi di prossima uscita. Sono estremamente affascinato dalla capacità di rinchiudere in una cornice un'intera storia o soggetto narrativo. Parlando di Virtual Photography ho iniziato da autodidatta, ma col tempo, per migliorare, ho cominciato anche a studiare la fotografia classica. Consiglio a tutti i manuali di Michael Freemann, sono testi semplici e diretti per accedere alle basi della composizione e del framing. Non solo, spiegano molto bene il modo in cui l'occhio umano "cade" sulla fotografia e spiegano come costruire movimenti sinuosi all'interno della stessa, per renderla più interessante.

Eurogamer: Quindi inizialmente eri appassionato di videogiochi...

Emanuele: Sono cresciuto negli anni '70. Ho vissuto di persona il boom negli anni '80 delle sale giochi in Italia ed ero capace di finire con un gettone Darwin 4078, Kikikaikai, Shinobi, Psychic 5 e Rolling Thunder. A livello di stile, colonna sonora e design, credo che il più sontuoso coin-op di sempre rimanga Strider. Ho cominciato a giocare su console con il Super Nintendo e da allora mi sono comprato tutte le console di tutte le marche. Come genere prediligo gli action games nipponici; Treasure, Capcom e Platinum Games sono le mie softco preferite di tutti i tempi mentre il Gamecube se la gioca con il Dreamcast come mia console preferita di sempre. Al videogioco narrativo moderno devo dire di preferire il gameplay stratificato di Radiant Silvergun o Sin & Punishment 2.

'Caravaggesque' da Alice Madness Returns.

Eurogamer: Quando hai deciso di passare da essere videogiocare a fotografo nei videogiochi?

Emanuele: Il primo Photo Mode che ho utilizzato è stato quello di Gran Turismo 4 su PlayStation 2 ma è solo durante quest'ultima generazione videoludica che il mio modo di fotografare i giochi si è davvero evoluto grazie anche ad una grafica sempre più complessa e ad una direzione artistica che gioca con colori, forme e luci in maniera sempre più creativa, matura e professionale. Giochi come Uncharted 4, The Order: 1886 e Assasins' Creed: Origins mi hanno permesso una maturazione importante che potrei riassumere con lo staccarmi il più possibile dalla visione originale degli sviluppatori per reimmaginarmi il gioco a modo mio.

Eurogamer: Alla luce di tutto ciò, che rapporto c'è tra la fotografia con la macchina fotografica e la Virtual Photography?

Emanuele: Mentre la fotografia perfetta congela un istante unico ed irripetibile per consegnarlo alla storia, lo screenshot perfetto congela decine di ore di storia in un'unica immagine ugualmente irripetibile. Da questo punto di vista la mia immagine da Days Gone "Selfie With Horde" (che trovate qui sotto) è in assoluto quella che più si avvicina al mio concetto di screenshot perfetto.

'Selfie With Horde' da Days Gone.

Eurogamer: Quanto tempo ti ci vuole per trovare lo scatto che ritieni perfetto?

Emanuele: Grossomodo posso dirti che in una sessione di tre ore consecutive di gioco, passo un'ora giocando e le altre due ore fotografando. La foto di Assassins' Creed: Origins color senape che ritrae Bayek in piedi sulla canoa (che trovate poco più giù) è la quindicesima evoluzione della foto che avevo inizialmente immaginato. Ero partito dal pelo dell'acqua per fotografare quella scena, abbastanza vicino alla canoa, poi mi sono gradualmente sollevato e allontanato, continuando a fotografare. Lentamente vedevo la foto crescere, migliorare, assumere una identità tutta sua. Il filtro seppia ultrasaturo è quello che ha portato la foto alla versione finale.

Eurogamer: Se per trovare lo scatto perfetto impieghi così tanto tempo, quanto è importante invece il lavoro di post-produzione nella Virtual Photography?

Emanuele: Nella Virtual Photography non è ammessa nessuna post-produzione se non leggeri ritocchi di luce o contrasto. Un'altra regola molto importante è che non si fotografano le cutscenes, perché in quel caso sono il game director ed il direttore della fotografia del gioco che fanno tutto il lavoro.

Eurogamer: Che consigli daresti ad una persona che si vuole approcciare alla Virtual Photography?

Emanuele: Il consiglio che do a tutti gli aspiranti virtual photographer è di allontanarsi il più possibile dall'immagine che vedete a schermo mentre giocate normalmente. Più il vostro screenshot è ripreso con le stesse coordinate di FOV (Field Of View), TILT e DOF (Depth Of Field) del gioco originale, più sembrerà una schermata acquisita accidentalmente. Il Photo Mode vi permette di congelare un attimo importante di gioco e di staccarvi, letteralmente, da una telecamera che è li a favore di gameplay ma non a favore di fotografo. Godete al massimo della libertà che vi viene fornita, sperimentate, cercate di capire quale dettaglio o azione volete evidenziare e dove andrà a cadere l'occhio di chi guarda la foto. Credo che già seguendo questi pochi consigli possiate fare discreti passi avanti.

'Canaletto' da Assassin's Creed: Origins.

Eurogamer: Quali sono i tuoi soggetti preferiti?

Emanuele: Indubbiamente le scene action, perché la composizione mi obbliga a gestire più soggetti contemporaneamente mentre devo comunque mantenere pulizia e facilità di lettura per chi guarda la foto. È una sfida sempre interessante quella di riempire un rettangolo di 16:9 senza eccessi ma anche senza sprechi. Se poi la scena action include zombie o schizzi di sangue io vado a nozze, perché sono da sempre un appassionato di cinema horror e adoro gente come Tom Savini, George Romero, Lucio Fulci, John Carpenter e Ruggero Deodato.

Eurogamer: Quindi immaginiamo che le foto a cui se più legato ricadano in questa categoria.

Emanuele: Al contrario, devo dire che le due foto a cui sono più legato sono invece foto caratterizzate da calma, silenzio e sospensione del tempo. Una è "Whispers In The Dark" da Uncharted 4, con Sam e Nate ripresi nella cantina della villa italiana -in bianco e nero- e illuminati dalla sola luce dell'accendino. L'altra è "Lonely Hearts Club", ambientata nel pub/bordello londinese di The Order: 1886. Si distaccano talmente dal genere di appartenenza del gioco da trascendere lo stesso e diventare un qualcosa che è ben più della somma delle singole parti.

Eurogamer: Se fin'ora abbiamo parlato di giochi che prevedono una modalità fotografica, come si fa Virtual Photography in tutti quei titoli che sono sprovvisti di una Photo Mode?

Emanuele: Su console, avendo la possibilità di rimuovere l'HUD e di fare un minimo di posizionamento camera, ci sono giochi come Journey che permettono una parvenza di Virtual Photography. Su PC esistono invece mod e hack specifici per la VP che permettono all'utente di "sganciarsi" dalla telecamera ufficiale di gioco per fare foto molto simili a quelle permesse da una vera e propria Photo Mode. Come alternativa c'è anche Ansel di Nvidia, un software apposito delle schede GeForce per fare foto virtuali su PC supportato da un buon numero di giochi, tra cui anche The Witcher 3: Wild Hunt, che su console non ha mai goduto di una vera e propria Photo Mode.

'Whispers In The Dark' da Uncharted 4.

Eurogamer: Fino ad ora siamo rimasti a chiacchierare tra compagni con la stessa passione per i videogiochi, ma se ti chiedessi qual è la percezione dei fotografi tradizionali nei confronti della Virtual Photography?

Emanuele: Non esiste nessuna percezione. Non solo da parte dei fotografi ma anche dei critici d'arte in senso generale. Quando nel 2019 ho preso il coraggio a otto mani e ho portato le mie stampe da Bruno Ghislandi, curatore del Museo di Arte Contemporanea Donazione Meli di Luzzana (Bergamo), lui non aveva la minima idea di cosa stessa guardando. È stato un processo affascinante quello di spiegare a tutti i responsabili del museo, ivi inclusa una fotografa professionista, cosa fosse la Virtual Photography. Non solo, il problema successivo è stato "come la spieghiamo a chi verrà alla mostra?" perché noi ci aspettiamo che una bella fetta di pubblico non abbia la minima idea di cosa siano Minecraft e Fortnite e di chi siano Shinji Mikami o Hideki Kamiya. Sarà un'enorme responsabilità, ma anche un grande piacere, spiegare alla signora della porta accanto magari appassionata di arti "classiche" che i videogiochi possano esprimere cotanta bellezza.

Eurogamer: In quest'ottica, pensi che il successo culturale che avrà la Virtual Photography in futuro sarà legato alla percezione stessa dei videogiochi o seguirà la propria strada?

Emanuele: Questa domanda necessita di una premessa: la mia visione, la mia ambizione, la mia speranza, è che la Virtual Photography da qui a 15 anni arrivi al MOMA di New York. Dal 2009 quando è nata ufficialmente, al 2019, la Virtual Photography è stata un fenomeno limitato al solo circuito del gaming. Io e i miei colleghi abbiamo esposto alla Milan Games Week, in alcune ville private e persino alla Biennale di Venezia nel 2015 ma sempre e solo come collettivo di Game Art e sempre in esibizioni incentrate sul videogioco. Il pubblico sapeva cosa aspettarsi e cosa andava a vedere. Con la mia prossima mostra, in arrivo, la Virtual Photography passa da fenomeno "da Games Week" a fenomeno "museale" ed il passo è enorme.

'Lonely Hearts Club' da The Order: 1886.

Non solo, la Virtual Photography è stata ufficialmente etichettata dai critici d'arte come "Arte Ready-Made Duchampiana" facendo riferimento a Marcel Duchamp che nel 1917 ha preso un urinatoio, l'ha capovolto, e l'ha chiamato "Fontana". Questa iniziativa ha creato una corrente artistica che prende oggetti di uso comune e quotidiano (ad esempio i videogiochi) e li reinventa secondo una propria sensibilità trasformandoli in opere d'arte (ad esempio grazie alla VP).

'Monolith' da God of War.

Rispondendo alla tua domanda: credo che la VP prenderà una strada tutta sua in futuro, perché vedo che ancora oggi è vista dalle grandi major come un gimmick per tenere impegnata la community invece che come un radar per captare possibili creativi in giro per il mondo. Io stesso sono stato in copertina sui social di Sony Bend con la mia foto di Days Gone ed il tutto è stato freddo, impersonale, distaccato. E allora ti dico: tra 15 anni la Virtual Photography arriverà al MOMA e solo allora le grandi major si accorgeranno delle sue enormi potenzialità. Chi ce la farà avrà fatto tutto da solo, senza aiuti da parte delle major, per questo ti dico che Virtual Photography e videogiochi seguiranno strade separate ancora per lungo tempo.

Eurogamer: Se il futuro della Virtual Photography sarà sempre più quello di essere esposta nelle mostre di arte "classica", vogliamo chiederti: cosa si prova a vedere i tuoi lavori concretizzati su carta di fronte ad un pubblico?

Emanuele: Vederli alla Games Week è stato emozionante, vederli a breve in un vero museo -permettimi l'espressione- sarà una figata pazzesca. È da un mese che ho l'adrenalina a mille dopo un anno intero passato ad organizzare l'evento coi curatori. Quando questa cosa finirà e tornerò semplicemente ad essere Bresciani Emanuele, imprenditore del Trasporto Internazionale con 500 miseri follower su Instagram, mi resterà comunque l'incredibile soddisfazione di avere aperto le porte dei musei alla Virtual Photography non solo in Italia, ma forse anche nel resto del mondo. Spero davvero in un effetto a cascata che parta dalla provincia bergamasca e arrivi fino al suddetto MOMA. In fondo sognare non costa nulla.

Eurogamer: Hai parlato di una mostra a breve, quando e dove potremo vedere esposte le tue opere prossimamente?

Emanuele: I miei prossimi appuntamenti sono: sabato 8 febbraio 2020 ore 18.00 al Museo di Arte Contemporanea Donazione Meli, Piazza Castello, Luzzana Bergamo. Chi non potrà venire può seguire l'evento in diretta sul mio account Instagram. Ad aprile dovrei sbarcare sia al Modena Play sia al Rome Video Game Lab, a maggio dovrei essere a Sarnano Comix, poi di nuovo alla Milan Games Week. Spero davvero che l'uscita in un "vero" museo non rimanga un caso isolato.

Eurogamer: Per finire: c'è una domanda che nessuno ti fa mai ma a cui vorresti rispondere?

Emanuele: Beh questa domanda non me l'ha mai fatta nessuno, quindi mi sento di risponderti che è dannatamente difficile conciliare la Virtual Photography con un lavoro da 10 ore al giorno, una vita sociale, una famiglia, affetti e quant'altro. Se non amassi alla follia questa cosa l'avrei già mollata da tempo.

Eurogamer: A maggior ragione ti ringraziamo infinitamente per la tua disponibilità e siamo elettrizzati all'idea di poter esporre nei prossimi mesi le tue opere sui nostri social e, speriamo, di poterti rileggere su queste pagine in futuro.

Emanuele: Vi ringrazio per lo spazio e visibilità e non appena avrò screenshot alla mia e vostra altezza sarà un piacere condividerli con voi.

Avatar di Pier Giorgio Liprino
Pier Giorgio Liprino: Per far felice Pier Giorgio basta parlargli di politica, scienza e videogiochi. A questi ultimi s'è avvicinato da bambino giocando ad Age of Empires 2 e da allora è rimasto un appassionato PC gamer, con uno sguardo attento alle console.

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