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The Liberator - recensione

“La paura è una reazione, il coraggio è una decisione”.

The Liberator, miniserie di quattro episodi disponibile su Netflix dall'11 novembre, è tratta dal libro di Alex Kershaw, The Liberator: In World War II Soldier's 500 Day Odissey.

L'odissea che ci racconta è quella vera del Colonnello Felix Sparks e del suo battaglione, il 157°, composta dalla feccia della base di Fort Sill, Oklahoma, dove nel 1941, ancora Tenente, gli venne appioppato l'incarico di tirare fuori il meglio dai riottosi soldati della baracca J. Dove J sta per Jail, come Sparks scoprirà dopo poco.

Si tratta di messicani, nativi americani, qualche ex cowboy, gente rozza, dalla bottiglia e dal pugno facile, diversamente discriminata. In anni in cui nessuno di loro avrebbe potuto essere servito nello stesso bar, troveranno in Sparks lo stimolo a dare il meglio, spinti dalla sua personalità, dai suoi metodi intelligenti, dalla sua umanità.

Cover image for YouTube videoThe Liberator | Trailer ufficiale | Netflix

Nei titoli di coda vediamo la quantità di onorificenze meritate sul campo dai Thunderbird (così erano stati soprannominati gli appartenenti al 157°). Peccato che pochissimi siano sopravvissuti. E vediamo le foto del vero Sparks, scoprendo come è andata a finire la sua avventura umana. Il cast è composto di attori non molto visti, tutti sobriamente impegnati: il protagonista è Bradley James, visto in Merlin, Damien e I Medici; il nativo Coldfoot è Martin Sensmeier, notato ne I segreti di Wind River e Yellowstone. Sotto il trucco per renderlo più somigliante a Patton si riconosce invece Peter Woodward.

Ancora Seconda Guerra Mondiale, si dirà; ancora americani eroici, con l'inevitabile retorica che osiamo definire spielberghiana, perché c'è un accurato quadro di ricostruzione storica che inevitabilmente ricorda il capolavoro di genere Band of Brothers, accompagnato però dall'attenzione all'uomo, perché è sempre il singolo individuo che fa la differenza. Anche politicamente corretto, perché si mostra uno spiraglio di correttezza umana anche nel nemico e non tutti i Nazisti sono delle bestie assassine.

La meraviglia di questa serie, che fa la differenza, è la tecnica impiegata per girarla, la Trioscope Enhanced Hybrid Animation, che fonde ambienti dipinti in 3D in CGI, filmati in live action e animazione in 2D tradizionale. L'effetto finale sembra una versione più sofisticata del Rotoscope, impiegato in film come American Pop, Ancora un giorno e nel più noto A Scanner Darkly, perfezionata nella serie tv Undone.

Sui Vosgi avrà luogo la battaglia più crudele.

La tecnica è stata inventata da Grzegorz Jonkajtys, che ha anche diretto gli episodi. E visivamente crea effetti molto interessanti, come fossimo in presenza di una graphic novel in movimento e in 3D. Ma al di là della tecnica, resta la retorica spettacolare che ci hanno insegnato essere l'essenza della guerra, i valori con la maiuscola quali Onore, Lealtà, Eroismo, Solidarietà, in nome dei quali agiscono i personaggi, il Bunch of Friends (o Wild Bunch), e ci sono sempre miglia da fare per arrivare al prossimo combattimento, come nel mito di Camelot e in No Man Left Behind.

Non sapremo mai per nostra fortuna come sia realmente stare nelle trincee sotto i colpi di mortaio e le mitragliatrici del nemico, nell'attesa che quel colpo centri te o l'amico più caro, affamati, nel fango e nel freddo. Ma all'interno di quella narrazione dai canoni consolidati, The Liberator si ricava un suo spazio e merita una visione.

E non lo si può liquidare come la solita storia di guerra, ormai lontana, non studiata sufficientemente nelle scuole, considerata cosa di un passato lontano, come fosse storia degli antichi romani. Fa invece sempre pensare per l'immensità della lotta affrontata, per la quantità dei morti che è costata, per lo sforzo immane che tanti uomini comuni hanno affrontato credendo di fare semplicemente la cosa giusta. Lottare per un ideale, per la tanto bistrattata libertà, per la democrazia oggi così discussa, così contestata.

Il 157° al completo: messicani, nativi americani e cowboy.

E visti i miseri tempi odierni, settant'anni dopo ci sarebbe da chiedersi: ce li siamo meritati quegli eroi? Cosa abbiamo fatto di quella libertà per la quale sono morti in tanti e spesso tanto crudelmente? Come sempre ciascuno si darà la sua risposta, sarebbe però da fermarsi un attimo a pensarci.

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A proposito dell'autore

Giuliana Molteni

Contributor

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