Se clicchi sul link ed completi l'acquisto potremmo ricevere una commissione. Leggi la nostra policy editoriale.

Bugs Bunny Lost in Time e il gaming che non esiste più

Quando il passato è veramente passato.

Mettere Bugs Bunny: Lost in Time nel titolo di un articolo è un po' come fare un immenso clickbait. Anche perché sì, in questo articolo ci sarà anche Bugs Bunny: Lost in Time, ma la verità è che si tratta di un pretesto per parlare di un mercato dei videogiochi che non esiste più, di un'epoca fatta di acquisti istintivi e ingiustificati, di prodotti semplici e poco pretenziosi, di un pubblico aperto a qualsiasi esperienza.

Se avete cliccato, probabilmente, è proprio perché avete più di qualche ricordo legato a Bugs Bunny: Lost in Time, titolo classe 1999 sviluppato per Sony PlayStation da Behaviour Interactive, oggi nota per Dead by Daylight, e pubblicato dall'ormai dimenticata Infogrames. Un titolo in cui si vestivano i panni del coniglio più famoso del mondo, andando a spasso fra le epoche storiche che hanno caratterizzato l'animazione dei Looney Tunes, raccogliendo carote dorate e affrontando nemici leggendari.

Bugs Bunny: Lost in Time, per qualche strana ragione, è un videogioco che è rimasto impresso a fuoco nella memoria di milioni di appassionati. Un videogioco che su GameRankings poteva vantare una media attorno al 6, che non metteva sul piatto meccaniche rivoluzionarie, che si srotolava lungo un sentiero di piccole problematiche legate al gameplay.

A volte basta un'immagine per mettersi le mani nei capelli. Ma anche per perdersi nel fiume dei ricordi.

Eppure era Lost in Time, e dai, chiunque abbia avuto una PlayStation ha giocato a Lost in Time, e probabilmente molti di quei videogiocatori stavano vivendo la classica fase di luna di miele con la console, prendendo il 100% da qualsiasi cosa gli capitasse sotto mano, vivendo al massimo l'esplosione della meraviglia infantile, conservando tonnellate di ricordi preziosi legati a quei momenti spensierati.

Poi c'è la questione dei numeri reali del mercato dei videogiochi. Siamo abituati a leggere valanghe di stime sul numero di copie vendute, sugli incassi delle software house, sulla quantità di download di una singola esperienza. Allora questi dati esistevano ma venivano trattati con i guanti di velluto, e spesso e volentieri erano del tutto incapaci di valutare la reale diffusione dei prodotti.

Anche se oggi facciamo finta di niente, e trattiamo le grandi esclusive PlayStation come titoli capaci di vendere "solamente" 10 milioni di copie a fronte del centinaio di milioni di console piazzate, i numeri reali del mercato di casa Sony erano in realtà ben più sostanziosi. La scelta del CD-Rom, pur rivelandosi vincente nel corso del tempo, ha infatti aperto i battenti al mercato della pirateria, che nel giro di pochissimi anni ha raggiunto dimensioni spaventose.

PSX è stata "chippata" nel giro di un anno dal momento della release ufficiale, e si stima che nel 1998 almeno il 20% della base installata facesse uso di software pirata, con picchi ancor più elevati in Europa e in Sud America. Ciò significa che, in potenza, alcuni titoli PlayStation potrebbero aver vissuto il quadruplo della diffusione stimata attraverso i dati degli analisti, e non è da escludere che l'opera dedicata a Bugs Bunny abbia avuto lo stesso destino, affiancando produzioni come Hugo o Rescue Shot.

Non mentite: sappiamo che avete visto questa schermata!

Se i nomi Hugo e Rescue Shot vi dicono qualcosa, è probabilmente perché costituiscono due fra i titoli PlayStation più piratati di tutti i tempi, capaci di raggiungere una diffusione tale da riposare anche al di sotto di altre copertine. Ciò significa che la nonna, al mercato, andava alla bancarella dei videogiochi masterizzati convinta di star comprando il nuovissimo episodio di Pokémon per Sony PlayStation, ma alla fine il nipotino si trovava per le mani l'avventura del coniglietto di Rescue Shot, magari raccontata in giapponese.

Tutto ciò per dire che riuscire a leggere l'effettiva popolarità raggiunta dai titoli PSX è un compito estremamente arduo, ma non è detto che questo sia il caso di Bugs Bunny. Del resto stiamo parlando di Bugs Bunny, mica dell'ultimo arrivato, un personaggio che ai tempi del lancio giocava a basket contro i Monstars insieme a sua altezza reale Michael Jordan.

Ma torniamo a Bugs Bunny: Lost in Time: per metà platform, per metà collectathlon, al 90% titolo su licenza Looney Toones, al 10% una fucina di strambe meccaniche di gioco. È difficilissimo valutare oggi quanto sia riuscita l'operazione Lost in Time, perché il fiume dei ricordi degli appassionati deve confrontarsi con un'opera al limite della sufficienza sotto tanti, troppi punti di vista.

Dalla telecamera ingestibile fino al sistema di controlli tutt'altro che precisi, il tessuto tecnico che si srotolava fra il mondo "Da nessuna parte" e la galassia di Marvin il Marziano era a tratti da mani nei capelli. Ed è per questo motivo che oggi parliamo di un gaming che non esiste più, perché all'epoca passare sopra limiti di questo genere era la normalità, e anzi, il pubblico riusciva a costruire straordinari ricordi su fondamenta più che mai fragili.

Bugs Bunny Lost in Time, ricordiamolo, è uscito un anno dopo Crash Bandicoot 3: Warped.

Un caso che mi è particolarmente caro è quello di Star Wars: Episodio I - La Minaccia Fantasma, sviluppato da Big Ape Productions e pubblicato nel 1999 da LucasArts per Windows e PlayStation. Questo titolo era un acquisto obbligatorio per qualsiasi giovane fan della saga, o meglio, per chiunque fosse abbastanza giovane da riuscire ad apprezzare gli esordi della seconda trilogia cinematografica di Lucas.

Il problema? Anche La Minaccia Fantasma era un videogioco costellato di tonnellate di difetti e imperfezioni, raccontato attraverso una telecamera a dir poco ingestibile e costruito su una formula di gameplay che faceva acqua da tutte le parti. Le dinamiche da action cozzavano con la possibilità di osservare solamente i pochi metri a ridosso del protagonista, mentre una lunga serie di sfortunate velleità da platform dovevano scontrarsi con un sistema di salto e movimento a dir poco impreciso.

Ma sotto questo scheletro traballante si nascondevano anche interessanti sezioni di gioco vicine all'ispirazione RPG, decine di piccoli segreti celati ai margini delle mappe e diversi easter egg studiati per stuzzicare la fantasia degli appassionati. Quanto bastava per trasformare un simile accrocchio instabile in un'esperienza coinvolgente, al limite del memorabile per coloro che ci si persero nell'era dei 64 bit.

Ed è proprio questo il punto che ci interessa toccare: oggi non c'è più spazio per i mediani, il mercato non perdona la mediocrità, non è disposto a chiudere un occhio, tanto che persino i progetti "AA" devono necessariamente incarnare un certo grado di misura artistica per poter sperare di conquistare uno spazio sulle console. Oggi un prodotto viene consumato rapidamente e finisce per essere destinato a sole due categorie: o è un bel videogioco o fa schifo.

La Minaccia Fantasma per PSX è il mio personale peccato segreto. Qual è il vostro?

Questa polarizzazione rappresenta il vero volto del problema che sta affliggendo il mercato videoludico contemporaneo, e non solo quello. Non vogliamo aprire un'ulteriore digressione ma sta di fatto che ormai persino le conferenze e i direct organizzati dai più grandi publisher sono soggetti a questo procedimento di classificazione, riducendosi unicamente a strepitosi successi o clamorosi fallimenti. Bisogna azzeccare tutto, altrimenti sarebbe stato meglio non presentarsi affatto sul palcoscenico.

E come dovremmo valutare, oggi, brand come Gex, o Croc, ma anche nomi blasonati come Medievil e Spyro, che hanno raggiunto la dimensione della massa pur portandosi appresso spigoli impossibili da limare persino nei confini di un remake? In passato siamo stati capaci di passare sopra ai difetti e costruire un rapporto speciale con decine e decine di opere imperfette, mentre oggi ci ritroviamo a fare le pulci a qualsiasi progetto, risolvendolo nella memetica e quasi "godendo" degli scivoloni degli sviluppatori. E più gli sviluppatori sono grossi, più rumore fanno quando cadono.

Ora si potrebbe alzare il sipario su un ulteriore strato della discussione, cercando le ragioni occulte dietro il cambio di paradigma di cui si è reso protagonista il pubblico di massa. Forse è una questione economica, strettamente legata all'evoluzione finanziaria del medium e alla presunta consapevolezza che accompagna gli acquisti degli appassionati. Forse è una questione culturale, vicina a quella straordinaria quanto inquietante esplosione social che ha fortemente cambiato l'approccio critico a qualsiasi prodotto.

Oggi bisogna essere perfetti. Ma per quanto ci si sforzi non è mai abbastanza e qualcuno è sempre scontento.

Ma risolvere l'equazione non è l'obiettivo di questa analisi. Lo scopo, invece, è quello di riflettere sulle opere con cui abbiamo formato un forte legame affettivo, quei titoli che sì, magari sono imperfetti, che risulterebbero addirittura inaccettabili secondo il canone contemporaneo, ma che sono riusciti ad imprimersi a fuoco nella nostra memoria, talvolta anche nel mercato di massa. Di riflettere sul fatto che forse, in quanto comunità, siamo diventati esigenti al limite del pignolo.

Adesso lo chiediamo a voi: c'è qualche videogioco "mediocre", o perlomeno facilmente attaccabile, che ha segnato la vostra carriera da videogiocatori? Ecco: come reagireste se quel videogioco venisse rilasciato oggi?

Sign in and unlock a world of features

Get access to commenting, newsletters, and more!

Related topics
A proposito dell'autore
Avatar di Lorenzo Mancosu

Lorenzo Mancosu

Editor-in-Chief

Cresciuto a pane, cultura nerd e videogiochi, i suoi primi ricordi d'infanzia sono tutti legati al Super Nintendo. Dopo aver lavorato dentro e fuori dall'industry, è finalmente riuscito ad allontanarsi dalle scartoffie legali e mettere la sua penna al servizio di Eurogamer.it.

Commenti