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Il mio amico e il suo salvataggio in Pokémon - articolo

Narrativa interiore.

Ho un amico giapponese che non vedo da oltre dieci anni. È passato tanto tempo, ho messo su famiglia e le circostanze sono cambiate, ma mi ritrovo a pensare a lui regolarmente.

Ormai è un uomo con priorità, aspettative e tutto il resto. Mi chiedo che faccia abbia, oggi. Forse starà fumando una sigaretta con quel suo sorriso beffardo, forse i suoi lunghi capelli saranno stati sostituiti da un taglio alla moda. Magari adesso indossa pantaloni attillati al posto dei soliti jeans baggy con un paio di scarpe bianche rovinate. I suoi occhi gentili, però, non sono cambiati, ne sono sicuro.

Abitavamo vicini, all'epoca, e spesso mi presentavo a casa sua per giocare a Super Smash Bros: Melee con lui. Ricordo ogni sensazione: urla, risate e il fragoroso rumore dei pulsanti. Parlavamo un po' in inglese e un po' in un giapponese stentato. Non riuscivamo a comunicare perfettamente l'uno con l'altro ma le nostre interazioni erano abbastanza semplici da creare un ottimo rapporto, anche senza bisogno di parlare. Non avevamo conversazioni complesse ma avevamo instaurato una comprensione reciproca che andava oltre qualsiasi tipo di dialogo, semplicemente passando tanto tempo insieme.

Uno degli ultimi regali che mi ha fatto è stata una scatola di vecchi giochi per Game Boy che lui non usava più, tra cui una copia giapponese di Pokémon Versione Rossa. Per motivi a me ignoti, non ho mai avviato quel gioco sulla mia console ma, stranamente, dopo qualche anno quella cartuccia mi è tornata in mente. Cos'era stato? Un improvviso lampo di curiosità? Il bisogno di riconnettermi con lui? Certe volte la memoria gioca dei brutti scherzi.

All'improvviso mi sono ritrovato davanti al suo personaggio sullo schermo, il suo alter-ego virtuale a 8-bit. Ho deciso di fare un giro nell'inventario, esaminando anche la sua squadra di Pokémon. Mi sono soffermato anche ad analizzare la sua posizione nella città e ho mosso anche qualche passo, prima di fermarmi bruscamente. Mi sentivo come un intruso, un impostore in un mondo che non gli apparteneva, impegnato a frugare in memorie troppo intime per essere vissute dall'esterno.

Lo scrittore e neurologo Oliver Sacks ha esplorato questo lato della memoria umana nel suo splendido saggio 'The Man who Mistook His Wife for a Hat' (L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello), una collezione di casi relativi a pazienti con gravi disordini neurologici. Nel libro c'è un capitolo dedicato a Mr. Thompson, un uomo affetto dalla sindrome di Korsakov che era "mosso da una sorta di frenesia irrazionale". In sostanza, Thompson inventava rapidamente e incessantemente delle storie di fantasia basati su esperienze di vita vissuta. Tragicamente, però, questo era l'unico modo che aveva di costruirsi un senso di coscienza personale senza la quale sarebbe rimasto a nuotare senza meta nell'oceano oscuro della sua mente.

È proprio qui che Sacks scrive alcune righe che risuonano perfettamente con la condizione di Mr.Thompson e che credo si applichino bene a ognuno di noi. "Ognuno di noi ha una storia personale, una narrativa interiore la cui continuità e il cui significato rappresentano la nostra vita. Potremmo addirittura dire che ciascuno di noi costruisce e conduce una propria 'narrativa' che costituisce la nostra identità."

In definitiva, dunque, cosa rappresenta quel salvataggio di Pokémon del mio amico? Se lo guardo ora vedo un frammento della sua narrativa incastonato in quel codice. Lo so, è solo un piccolo contenitore in plastica che contiene metallo e circuiti ma ospita anche una moltitudine di esperienze diverse. Proprio mentre la corrente attraversa la circuiteria attivando un'infinita sequela di zero e di uno, un impulso scintilla nel mio cervello alzando il sipario sulle immagini di un passato che non ho mai conosciuto. È come vedere piccole nuvole di fumo che si addensano e si dissolvono davanti ai miei occhi prima che un suono in lontananza mi riporti al presente. Ammirando quelle immagini, al di là delle considerazioni fredde ed empiriche sulla loro natura, credo di aver approfondito la conoscenza del mio amico.

I videogiochi hanno questo incredibile potere, più di qualsiasi altro medium. Se premi play sul salvataggio di qualcun altro, vieni risucchiato nel suo universo: un posto virtuale in cui la sua narrativa diventa giocabile. Potreste prendere il controllo del suo personaggio, risolvere il puzzle su cui era bloccato o superare una piattaforma. Ci sono così tante possibilità diverse che trovo divertente constatare che una parte di me si senta a disagio nel giocare col salvataggio del mio amico. È come se fossi preoccupato di squarciare il tessuto della sua linea temporale e vederlo sciogliersi ai nostri piedi.

Dico 'nostri' perché potrei mettere in pausa quel mondo preservato così bene e riavviarlo in qualsiasi momento ma in questo modo romperei la sua narrativa e, in un certo senso, la mia connessione con esso andrebbe perduta. Non avrei più la possibilità di analizzare quel periodo così misterioso ai miei occhi. Per me, il suo salvataggio è diventato un dispositivo di comunicazioni che mi permette di conversare con lui attraverso la memoria.

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Ed Thorn

Senior Staff Writer

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