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Storia della più grande epidemia nel mondo dei videogiochi - articolo

Quando World of Warcraft è diventato materia di studio per gli epidemiologi.

Nel 2007, l'epidemiologo israeliano Ran D. Balicer pubblicò un paper per analizzare le similitudini fra il cosiddetto "Incidente del Corrupted Blood" e la diffusione virale di SARS e Influenza A H7N9. Tutto ciò accadde mentre nientemeno che il Centre of Diseases Control and Prevention statunitense stava bussando alle porte di Blizzard Entertainment, casa madre di World of Warcraft, per ottenere statistiche sull'evento da utilizzare a scopo di ricerca. La domanda sorge spontanea: com'è possibile che un virus virtuale sia divenuto materia di studio presso le enclave di epidemiologia di mezzo mondo?

Facciamo un passo indietro. È il 13 settembre del 2005 quando sui server del videogioco online World of Warcraft si festeggia l'introduzione del nuovo raid Zul'Gurub, un'attività pensata per i giocatori più accaniti e costruita per essere affrontata da gruppi di 20 persone. Così, una buona frazione dei 2 milioni di utenti allora presenti nella comunità si gettò nel cuore della giungla per dare la caccia all'obiettivo finale della missione, ovvero il Troll Hakkar lo Scortica Anime.

Secondo tradizione, le battaglie di World of Warcraft prevedono una serie di meccaniche realizzate per mettere i bastoni fra le ruote ai giocatori, armi devastanti messe al servizio dei boss più impegnativi. Hakkar, nel caso in esame, poteva contare su un'abilità che infliggeva lo status "Corrupted Blood", un malus che provocava gravi danni nel tempo agli avatar fino ad arrivare a causarne la morte. Peculiarità del Corrupted Blood, tuttavia, era l'essere fortemente contagioso: era sufficiente trovarsi accanto ad un altro personaggio per contrarre a propria volta il debuff.

Il professor Ran Balicer è stato uno fra i primi a studiare il Corrupted Blood notando diverse similitudini con la SARS e l'influenza aviaria.

Ovviamente, si trattava di una meccanica che non avrebbe mai dovuto lasciare i confini dell'arena in cui si affrontava Hakkar. Ma destino volle che un semplice vuoto di programmazione trasformò la piaga del Corrupted Blood nel più grande fenomeno epidemico mai registrato all'interno di un universo virtuale. Questo perché, inaspettatamente, il "virus" poteva propagarsi anche agli animali e alle creature evocate dai personaggi, che diventavano l'unico veicolo capace di trasportare il debuff al di fuori dei confini previsti.

Praticamente, accadde che numerosi Cacciatori fra quelli che avevano appena preso parte al combattimento con Hakkar richiamarono le proprie bestie all'interno dei centri cittadini più popolosi, trasformandoli in focolai della nuova malattia virtuale. Nel giro di poche ore, le città di Ironforge e Orgrimmar, le più dense in assoluto, erano completamente infette, e gli abitanti delle terre di Azeroth stavano per confrontarsi con una situazione che avrebbe attirato l'attenzione dei ricercatori di mezzo mondo.

Se i giocatori più potenti avevano il pool di salute e le risorse per sopravvivere al contagio, i nuovi arrivati erano destinati a soccombere: bastavano pochi istanti dall'infezione per dire addio agli avatar più deboli, la categoria più a rischio. I personaggi dotati di abilità mediche decisero di metterle al servizio della popolazione dei server, fornendo cure nei centri abitati nel tentativo di circoscrivere l'epidemia. Purtroppo, era solo questione di tempo prima di scoprire la prima "mutazione" del debuff.

Le strade virtuali di World of Warcraft fra settembre e ottobre del 2005 offrivano uno spettacolo inquietante.

Alcuni veterani, infatti, iniziarono a notare che il Corrupted Blood non agiva solamente sugli avatar controllati dai giocatori, ma anche su tutti i non-playable-characters governati dall'intelligenza artificiale. Questi, sebbene immuni ai danni del debuff, diventavano vettori capaci di trasmetterlo a chiunque si trovasse nelle vicinanze, proprio se come fossero infetti asintomatici.

Da una parte, la difficoltà intrinseca del combattimento con Hakkar contribuì a circoscrivere il contagio, che raggiunse livelli critici solamente in tre dei server di gioco; dall'altra, quei reami misero in scena uno spettacolo inquietante: le strade cittadine erano lastricate delle spoglie dei giocatori, oltre che ormai deserte da giorni perché abbandonate in favore delle relativamente più sicure zone rurali.

Fu a quel punto che Blizzard tentò un primo timido intervento, chiedendo ai suoi utenti di sottoporsi ad una quarantena volontaria che non solo non fu presa sul serio, ma che fu sfruttata da quelli che l'autore di Security Focus Robert Lemos avrebbe definito "terroristi virtuali". Mentre in molti smisero di accedere al popolare MMO e tanti altri si ritirarono nelle zone più remote, c'erano gruppi di giocatori che diffondevano volontariamente il contagio, mantenendo in stato di lockdown le città principali e andando addirittura a caccia di prede.

Mentre alcuni utenti collaboravano per circoscrivere l'epidemia, altri fomentavano il contagio.

L'8 ottobre del 2005, 25 giorni dopo il primo contagio, Blizzard si trovò costretta a effettuare un reset completo dei server e una serie di hotfixes per annullare tutti gli effetti del Corrupted Blood al di fuori dello scontro con Hakkar. Insomma, alla fine l'epidemia virtuale fu completamente debellata nel giro di un mese, ma la soluzione adottata, purtroppo, era un intervento che esulava dalle leggi del mondo reale.

L'intero incidente divenne materia di studio non solo nel sottobosco dell'epidemiologia, ma anche e soprattutto della sociologia. Durante la Games for Health Conference di Baltimora si tenne un panel approfondito per analizzare il focolaio del Corrupted Blood: ci si chiedeva come fosse possibile che un virus contratto in una zona remota e difficilmente accessibile potesse diffondersi così rapidamente a distanza di chilometri.

Fu allora che venne preso in considerazione l'impatto della curiosità sulla diffusione delle epidemie: come molti giocatori tendevano a visitare le "zone rosse" per assistere alla situazione, così giornalisti e curiosi tendevano a fare rapidi "in and out" nel pieno, ad esempio, dell'emergenza aviaria. La dottoressa Nina Fefferman della Tuffs University arrivò a suggerire agli sviluppatori di integrare debuff non letali nei confini di World of Warcraft per aiutare ulteriormente la ricerca epidemiologica, ma l'appello lanciato durante la GDC 2007 rimase senza risposta.

I grandi centri dell'immenso mondo di Azeroth, come Ironforge e Orgrimmar, furono i primi a cadere. Alla fine, Blizzard dovette fare tabula rasa.

Anche il professor Gary Smith dell'università della Pensylvenia sottolineò come eventi virtuali di questa entità offrissero ai ricercatori di tutto il mondo la possibilità di studiare fenomeni che, altrimenti, non avrebbero alcun modo di analizzare. Inaspettatamente, l'incidente del Corrupted Blood trovò infine spazio nelle pubblicazioni di ricerca antiterrorismo, quando Charles Blair del CTIS e Stuart Gottlieb di Yale, pur riconoscendo lo scarso valore della "vita" per un personaggio di World of Warcraft, riconobbero la diffusione volontaria della piaga come un valido strumento di analisi per mappare l'operato delle cellule terroristiche in ambienti controllati.

Insomma, l'incidente del Corrupted Blood è diventato sì parte della cultura nerd, ma è persino riuscito a lasciare un segno indelebile nel panorama accademico. Sfortunatamente, in piena emergenza Coronavirus, non abbiamo le competenze né gli strumenti per andare oltre questo superficiale primo strato dell'analisi, ovvero il racconto dell'incidente e delle ripercussioni di quella che sarà ricordata come la più grande epidemia nella storia dei videogiochi.

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Lorenzo Mancosu

Editor-in-Chief

Cresciuto a pane, cultura nerd e videogiochi, i suoi primi ricordi d'infanzia sono tutti legati al Super Nintendo. Dopo aver lavorato dentro e fuori dall'industry, è finalmente riuscito ad allontanarsi dalle scartoffie legali e mettere la sua penna al servizio di Eurogamer.it.

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