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Lust from Beyond - recensione

Orrore cosmico ed erotismo nel secondo capitolo del Lust Universe.

Negli ultimi anni i giochi ispirati da Lovecraft si son fatti frequenti e puntuali come un orologio svizzero. Questa congestione ha un lato positivo, perché gli sviluppatori stanno riuscendo a distaccarsi dalla triade (più che abusata) formata da Dagon, Hydra e Cthulhu, per esplorare tutte le altre creature e implicazioni dell'enorme pantheon dello scrittore di Providence. Ma se da un lato si tentano nuove tipologie di racconti, come nei recenti Transient e Call of the Sea, non si può dire che il gameplay stia evolvendo particolarmente, ancorato a formule spesso rudimentali.

Movie Games Lunarium è un team polacco con evidente voglia di crescere, e già con Lust for Darkness (2018) aveva cercato di mettere in scena un proprio pantheon di essere cosmici, di chiara matrice lovecraftiana. Il tutto all'interno di un'esperienza disturbante, capace di fondere orrore psicologico ed erotismo. Oggi, a tre anni da quel primo tentativo, cercano di espandere il Lust Universe con Lust from Beyond, un sequel diretto che rifinisce le carenze grafiche del predecessore e amplia la storia dei suoi protagonisti. Il gameplay, in prima persona, alterna puzzle, stealth e fughe rocambolesche, allontanandosi dal tipico walking simulator.

Avvisiamo sin da subito: non è un gioco narrativamente facile. Il mix proposto da Lunarium è originale e coraggioso, è vero, ma supera più volte il confine che separa l'erotismo estetico alla Eyes Wide Shut dal porno vero e proprio. In altre parole, non solo non è adatto a tutti (al di là dell'età), ma è anche un titolo con molte zone d'ombra, che vanno dalla scrittura superficiale (pur trattando di temi complessi e delicati) alla vera e propria deriva gore.

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Inoltre, l'eccesso di momenti visivamente disturbanti e grotteschi, alle volte fa il giro, tanto da trasformarli in qualcosa di ridicolo agli occhi di chiunque si astragga dal gioco e valuti i modelli tridimensionali per quel che sono. Lust from Beyond, cioè, pecca di comicità involontaria, principalmente a causa di animazioni e modelli tutto sommato buoni, ma nel range di quel che ci si aspetterebbe da un indie e non adatti a un contesto così temerario. Un male per un prodotto che vuole essere horror e sensuale al tempo stesso.

Ma andiamo con ordine. La trama, che può essere compresa anche da chi non ha giocato il capitolo precedente, segue le vicende dell'antiquario Victor Holloway. In cerca di uno psicologo che lo aiuti ad affrontare la dipendenza sessuale, raggiungerà la città di Bleakmoor. Qualcosa ovviamente non quadra, a cominciare dalla segnaletica di benvenuto che fa un po' Silent Hill e un po' Bright Falls, e Victor si troverà nel mezzo della guerra tra Culto dell'Estasi e Loggia Rossa. Da questo momento in poi sarà un crescendo di puzzle e scontri con cultisti e mostruosità. L'intreccio è buono, pieno di azione e tensione, ma pecca di dialoghi poco sottili.

Victor, oltre ai classici punti vita, ha una barra che indica la sanità. Come in Amnesia (o nel cartaceo Call of Cthulhu), osservando qualcosa di spaventoso il valore diminuisce. Più la sanità sarà bassa, più la visuale sfocherà e i comandi del personaggio sfuggiranno al giocatore, per esempio invertendosi. Quando una delle due barre giunge a zero, è Game Over. Un'altra barra da tenere a mente è quella dell'Essenza, che permette di interagire tramite QTE (più tediosi che interessanti) con degli interruttori nella dimensione aliena di Lusst'ghaa.

La tenuta vittoriana del Culto dell'Estasi è un luogo affascinante e intricato.

Il primo impatto con gli scenari è ottimo, complice il minuzioso lavoro di sound design, ma purtroppo scade nella ripetitività. La villa del Culto dell'Estasi è un intricato vorticare di stanze segrete ricche di dettagli, quadri e statue: qui passerete gran parte del vostro tempo, interagendo con gli NPC e cercando oggetti per risolvere gli enigmi secondari, che sbloccano oggetti curativi, achievement o scene extra. Più che un hub, è letteralmente il corpo centrale del gioco. Fuori piove, alle volte udirete le risate o i canti del culto, il legno e i letti scricchiolano. Ma non aspettatevi molto più rispetto a quanto visto nel Prologo del gioco: un capitolo extra, introduttivo, gratis su Steam.

Bleakmoor è una città stravolta dal culto, dalle insegne al neon e diversi carri circensi sparsi in giro. Qui avverranno le sezioni di gioco più classiche, all'interno degli edifici o per le strade. Quando il culto vi starà braccando, potrete scappare o accovacciarvi per non far rumore. Lo stealth è sbilanciato, in favore del giocatore, e permette di uccidere facilmente (a colpi di coltello) gli avversari. Con una torcia potrete illuminare gli anfratti bui e ci saranno documenti, qua e là, che approfondiranno la storia della Loggia. Purtroppo, le fasi di gioco in questa zona rivelano il riutilizzo di asset e modelli poco dettagliati.

Infine c'è la già citata Lusst'ghaa, la dimensione aliena e terra promessa ricercata dal culto. È ricca di puzzle che ricordano le scene oniriche di Conarium. È basata sulle strutture arzigogolate tipiche di artisti come Beksinski e Giger (che conoscerete per Alien): volti urlanti, pareti di ossa e carne, strane protuberanze tentacolari, curve e dettagli poco leggibili. Anche in questo caso, se il primo incontro con questa dimensione è capace di disturbare e inquietare, col tempo gli scenari si ripetono e le minacce si rivelano per quel che sono: creature lente, innocue o che crollano con soli due colpi di coltello.

Lo Scarlet è un locale che è possibile visitare anche nell'omonimo spin-off gratuito.

La triplice natura del gioco è paradossalmente il suo limite, nulla è approfondito e avvincente fino in fondo. Villa, Bleakmoor e Lusst'ghaa si alternano in maniera poco convincente, allo stesso modo di fasi puzzle, stealth ed esplorazione. Sempre per chi bazzica il genere, in termini di gameplay il paragone più immediato e calzante è con Call of Cthulhu: Dark Corners of the Earth, un gioco del 2005 col quale Lust condivide la voglia di far tutto (troppo) e di conseguenza molti difetti di bilanciamento.

L'esempio più evidente di questo limite è il gunplay. Una volta in possesso di una pistola Revolver, il giocatore non dovrà temere più nulla e la componente survival horror sparisce in un soffio. I nemici cadono con due colpi, eccezion fatta per i pochi boss. Mirare non serve e i proiettili in possesso del giocatore sono, per pigrizia di design, infiniti. O ancora, la barra dell'Essenza è inutile, poiché le risorse per ricaricarla sono sempre accanto all'interruttore di riferimento: è chiaro che non hanno sviluppato l'idea di fondo.

In sintesi, Lust from Beyond è un gioco che fa dell'horror veramente inquietante, disturbante per via dei temi trattati, ma che riesce anche a vanificare molti dei propri sforzi a causa dell'inesperienza. È coraggioso in termini di trama, ma non ha una scrittura abbastanza matura da reggerne il peso fino in fondo. È un'esperienza atipica, ma sicuramente troppo per il pubblico medio. È lovecraftiano, ma non aspettatevi il canone ormai centenario. Vuole essere erotico, ma spesso scade nel gratuito. Ha un gameplay semi aperto, con tanto di obiettivi secondari, ma è tirato giù da una ripetitività eccessiva.

Lo Scarlet è un locale che è possibile visitare anche nell'omonimo spin-off gratuito.

In conclusione, c'è del buono bilanciato da parecchie falle. Complessivamente il titolo diverte e riesce a tenere incollati fino alla fine, ma ha ampi margini di miglioramento. Al momento, dunque, l'invito è di approcciarsi con cautela, magari dopo aver provato i due capitoli demo su Steam, chiamati rispettivamente Lust from Beyond: Prologue e Scarlet. Sono brevi e in grado di dare un'idea molto precisa delle dieci ore che vi si parano dinnanzi.

6 / 10
Avatar di Antonino Fiore
Antonino Fiore: Classe 1993, in squadra dal 2018. Ha scoperto i videogiochi con i floppy dell’Amiga e da allora vive, sbalzato temporalmente, una generazione indietro. Dalle avventure grafiche agli horror, è un accanito retrogamer e un vorace escapista. Con gli anni ha realizzato d’essere, più che altro, un semplice Homo Ludens. Megaman e Suikoden sono i suoi punti deboli.

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