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Videogiochi e Hollywood, una relazione virtuosa - articolo

Christopher Nolan ai Game Awards è la conferma che non si torna indietro.

La serata dei Game Awards 2020 non sarà stata tra le più memorabili della storia videoludica, ma è riuscita a creare momenti di incredulità e ilarità pura. La Masamune di Sephiroth che quasi uccide Super Mario. La London Philarmonic Orchestra che si cimenta in un medley epico, sbilanciato dal tema di Animal Crossing. La continua invadenza di Pokémon Go. Lo screen time dedicato al Muppet Olaf, il cuoco svedese...

Una delle sequenze più assurde, che con il senno di poi ha più implicazioni, l'abbiamo avuta con la comparsa del faccione bonario di Vin Diesel, in CGI, in un lungo reveal trailer dedicato ad Ark II. Ma al di là della comicità involontaria di un Vin Diesel che ritrova gli addominali perduti, al di là dell'affetto di un pubblico che l'aveva già visto nel videogioco Wheelman (2009), e al di là della sorpresa di vederlo alle prese con un T-rex, l'attore non era da solo.

Infatti l'annuncio dello studio Wildcards è stato immediatamente seguito da alcune sequenze di Ark: The Animated Series, che coinvolge al doppiaggio personalità del calibro di Elliot Page, David Tennant, Russel Crowe, Jeffrey Wright (dritto da Westworld) e Malcolm McDowell. Troppi nomi in una volta? Abituiamoci. Sarà la norma. Il settore videoludico fa venire l'acquolina in bocca. E non poca.

Il profilo Twitter The Game Awards ha lanciato un premio interno al premio, degno di Inception.

Tra gli invitati ai Game Awards abbiamo visto Gal Gadot, Brie Larson, Tom Holland, John David Washington e ovviamente Keanu Reeves. Presenze che hanno in comune l'appartenenza al filone pop, sci-fi e supereroistico. Prendiamo Tom Holland, per esempio, che da amichevole Spiderman di quartiere, dopo aver pubblicizzato Final Fantasy XIV, presto diventerà Nathan Drake. Proprio perché sono volti familiari sanno di conquista, e non di endorsement da parte di quel fratellastro chiamato cinema.

Reggie Fils-Aime, Jacksepticeye e i candidati ai premi erano tra i pochi invitati di rilievo appartenenti al mondo videoludico. Una mancanza che non deve preoccupare. Bisogna infatti tener conto della volontà dell'host: Geoff Keighley negli anni è riuscito a creare un evento ambizioso, che punta al successo e al riconoscimento complessivo del medium videoludico. E ci è riuscito proprio perché cerca i punti di contatto tra il suo pubblico attuale e quello non ancora raggiunto.

La presenza di Cristopher Nolan è stata la più rilevante, per certi aspetti simbolica. Annunciando The Last of Us 2 come Game of the Year, ha fatto da contrappeso alla presenza di Hideo Kojima come giudice della settantasettesima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. La sinergia cinema e videogiochi è stata sdoganata una volta per tutte, e non si torna indietro.

Elliot Page e Willem Dafoe in Beyond: Due Anime (2013)

Il discorso di Nolan può sembrare scontato per un gamer, ma è necessario per chiunque avesse ancora dei dubbi: "Sono da sempre interessato a storie che immergono il pubblico, con film che si sviluppano in maniera inaspettata e trascinano le persone dentro un mondo. Quando guardo ai videogiochi vedo molti parallelismi con questa tipologia di narrativa, nel modo in cui la volontà e le scelte dei giocatori si intersecano con la narrativa più tradizionale. È emozionante da vedere e piuttosto rivoluzionario". Quanto di Quantum Break, Prince of Persia oppure Braid c'è nel tanto discusso Tenet, di cui il pubblico potrebbe non accorgersi?

Hollywood non può più fare a meno dei videogiochi, e i videogiochi non possono più fare a meno di Hollywood. Ci sono registi videoludici che prendono a piene mani dal linguaggio del cinema, come David Cage e Kojima stesso, ma avviene anche il contrario. Ricordate la sequenza da sparatutto in John Wick 2? Un corridoio sotterraneo in piena Roma, in cui il protagonista prende e lascia al volo le armi, così come avverrebbe in Doom. Il suono costante dei caricatori che si scaricano, la visuale che pressa sulla spalla, la ricerca dell'head shot e delle coperture.

I tempi sono cambiati. Sono lontani gli anni del Max Payne di Sam Lake, degli attori "senza nome" dell'opening di Resident Evil, dei cameo che sembravano rarità (come Jean Reno in Onimusha 3). Ci siamo anche abituati a vedere, nei videogiochi tratti da film noti, protagonisti poligonali identici alle controparti cinematografiche: pensiamo agli adattamenti della saga di Harry Potter e del Signore degli Anelli di Peter Jackson. Il cinema ha già scavalcato i libri, perché crea un immaginario condiviso.

Jean Reno in Onimusha 3 (2004)

Con i nuovi sviluppi grafici e le più precise tecnologie di motion capture, i videogiochi hanno bisogno di molti più attori, e soprattutto di professionisti capaci di emozionare. Giungono in soccorso le star. Per fare alcuni nomi: Norman Reedus e Mads Mikkelsen (Death Stranding), Willem Dafoe ed Elliot Page (Beyond: Two Souls), Rami Malek (Until Dawn) e Jon Bernthal (Call of Duty). Non più collaborazioni occasionali, quindi, ma strategie. Veri e propri contratti capaci di spostare il mercato. "Mozzafiato", no?

Gli attori scelgono di apparire in videogiochi non soltanto perché conoscono il loro pubblico, ma perché sceneggiature del calibro di The Last of Us 2 non sfigurerebbero per niente nel loro curriculum. Con Twitch che dimostra che i videogiochi sono sempre più social, sempre più amati e sempre più diffusi, anche i numeri dell'industria allettano. I videogiochi offrono possibilità nuove: un attore non deve imparare a recitare in modo diverso, non ha bisogno di stunt man e non deve temere un regime alimentare particolare per vestire i panni di un action hero muscoloso e atletico.

Il cinema non riesce sempre a capitalizzare i franchise tratti dai videogiochi, ma quando ci riesce è eclatante. The Witcher di Netflix ha dato una spinta considerevole alla carriera di Henry Cavill, che dopo una partenza in compagnia di Woody Allen, negli ultimi anni viveva all'ombra di un uomo d'acciaio che non funzionava. Warcraft - L'inizio, al netto di giudizi di critica non proprio gentili, ha su Metacritic un user score di 8,2 e con i suoi 433,6 milioni di dollari ha incassato abbastanza da potersi ritenere un successo. Detective Pokémon e Sonic the Hedgehog, una volta azzeccata la ricetta, hanno avuto il loro momento di gloria.

Takeshi Kitano in Yakuza 6 (2016)

I videogiochi vivono una situazione simmetrica. Prendiamo Telltale Games come esempio. Il suo Game of Thrones è passato sotto il radar dei fan della serie tv, nonostante questa sia stata sia stato un fenomeno socioculturale esplosivo e dirompente, prima di accartocciarsi su sé stessa. Back to the Future: The Game, nonostante la partecipazione dell'unico e solo Doc e la sceneggiatura di Bob Gale (la spalla di Zemeckis), è un'avventura grafica di nicchia.

Ma per quanto riguarda The Walking Dead Season One? Ispirandosi più alla serie tv che al fumetto, è diventato uno dei giochi più premiati della storia videoludica, a partire dal VGA 2012. Oltre ad essere un gioco innovativo, capace di svecchiare alcune formule datate delle avventure interattive e di farsi carico di una storia commovente e avvincente.

Questo significa che quando cinema e videogiochi riescono a prendere il meglio l'un dall'altro, senza perdere la propria identità, i risultati sono spettacolari. La vicinanza dei due media sarà sempre più sfumata, ma non per questo si annullerà il gameplay. L'interattivo Bandersnatch di Black Mirror e le timeline di Detroit: Become Human, sono vicini tanto quanto lo sono John Wick e Call of Duty, che tra l'altro nasce influenzato da classici come i Cannoni di Navarone (non sarebbe lo stesso gioco se non avesse avuto radici nel cinema di guerra).

Hellblade: Senua's Sacrifice (2017) segna una prima e vistosa evoluzione del facial mocap.

Chi pensa che si debba fare un passo indietro, e tornare di netto ai soli personaggi originali, dimentica che a fare un protagonista è ben altro. Lara Croft ha molteplici aspetti, e non solo per via dei reboot, ma per via dell'evoluzione degli hardware. Chris Redfield, tra un capitolo e l'altro di Resident Evil, non ha mai avuto le stesse sembianze, perché è definito da altri tratti più generici. Molteplici volti non sono prerogativa di James Bond: anche i videogiochi possono creare eroi senza tempo a partire, perché no, da un attore potente come lo fu Sean Connery.

La qualità dei doppiaggi e delle animazioni facciali non potrà che migliorare. Il cinema avrà una CGI sempre più convincente. E chissà, un giorno l'ambiente VR sarà assoluto come quell'OASIS visto in Ready Player One. Ma accontentiamoci intanto dei risultati immediati: interagire con chi credevamo irraggiungibile.

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A proposito dell'autore
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Antonino Fiore

Contributor

Classe 1993, in squadra dal 2018. Ha scoperto i videogiochi con i floppy dell’Amiga e da allora vive, sbalzato temporalmente, una generazione indietro. Dalle avventure grafiche agli horror, è un accanito retrogamer e un vorace escapista. Con gli anni ha realizzato d’essere, più che altro, un semplice Homo Ludens. Megaman e Suikoden sono i suoi punti deboli.
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