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Signs of the Sojourner - recensione

Carovane, carte e connessioni emotive.

Si sente spesso la mancanza dei puzzle game puri. Gli enigmi sono oramai innestati negli horror e in gameplay più vasti, oppure finiti in quel girone a parte del vastissimo mare del Mobile. Spesso questi videogiochi stand-alone sono oscurati da un mercato che li relega a contenuti opzionali, esperienze brevi e casual, contenitori di enigmi classici, escape room. Tolti casi eclatanti come la serie di Layton e Catherine, capita ancora che il puzzle sia la forma prediletta da piccoli studi per far fronte a idee evocative e particolari, spesso originali.

Pensando a questo genere, uno dei trend degli ultimi anni è quello degli eredi di Portal, puzzle-platform con magnificenze del calibro di Manifold Garden e The Talos Principle. Seguono poi quei prodotti quasi contemplativi, come Monument Valley, e ed è proprio in questo secondo gruppo che Signs of the Sojourner si troverebbe benissimo. Il titolo di Echodog Games è sceglie le carte per costruire un gameplay gestionale e narrativo, incentrato sulla premeditazione e su un deck building atipico, fatto di sacrifici costanti e di mutamenti continui. Vedremo a breve come.

Signs of the Sojourner non è una sfida di sola logica e matematica, se consideriamo l'IA con cui ci confronteremo e l'invadenza di alcune condizioni casuali; né un card-game classico d'impronta competitiva. Infatti il gameplay non si basa sulla necessità di sconfiggere un avversario, depredandolo di hit point o risorse. Al contrario, il focus è la collaborazione al fine di completare una catena di carte, associando simboli geometrici per andare dal punto A al punto B. Si vince o si perde insieme.

Cover image for YouTube videoSigns of the Sojourner Announcement Trailer

Il gioco in questione rappresenta le dinamiche del baratto, il flusso di una trattativa con i suoi alti e bassi, la capacità di empatizzare con l'NPC che avremo di fronte. Si sarà già capito, queste carte sono metaforiche e rappresentano il carattere dei personaggi. Avremo un mazzo di carte, ognuna con simboli a sinistra e destra; ci relazioneremo con personaggi che avranno un deck simile, incentrato spesso sue due segni che avremo modo di conoscere in anticipo.

Si piazza una carta per volta, sempre a destra e salvo eccezioni. Le carte infatti possono avere degli effetti speciali: lettura del mazzo altrui, re-draw, possibilità di concatenare più carte, di inserire la propria carta tra due carte precedenti, e altri stratagemmi che permettono di risolvere l'ostacolo più grande del gioco: l'incomunicabilità. Le incomprensioni sono strane, diceva una nota canzone, bisognerebbe evitarle sempre.

Capita a volte che incontreremo personaggi con simboli rari, che potremo acquisire intanto soltanto fallendo un'interazione proprio con loro. Capita altre volte che, durante il viaggio, si diventi esausti: uno status che in termini di gioco è rappresentato da una carta senza segni, destinata a danneggiare inevitabilmente gli outcome di una partita, salvo grande prontezza tattica del giocatore.

Per far fronte a queste difficoltà, dunque, non resta che pianificare l'ordine con cui si parlerà agli NPC e l'ampiezza del range simbolico del nostro mazzo. Compito nient'affatto semplice, perché, come già detto, la ricchezza delle nostre risorse dipende anche dalle sconfitte che subiremo, dagli eventi casuali e dalla fortuna. Durante le spedizioni, inoltre, avremo modo di fare incontri per smaltire le carte fatica e potenziare le carte senza effetti speciali.

La mano del giocatore, in questo caso, non ha alcun triangolo per completare la catena. Bisognerà utilizzare una carta speciale.

Signs of the Sojourner ha un sistema di questo tipo perché crede nella sua sovrastruttura narrativa e gestionale, fatta di tragitti, missioni da compiere per conto degli NPC, misteri da svelare. Quasi un'avventura grafica con bivi narrativi (a volte vere e proprie scelte da GDR), le cui conseguenze sono dettate dalla nostra bravura nel risolvere le sfide dell'enorme cast di personaggi che incontreremo, variopinto e a tratti folle.

La trama di Signs of the Sojourner è di quelle che, per chi sente il fascino dell'esotico, ha già il sapore speziato dei viaggi di Marco Polo. Un carovaniere deve sostituire la sua defunta madre nella gestione di un'impresa commerciale, scoprendo rotte e oasi in un viaggio attraverso coloratissimi sobborghi dagli edifici contorti, dalle forme evocative e orientali. Un compito complesso, che baratto dopo baratto, concentrato in sei tour da cinquanta giorni circa, ci mostrerà un mondo bizzarro, pieno di stimoli per l'immaginazione veicolati da descrizioni colme di dettagli ma pur sempre scorrevoli, anche se purtroppo, avvisiamo, al momento non hanno una traduzione in italiano.

Graficamente il tutto avviene per tramite di disegni e animazioni, semplici e immersive. C'è una contaminazione fantastica, con personaggi che evocano lo stile e le bizzarrie del mondo post-apocalittico di Adventure Time. Troveremo androidi, avventurieri, ladri, semplici venditori di tè matcha e strumenti musicali. Sottotrame, di fratelli separati da riunire, spettacoli da organizzare, amicizie da rinsaldare e luoghi segreti nascosti nelle wasteland da scoprire. Le città, dai nomi particolari, sono sfondi vitali, dai colori sgargianti, con animazioni ambientali di foglie al vento e pioggia scrosciante.

Il tempo scorre. Pianificare e massimizzare i risultati della spedizione è fondamentale.

Il sonoro è uno dei punti di forza del gioco. L'OST evoca, con flauti, tamburi, ritmi dolci, tutto un mondo di sapori, odori, arte di strada, volute di fumo di bancarelle di cibo, incensi e melting pot post-umano. Ma a vincere è la gestione degli effetti sonori, in special modo relativi al puzzle: concatenare le carte, navigare nei menù, scorrere i dialoghi, è un processo accompagnato da suoni piacevoli e rilassanti.

In sintesi: questo gioco offre una sfida nient'affatto banale, in un contesto fantasioso che potrebbe soddisfare anche coloro in cerca di una trama introspettiva, sull'importanza delle relazioni e sul ruolo di un posto da chiamare casa. Alta la rigiocabilità, visto che il tutto avviene in una finestra temporale dove gli esiti di alcune vicende possono cambiare. Il ritmo del tutto si adatta molto bene al tempo del giocatore, con auto-salvataggi continui.

È un esordio ben realizzato, senza sbavature. Neanche a dirlo, Signs of the Sojourner su dispositivi portatili ha un surplus di magia, proprio per la "chillness" di fondo che lo caratterizza. L'ambiente indie si conferma, come sempre, un tesoro di originalità e crescita per tutta l'industry. Echodog Games è un nuovo viaggiatore da tenere d'occhio. Chissà quali altre rotte potrà scoprire.

8 / 10

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A proposito dell'autore
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Antonino Fiore

Contributor

Classe 1993, in squadra dal 2018. Ha scoperto i videogiochi con i floppy dell’Amiga e da allora vive, sbalzato temporalmente, una generazione indietro. Dalle avventure grafiche agli horror, è un accanito retrogamer e un vorace escapista. Con gli anni ha realizzato d’essere, più che altro, un semplice Homo Ludens. Megaman e Suikoden sono i suoi punti deboli.

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