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Che futuro prospetta il Game Pass? - articolo

Facciamo il punto sull'ecosistema Microsoft, xCloud e Smart Delivery.

Adesso che la next-gen ha preso forma di fronte ai nostri occhi, è chiaro che il Game Pass rappresenta uno dei futuri del gaming. Non il futuro in sé, ma certamente quello di Microsoft. Sul fronte opposto abbiamo Nintendo e Sony, aziende ancorate alla sempre più costosa vendita retail. In un mercato così sfaccettato, è importante leggere tra le righe delle strategie di marketing, e capire dove sta il percorso che garantirà maggiore stabilità e sostenibilità all'intera industry.

Game Pass fa breccia nei cuori di molti utenti, dopotutto pare troppo bello per essere vero. Offre un ricco catalogo in abbonamento, con la promessa di esclusive al day one. Si parla già di Halo Infinite, Fable e The Elder Scrolls VI. È un servizio economico che interconnette vari dispositivi ed è a favore del consumatore. Nato nel 2017, dal 2018 ha introdotto i titoli di Microsoft Studios e adesso, complice un'alleanza con EA Play, ha implementato ulteriormente l'offerta. Al 21 settembre 2020, gli abbonati erano oltre 15 milioni.

Chi paragonasse questo successo a quello dei servizi streaming come Netflix ha colto soltanto metà della questione. Sta avvenendo qualcosa di più simile all'ascesa di Blockbuster in pieni anni '90. Lo streaming infatti è secondario, è un accessorio chiamato xCloud. Con Game Pass si noleggiano i giochi, e non serve una connessione stabile e ultrarapida: questo significa che il pubblico è più ampio e meno timoroso di quello che si approcciava a Google Stadia uno speedtest dopo l'altro.

Halo Infinite, in arrivo su Game Pass, secondo Phil Spencer potrebbe uscire a scaglioni.

Microsoft propone oltre cento giochi, da scaricare al proprio ritmo, che possono girare invariabilmente su PC o Xbox. Non propone niente di avveniristico, soltanto qualcosa di molto comodo e a portata di chiunque.

Non stupisce che Series S, la meno convincente delle nuove leve, assuma tutt'altra luce se inserita nell'ottica del risparmio globale. Tiriamo la somma degli elementi del Pass che puntano in questa direzione, serviranno a mostrare luci e ombre di un'offerta senza dubbio allettante, ma che nasconde delle problematiche.

Innanzitutto Game Pass ha un prezzo competitivo, al momento sui 12,99 euro mensili nella versione Ultimate. Nonostante Phil Spencer garantisse sulla stabilità dei costi del servizio, complice Microsoft a coprire le spalle, su PC c'è già stato un aumento dai 3,99 ai 9,99 euro. In maniera simile a quanto sta avvenendo con gli abbonamenti di Netflix all'estero, è lecito aspettarsi ulteriori rincari.

In secondo luogo, le nuove Xbox permettono il Quick Resume. La possibilità di passare in fretta da un titolo all'altro, con tempi di caricamento accettabili. Si invoglia al binge gaming: un approccio al gioco che scongiura la noia e la fossilizzazione su uno stesso gioco. Il binge gaming punta a tenere incollati alla piattaforma e al beneficio di Microsoft, non degli indie che serviranno a staccare dai ritmi più lenti di un open world.

Grazie all'alleanza con EA Play, Jedi Fallen Order arriverà su Game Pass Ultimate. Un deterrente per chi acquista retail?

Infine Phil Spencer ha espresso il desiderio di aggiungere al "portfolio" più videogiochi casual. Ciò significa esperienze meno profonde, più rapide, da party, e con microtransazioni. Anche se, dichiara Matty Booty (responsabile di Xbox Game Studios), è anche vero l'opposto: grazie al Game Pass si può scommettere su titoli coraggiosi e sperimentali, come Tell Me Why. Non che a certi studi, collaudati come Dontnod, servano reti di sicurezza per lanciare giochi politicamente impegnati.

L'altra faccia della sostenibilità è quindi un mondo che si regge sulla frequenza e durata delle sessioni di gioco; sui guadagni per mezzo di DLC e microtransazioni (stiamo parlando anche di EA Play dopotutto); sulla predilezione di game as a service; sull'acquisizione di dati utente al fine di sostenere Microsoft in quanto Microsoft, e non Microsoft in quanto piattaforma videoludica.

Questo perché gli sviluppatori vengono pagati sulla base di anticipi, download e uso da parte dei giocatori. Per non fermare le vendite, Microsoft offre agli abbonati uno sconto del 20% per acquistare quei giochi fuori catalogo. Ma chi rischierebbe di comprare un Jedi Fallen Order, sapendo che in un secondo momento potrebbe finire, come è successo, nel Pass?

Sta all'utente accettare o meno tutti questi contrappassi, perché è dalla domanda che si rimodella il mercato. I pregi, è vero, possono bilanciare e sono sotto gli occhi di tutti. Con i giochi nel Pass che sfruttano la funzione di Smart Delivery, per esempio, Microsoft punta alla nascita di un servizio permanente, capace di superare la sfida del tempo e interconnettere più generazioni di console.

Con Project xCloud l'ecosistema Microsoft è versatile e adatto a tutti.

Game Pass dà poi maggiore visibilità agli indie, nonostante rischino di abbandonare il catalogo in caso di insuccesso. C'è una tutela del consumatore mai vista prima, perché ogni gioco fa da demo a sé, e deve reggere con forza il giudizio dei giocatori. Si riduce il rischio di incappare in acquisti dispendiosi ma deludenti. E si ha la possibilità di testare e scoprire nuove serie, un'occasione per i publisher di fidelizzare un nuovo pubblico. Dal provare Resident Evil 7 a comprare RE: Village, il passo è breve.

Jim Ryan di Sony ha ammesso che rilasciare al day-one un gioco in abbonamento non è sostenibile. Non è sostenibile, ovviamente, per gli sviluppatori e la compagnia. Gli utenti gioirebbero ma il prezzo medio di una produzione tripla A si aggira, quando non li supera, attorno ai 100 milioni di dollari. Addirittura Karl Slatoff, presidente di Take Two (che nella sua orbita trattiene 2K e Rockstar), ritiene basso il prezzo di 70 dollari a videogioco, pur tenendo a mente i desideri dei consumatori.

Prezzi così proibitivi danneggiano il settore: con l'aumento di prezzo diminuiscono i clienti e allo stesso tempo proliferano tutti quei free-to-play di più facile accesso, ma con meccaniche predatorie di varia impostazione. Si pensa dunque che la soluzione più efficace, per raggiungere la sostenibilità, sia la coesistenza di ottime esclusive, da vendere al dettaglio, e ottimi sistemi di abbonamento, da ritenere un supporto secondario. Microsoft non è del tutto d'accordo, perché ha invertito il paradigma: le esclusive rientrano nel pass e l'abbonamento viene prima di tutto.

Da un lato la potenza di Series X, dall'altro la convenienza di Series S.

Diversi sviluppatori si ritengono soddisfatti dai benefici ottenuti con Game Pass. Mike Rose di No More Robots, a GameDaily, ha dichiarato che le vendite del multiplayer Descenders sono quadruplicate, come se avesse avuto una seconda vita. Chris Wright, di Fellow Traveler, ha visto in Game Pass un ottimo sistema complementare, per rinforzare il successo di Genesis Noir, Orwell e Stillness of the Wind. Dan Da Rocha di Jaw Drop Games ritiene utile l'anticipo di Microsoft, mentre Simon Byron di Curve Digital nota che i giocatori che han provato Human: Fall Flat, non erano habitué del genere puzzle.

Sorge infine una domanda. L'accesso libero a tutti questi giochi può rendere l'utente un consumatore passivo? Non avviene in una biblioteca. Parlare di un appiattimento del mercato non è realistico, perché non è Game Pass che ha inventato i DLC e i GaaS, e perché gli indie fanno fatica a farsi notare proprio per la loro natura di prodotti indipendenti. Anzi, un utente che non sia abituato a distaccarsi dai tripla A, potrebbe farlo e rimpolpare il mercato videoludico nel suo insieme.

In genere le esperienze sembrano positive ma non dobbiamo smettere di chiederci cosa succeda a coloro che restino al di fuori del Pass. Cosa sono cento, duecento giochi, se confrontati ai generi, alle avventure, alle saghe uscite per il nostro medium? Logica vuole che tutto il resto rimbalzerebbe da un sistema non sostenibile all'altro, per poter far fronte a una muraglia di giochi troppo economici e distribuiti tutti insieme. L'impressione è quindi che Game Pass sarebbe sostenibile qualora diventasse egemonico, così da escludere microtransazioni e varianti, ma un mercato senza concorrenza non esiste e non sarebbe sostenibile per sua stessa natura.

Fable, un'altra esclusiva destinata all'abbonamento.

In altre parole, Game Pass sembra una buona alternativa a ciò a cui siamo abituati, e non è certo un patto col diavolo. Ma non è la soluzione. È qualcosa di incredibile per l'utente, ma una stella di neutroni per il settore: piccola ma densa, troppo densa, per poterci vivere intorno. Game Pass è e sarà l'asso di Microsoft, la sua "killer app", ma la concorrenza continuerà ad essere la solita concorrenza. Potrebbe piegarsi, per esempio potenziando Ps Now, ma avrà i suoi soliti punti di forza, nel solito Far West. Ancora una volta, esclusive contro servizi.

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A proposito dell'autore
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Antonino Fiore

Contributor

Classe 1993, in squadra dal 2018. Ha scoperto i videogiochi con i floppy dell’Amiga e da allora vive, sbalzato temporalmente, una generazione indietro. Dalle avventure grafiche agli horror, è un accanito retrogamer e un vorace escapista. Con gli anni ha realizzato d’essere, più che altro, un semplice Homo Ludens. Megaman e Suikoden sono i suoi punti deboli.

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