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Curse of the Dead Gods - recensione

Meglio non aprire quella porta...

Oggi il genere roguelike rappresenta un vasto mondo popolato da videogiochi molto simili tra loro, che cercano di differenziarsi nella giungla del mercato con qualche spunto di originalità.

È capitato con Hades, che ci ha conquistato con il suo design pittoresco, immergendoci nel crudele pantheon ellenico e mettendoci nei panni di Zagreus. E capita ora con Curse of the Dead Gods, che in comune col fortunato titolo dei Supergiant Games ha un periodo di accesso anticipato, ormai fondamentale per garantirsi una solida base di fedelissimi anche prima della data di pubblicazione.

Il team francese Passtech Games ci porta all'interno di un tempio precolombiano che è meglio non sottovalutare. Attirati dal luccichio di una montagna d'oro azteco, veniamo accolti al suo interno dalla malvagità di T'amok, Yaatz e Sich'al, le antiche divinità a protezione del tesoro.

Impersonando Caradog McCallister, un coraggioso esploratore inglese, possiamo fare affidamento su una rivoltella, un machete e una torcia che illumina degli stretti corridoi disseminati di trappole mortali. Per sopravvivere non basta proseguire o guardare dove mettiamo i piedi: dobbiamo saperci difendere e uccidere.

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Con una visuale isometrica tipica del miglior Diablo vecchia scuola, Curse of the Dead Gods fa parte di quegli action roguelike che riescono sempre a far parlare di sé. Spesso è merito di un gameplay intuibile e infiorettato con le solite botte da orbi, mentre in altre situazioni coesiste una caratteristica originale e imprescindibile che lo differenzia dagli altri cugini del genere. L'occasione vuole che Curse of the Dead Gods sia un buon insieme dei due elementi, pur non innovando il genere, già purtroppo saturo da produzioni simili.

Il suo sistema di combattimento è semplice e funzionale, non impegnativo come ci si aspetterebbe da un roguelike. Se utilizziamo un'arma corpo a corpo come il machete, è meglio calcolare il momento adatto per caricare un colpo potente per sgominare più nemici. Lo stesso vale per la rivoltella, in grado di salvarci il collo in situazioni sul filo del rasoio: adoperandola con parsimonia, si possono utilizzare metodi d'approccio differenti. Con la torcia è meglio accendere i bracieri per indebolire le belve evocate dagli spiriti del male, acquisendo in questo modo una protezione ulteriore dalla stregoneria e dalle trappole nascoste pronte ad azionarsi per complicarci la vita.

A mancare sono gli attacchi speciali, che avrebbero garantito al battle system una maggiore spettacolarizzazione nelle fasi più concitate, oltre a una varietà di combo che avremmo gradito per non premere in maniera compulsiva i soliti tasti d'attacco. Per difenderci possiamo sfruttare il parry, utile se si è circondati dai nemici. In caso non fossimo pratici dopo anni e anni sui Souls, la schivata è sempre la scelta migliore. In tal senso, meglio non esaurire il vigore, a meno che non si abbia troppa fretta di morire.

La nostra avventura inizia da un ingresso che non promette nulla di buono.

Sfruttando l'ambiente circostante possiamo attirare i nemici nelle trappole così da rifiatare e poi attaccare, distruggendoli senza alcuna pietà. La varietà dei nemici è davvero modesta considerati gli altri titoli concorrenti sul mercato, pur regalando delle bossfight moderatamente impegnative nel corso della nostra avventura all'interno della piramide. Sfortunatamente non sono nulla di entusiasmante dal punto di vista dell'originalità, ed è questa la critica maggiore che muoviamo alla produzione.

Ad averci colpito è ciò che ruota attorno alla preparazione del personaggio perché offre delle buone scelte con cui approcciarci alle varie zone, come abbiamo già vissuto in Slay the Spire. In un'ampia sala (l'hub principale) possiamo potenziare e scegliere i doni raccolti nel corso dell'esperienza preparandoci a dovere per affrontare i passaggi più intricati. Morire è inevitabile, soprattutto nelle prime ore, ed è per questo che non bisogna sottovalutare quest'ala del tempio.

Purtroppo la difficoltà si abbassa avanzando nell'esperienza. Potenziandoci e spendendo più teschi, è inevitabile che da esploratori spaventati si diventi dei Kratos che parlano azteco, con la sua stessa verve per la violenza gratuita. E proprio come accade al Fantasma di Sparta sono le maledizioni a rovinare il nostro bel presente.

Nell'inventario possiamo controllare le armi equipaggiate e i danni che infliggono.

La meccanica inserita dal team francese è originale: riempiendo la barra a destra dell'hud principale, ci avviciniamo sempre di più alla morte, che arriva lentamente dopo aver oltrepassato le porte del tempio che ci conducono a una nuova stanza, con altari in cui possiamo offrire del sangue o dell'oro, a seconda delle necessità.

Il titolo ci obbliga in questo modo a compiere delle scelte per arrivare al boss della zona, preparati e armati di tutto punto, e con la sola intenzione a uscire vincitori dallo scontro per poi continuare l'esperienza.

Ma se la barra della maledizione si riempie, morire è assicurato: per impedirlo è necessario utilizzare delle strategie oculate, lasciandoci alle spalle dei pezzi di equipaggiamento per proteggerci o acquisire un'arma a due mani in più, in modo da infliggere dei danni ulteriori ai nemici che ci troviamo di fronte. In caso di fallimento, veniamo nuovamente condotti all'ampia sala in cui accediamo alle aree del gioco, recuperando delle armi casuali dal banco. A non lasciarci mai, come unica ancora di salvezza, è la nostra torcia.

Se ci sono dei complimenti da fare, è d'obbligo menzionare la direzione artistica, che sorprende per il suo design e i colori vivaci delle strutture in pietra che sovrastano i corridoi del tempio nonché la fitta nebbia che cela dei nemici pronti a tutto per impedirci di avanzare.

Di maledizioni ce ne sono tante e sono tutte casuali. Meglio fare attenzione a come ci muoviamo, se non vogliamo lasciarci il collo.

Sul versante tecnico non c'è nulla da eccepire: il porting su Nintendo Switch è stabile e non rallenta, mantenendo il livello del framerate fisso sui 30fps come da manuale. I comandi rispondono immediatamente, sebbene possano trarre in inganno durante le fasi più concitate del combattimento quando selezioniamo la torcia e le armi primarie e secondarie, generando un po' di confusione.

Curse of the Dead Gods è un gioco semplice e ispirato ad altri titoli del genere, che non ha osato come Hades nel sorprendere pubblico e critica. La meccanica inerente alle maledizioni è originale e ci pone di fronte a delle scelte, da intraprendere con attenzione per arrivare alla fine delle aree prima che possano costarci la vita nel corso delle dieci ore per concludere l'esperienza. Il sistema di combattimento è godibile, nonostante non riesca a offrire il massimo del suo potenziale.

Se siete alla ricerca di un titolo su cui investire poco tempo, Curse of the Dead Gods può fare al caso vostro, garantendo delle ore di divertimento in attesa di titoli più blasonati.

7 / 10