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After Life (stagione 2) - recensione

Soffre più chi va o chi resta?

Ricky Gervais è un personaggio che ha fatto della sgradevolezza esibita il suo marchio di fabbrica. Con quella faccia un po' così, con quel sorriso odiosetto, abbiamo imparato a conoscerlo con The Office dove il suo personaggio, il viscido capoufficio Brent, toccava vette di imbarazzante autolesionismo, tali da generare quasi pena nei suoi confronti (che poi era esattamente quello che si voleva conseguire), perché Gervais ha sempre amato mettere i suoi personaggi in situazioni tali da generare disagio nello spettatore.

Mai ben sfruttato al cinema, i meno peggio sono due film da lui diretti, The Invention of Lyingh e Cemetery Junction, ha dato il suo meglio nelle serie TV. Dopo il successo di The Office ricordiamo Extras, sull'ambiente delle comparse, in cui su base autobiografica raccontava di un aspirante attore di imbarazzante inettitudine che riusciva a sfondare come sceneggiatore.

Poi Life's Too Short, che aveva come protagonista Warwick Davis, il nano di Willow, un mockumentary di crudele ma mai gratuita scorrettezza. Era seguito il successo di Galavant, di esilarante stupidità, in cui Gervais compariva solo come interprete. E i suoi show, dove soprattutto oggi, in tempi del "ditino" facile, dell'indignazione cronica, mostra un coraggio quasi suicida (consigliamo Humanity che è disponibile proprio su Netflix).

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E come ignorare le sue presentazioni ai Golden Globe, spesso finite "scandalosamente", come se non si sapesse bene come avrebbe potuto debordare l'irrefrenabile personaggio. Show durante i quali il divertimento si incrementa guardando le espressioni dei vari personaggi noti che assistono, rivelando molto di loro con le reazioni alle battute più rischiose.

Nel 2019 è uscita su Netflix Aferlife, scritta e interpretata da Gervais, in cui avevamo conosciuto Tony, uno dei soliti, usuali personaggi sgradevoli, vedovo caduto in depressione dopo la morte della moglie, con cui aveva un rapporto raro, esclusivo, che proprio di morire non se lo meritava.

Sono sempre i matrimoni felici a venire spezzati, suprema beffa del destino. Per non suicidarsi (rischio concreto) decide di cominciare a fare e dire tutto ciò che gli passa per la testa, senza filtri. Ma il mondo, invece di respingerlo, aveva cercato in ogni maniera di scusarlo, di accettarlo nonostante tutto. Con il rischio di farlo diventare "buono" come conseguenza delle attenzioni che gli erano state riservate da chi gli stava intorno, volendogli bene nonostante tutto, provocando in lui una specie di epifania.

Il miglior amico del cane è l'uomo?

Lo ritroviamo in Afterlife 2 mentre prosegue la sua difficile convivenza con il resto dell'umanità. Continua nel suo lavoretto nel locale giornalino gratuito, per il quale deve intervistare gente che non avrebbe proprio niente di interessante da raccontare. Gente che un tempo avrebbe massacrato a colpi di battute e della quale adesso invece nota risvolti diversi, reso più riflessivo dalla presa di coscienza che dovunque intorno a noi ci sono tanti dolori diversi e sconosciuti, tutti da rispettare.

Tony è nuovamente alle prese con i colleghi, mucchio di selvaggia incapacità e infelicità che però ha sempre cercato di appoggiarlo. E poi ritroviamo tutti gli altri personaggi, il surreale postino, la prosperosa e solare prostituta locale, il direttore del giornale, cognato di Tony, abbandonato dalla moglie, educatamente disperato. Che adesso frequenta lui l'abominevole analista che nella stagione precedente aveva avuto in cura Tony.

E ritroviamo l'infermiera che accudisce il padre di Tony perso nell'Alzheimer, che avrebbe potuto amare, e ancora potrebbe se non fosse ancora tanto innamorato della sua defunta moglie.

Tony, il diavolo e l'acqua santa.

L'uomo sta però arrivando a capire che non tutto il mondo gira intorno alla sua perdita e che alla fine il dolore più grande non lo ha provato lui ma chi il cancro ce l'aveva e sapeva di dover morire. E così si ripromette di essere più "zen" e noi stessi avvertiamo quanto immane sia lo sforzo, perché davvero in giro ci sono tanti soggetti che la sua lingua affilata la meriterebbero.

Intorno infatti è pieno di "mostri" ma nella seconda stagione di Afterlife sono meno estremi che in altre opere di Gervais, e alcuni strambi sono semplicemente brave persone, che cercano con mezzi limitatissimi di continuare ad esserlo senza sapere nemmeno bene cosa significhi.

Nei primi episodi che abbiamo avuto in visione, irrompe la notizia che il piccolo giornalino locale proprio non rende più e il proprietario lo vuole vendere, privando tutti non solo di un indispensabile stipendio, ma di un appuntamento giornaliero che li sottrae a situazioni esistenziali che per tutti non sono proprio soddisfacenti.

Solo in mezzo alla folla.

E Tony di slancio vestirà l'armatura scintillante dell'eroe che promette "ci penso io" (avesse detto "andrà tutto bene" forse avremmo sbuffato). Quindi ancora una volta humor acido e battute pungenti, perché spesso non c'è altro modo per rapportarsi a un'umanità che non si merita di meglio.

Ma questa volta cattiveria in dose minore, come se Gervais volesse provocare meno per essere amato di più. E nel suo lutto, nel dolore mentre guarda i vecchi video della sua vita di prima, mentre racconta di quanto fosse bella, c'è anche nella sua interpretazione una nota autentica, che ci fa capire che anche per lui non dev'essere stato tutto rose e fiori, rendendocelo così anche più simpatico.