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Transient - recensione

L'orrore cosmico di H. P. Lovecraft incontra il Cyberpunk.

Stormling Studios è un team di sviluppo, con sede a Istanbul, che da anni si è specializzato in giochi narrativi d'atmosfera lovecraftiana, con puzzle e lunghe camminate panoramiche. Forse li ricorderete come Zoetrope Interactive, triade creativa che già con Darkness Within si rifaceva agli storici racconti del maestro di Providence. Conarium, nel 2017, approfondiva gli scenari delle Montagne della Follia, inventandone un seguito apocrifo. Adesso è il turno di Transient, che prende a piene mani dalla saga di Randolph Carter, l'onironauta più famoso della letteratura Weird.

H. P. Lovecraft, grazie al suo pantheon di divinità inesplicabili e all'orrore cosmico che suscita nei lettori, è ormai cult indiscusso. È lo scrittore tradizionale che si contende, con la Rowling, la maggior quantità di trasposizioni videoludiche tratte dalle proprie opere. Dark Corners of the Earth (2005), Amnesia (2010), Call of Cthulhu (2018), The Sinking City (2019), ci insegnano che dalle sue invenzioni non dobbiamo aspettarci semplici jumpscare e mostruosità tentacolari, ma qualcosa di più esistenziale, psicologico e filosofico. La follia dietro l'angolo.

Transient fa un passo verso l'originalità, ripescando da un Lovecraft che spesso passa in secondo piano. Quello del Ciclo dei Sogni, ma anche della fantascienza pulp di inizio Novecento, in cui le mostruosità aliene non solo spaventano, ma creano un senso di sublime, meraviglia e impotenza, di fronte ai misteri imperscrutabili del cosmo. Il tema del videogioco è infatti la transitorietà della materia. Tra le fonti di ispirazione un racconto del 1919, Oltre il muro del sonno, in cui un uomo diventa il portavoce involontario di messaggi alieni sulla natura dell'esistenza. Altro tema è la trasmigrazione di coscienze, come in L'ombra venuta dal tempo, racconto del 1936.

Cover image for YouTube videoTransient - Official Cinematic Trailer | gamescom 2020

Per raggiungere un risultato affascinante, Transient ricorre al Cyberpunk. New Providence, setting del gioco, è infatti l'ultimo baluardo per la conservazione umana, in una terra distrutta da cataclismi e creature d'oltremondo. Tra le sue vie sporche, i suoi vicoli tortuosi illuminati dai neon, i suoi loculi asfissianti, gli esseri umani si chiudono in enclavi cibernetiche, realtà virtuali solitarie e personali. In questo degrado, gli hacker potenziano i propri viaggi nel Net con tecniche esoteriche, droghe e geomanzia, e sono chiamati Meta-Sciamani. Viaggiano da un'enclave all'altra, modificano i ricordi, e lottano contro una potente corporazione medica. La versione Cyberpunk di un culto degli Outer Gods.

Carter è l'unico a poter utilizzare una droga che risale al periodo pre-apocalisse, ma non ricorda come ne è entrato in possesso. Nei suoi sogni, dopotutto, viaggia in mondi e realtà incomprensibili. Questo l'incipit, purtroppo veicolato principalmente da documenti in-game. Se non si avesse la pazienza di consultare la discreta quantità di scritti sparsi nei computer di New Providence, a volte emuli dello stile ampolloso di Lovecraft, il rischio è quello di sentirsi smarriti in un mare di balzi di prospettiva e intrecci da thriller.

Il gameplay è semplice e rudimentale. L'esplorazione avviene in prima persona. Con il tasto azione sarà possibile leggere i documenti, interagire con gli oggetti, aprire porte. Il centro delle operazioni di Carter è la sua abitazione, ma come da tradizione Cyberpunk i mondi digitali sono in tutto e per tutto indistinguibili dalla realtà. Persino i viaggi onirici sono inframezzati da effetti glitch e misteriose anomalie. Si sprecano le somiglianze con Matrix e Ghost in the Shell. Insomma: la tana del Bianconiglio sembra profondissima.

Le strade di New Providence omaggiano apertamente Blade Runner.

Indizi e documenti sono consultabili, in ogni momento, dal diario. Comodo perché evidenzia in giallo codici e linee guida da utilizzare durante i puzzle. Questi sono classici e mai troppo complessi, ognuno con una meccanica a sé. Servono, più che altro, a introdurre in ambientazione artefatti dal sapore archeologico e classico, con statuette di sfingi, divinità greco-romane e tracce di riti arcani.

Se alcuni minigiochi funzionano e colgono di sorpresa, quello legato all'hacking manuale dei nodi (senza net-diving in prima persona, per intenderci), è particolarmente legnoso, e frustrante, perché a ogni fallimento kicka dall'interfaccia. Costringe a un caricamento fastidioso, per ritentare una sfida che in caso di fallimento non ha nessuna conseguenza negativa, neppure in termini di trama. Per fortuna, questo mini game si incontra soltanto due volte.

Grazie a un innesto neurale, chiamato PHI, si può scannerizzare l'ambiente in cerca di punti di interesse: chi avesse giocato >Observer, che ha in comune una meccanica simile, non si aspetti nulla di ugualmente approfondito. Il PHI agisce il minimo indispensabile per risolvere alcuni puzzle specifici.

L'antro di Carter, hacker meta-sciamanico. Morpheus sarebbe fiero di lui.

Realizzato con Unreal Engine 4, Transient è da lodare per la vividezza degli scenari, per i giochi di luce e le architetture mozzafiato. La colonna sonora, per lo più d'ambiente, ne risalta le atmosfere a tratti contemplative. Purtroppo, tutt'altro avviene con gli NPC, manichini dal viso inespressivo, di plastica, anatomicamente buffi. Scena d'apertura, e climax finale, non convincono proprio a causa di questa resa, troppo statica e goffa, dei personaggi. La ragione di questa lacuna è che non ci sono minacce da cui sfuggire attivamente, salvo in una sezione survival di durata molto ridotta. Nonostante il costante senso di pericolo, infatti, gli ostacoli sono per lo più ambientali.

Ciò riduce di molto la carica orrorifica di Transient, rendendolo più che altro un viaggio fantascientifico, alla scoperta di tecnologie disturbanti, artefatti stellari, Grandi Antichi e Dei Esterni. I dilemmi esistenziali sono lasciati al giocatore, perché i personaggi non spiccano per carattere. Spesso l'esplorazione avviene in corridoi lineari, difetto che si trascina da Conarium. Il viaggio di Carter dura circa quattro ore, comunque comprensibili in un titolo adventure. La longevità, in ogni caso, aumenta per via di dieci collectable ben nascosti: tomi, statuette e citazioni che faranno ben piacere agli appassionati di Lovecraft.

In sintesi, Transient rinnega l'emulazione pigra e statica del materiale lovecraftiano, ma ne resta abilmente ancorato alla mitologia. Questo è il suo pregio più grande, che lo allontana dalla sufficienza: è qualcosa di diverso dalla norma, una commistione di generi molto riuscita che tutti gli appassionati del Ciclo di Cthulhu (e dintorni) troveranno interessante. Chi cercasse un horror puro, o fughe a ritmi ansiogeni, sappia invece che si trova di fronte un'avventura grafica moderna, molto semplice e lineare.

Come in Ghost in the Shell, le morti possono avvenire per sovraccarico degli impianti. Sta al giocatore investigare.

Nonostante qualche momento convoluto e qualche imprecisione tecnica, Transient è ben scritto e vanta location in cui è interessante muoversi. Purtroppo, non scava come potrebbe nella vita dei suoi personaggi, coinvolti in un dramma freddo, cerebrale, in cui è difficile immedesimarsi. Il team non monta un crescendo di tensione, ma preferisce orchestrare una carrellata di scorci inquietanti e fantastici.

Manca dunque il passo decisivo per poter conquistare un pubblico più ampio dei soliti cultori del genere e degli affezionati ai cosiddetti "walking simulator".

7 / 10

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Transient

PS4, Xbox One, PC

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A proposito dell'autore
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Antonino Fiore

Contributor

Classe 1993, in squadra dal 2018. Ha scoperto i videogiochi con i floppy dell’Amiga e da allora vive, sbalzato temporalmente, una generazione indietro. Dalle avventure grafiche agli horror, è un accanito retrogamer e un vorace escapista. Con gli anni ha realizzato d’essere, più che altro, un semplice Homo Ludens. Megaman e Suikoden sono i suoi punti deboli.

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