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I videogiochi hanno bisogno di biblioteche - editoriale

Non perdiamo i giochi a causa del digitale. Il problema è una cultura imprenditoriale indifferente alla preservazione.

Ancora una volta, la realtà ci ha messo di fronte all'evidenza: la diffusione dei videogiochi in digitale, per com'è configurata oggi, può essere un problema. Sony ha annunciato che in estate chiuderà i negozi digitali per PlayStation 3, PSP e PS Vita: non sarà possibile comprare giochi nuovi, ma gli utenti potranno continuare a scaricare quelli già acquistati in precedenza.

Non è la prima volta che succede. Altrettanto è accaduto quando l'App Store di iOS ha smesso di accettare applicazioni a 32-bit: quelle già pubblicate hanno smesso di funzionare dopo l'aggiornamento a iOS 11. Lo stesso è successo su macOS e quindi per i giochi Steam pubblicati per il sistema desktop di Apple. Ciò significa che chi non ha mai potuto giocare a quei giochi non avrà più occasione di farlo, a meno di non spulciare nel mercato dell'usato (e non è sempre facile, specialmente per le produzioni minori). Questo, in particolare, è il punto chiave della vicenda: l'accessibilità alle produzioni videoludiche.

Ci sembra normale poter rileggere un libro pubblicato dozzine di anni fa: ci sono le ristampe, per esempio, oppure le vecchie edizioni vengono conservate nelle biblioteche. Accedere a quel sapere, insomma, è facile e molto spesso gratuito perché qualcuno (dopo aver raggiunto una comune consapevolezza di quanto ciò fosse importante, soprattutto) ha deciso che bisognava farlo.

Su Xbox One e Xbox Series X e S gli utenti possono accedere facilmente, tramite Game Pass, a tre generazioni di videogiochi: ossia tutte le Xbox mai commercializzate.

Proviamo a immaginare se ogni 15 anni una biblioteca decidesse di azzerare una sezione del proprio archivio: sarebbe uno scandalo oltre che una mossa estremamente insensata. Ecco: nel mondo dei videogiochi abbiamo carenza di biblioteche; di luoghi dove il videogioco venga preservato perché è giusto farlo, a prescindere da quanto sia economicamente conveniente.

Aspettarsi che le multinazionali quotate in borsa pensino a preservare i propri negozi digitali anche quando non è conveniente farlo è utopico: non lo fanno, punto. Per questo esistono le biblioteche, le cineteche e i musei: associazioni specializzate conservano ciò che dev'essere conservato affinché chiunque, per motivi professionali, personali o educativi, possa accedervi. Non ci aspettiamo che sia Hollywood a preservare un catalogo di film né che siano i magazzini degli editori a occuparsi di conservare i libri.

In italiano non esiste nemmeno una definizione precisa del luogo dove conservare i videogiochi: abbiamo le biblioteche per i libri e le cineteche per i film; ma quando parliamo di preservare i giochi lo facciamo usando espressioni come "archivi videoludici" o "biblioteche per videogiochi": ciò dà forma al problema alla base, ossia del fatto che non ce ne siamo mai occupati più di tanto.

Nei giorni scorsi, alcuni appassionati hanno pubblicato oltre 700 demo e versioni non pubbliche di giochi PlayStation 2. Si è trattato di un lavoro immane: è servito valutare, innanzitutto, lo stato di quelle versioni; capire se servissero patch e come realizzare tali correzioni; capire se i giochi funzionavano con gli emulatori e come. E lo hanno fatto degli appassionati solo perché era giusto farlo.

Nella Cineteca di Bologna c'è l'Archivio Videoludico: da marzo 2009 a oggi ha raccolto circa 6.000 giochi.

Il digitale viene spesso accusato di essere una palla demolitrice della preservazione videoludica, ma non è vero; o almeno è soltanto un modo semplice di affrontare una questione che in realtà molto sfaccettata. Il digitale, infatti, agevola la distribuzione del mezzo videoludico; è il contesto a fare la differenza. Su Xbox One e Xbox Series X e S è possibile accedere a tutte le generazioni di giochi Xbox: solo grazie al digitale è possibile farlo tanto facilmente. GOG.com propone tantissimi classici per PC, giocabili con poche difficoltà su macchine molto eterogenee; e ciò grazie al digitale.

Anche chi si occupa a tempo pieno della preservazione dei videogiochi ha dovuto fare affidamento sul digitale perché pensare di custodire tutti i videogiochi prodotti in formato fisico è assurdo. L'Archivio Videoludico fa parte della Cineteca di Bologna. Inaugurato a marzo 2009, oggi conta circa 6.000 giochi per 36 piattaforme diverse (non hanno ancora una PS5 o una Xbox Series X|S neanche loro) tra giochi fisici e digitali. Molti produttori di videogiochi internazionali hanno contribuito a tale archivio.

"Siamo noi a farne richiesta man mano che nuovi giochi vengono pubblicati" spiega a Eurogamer.it il responsabile dell'Archivio Videoludico Andrea Dresseno. "Questo ci consente di fare una selezione, pratica per noi importante soprattutto in passato quando ci veniva fornita nella maggior parte dei casi copia fisica dei giochi. Avendo l'Archivio Videoludico uno spazio limitato, la selezione si è infatti a un certo punto rivelata necessaria."

In estate il PlayStation Store non sarà più disponibile per PS3, PSP e PS Vita.

Negli ultimi anni viene quasi sempre donata una copia digitale dei giochi, "quindi il problema della selezione è meno urgente". Non sempre è facile accedere a un titolo perché gli editori potrebbero aver esaurito le scorte di codici. "In quel caso ce lo segniamo e, budget permettendo, lo compriamo in autonomia in un secondo momento" confessa Dresseno. I giochi in formato fisico vengono conservati in vetrinette chiuse; quelli digitali vengono "scaricati all'occorrenza" sulle console tramite un account dedicato.

Quei giochi sono poi accessibili a coloro che visitano l'Archivio Videoludico. "La fruizione è solo in loco, sia perché quando l'Archivio è nato si è deciso, di comune accordo coi partner, di non consentire il prestito esterno per evitare che qualcuno potesse fare copie illegali dei giochi, sia per ragioni conservative: il prestito porta con sé l'inevitabile usura, oltre che possibili smarrimenti" spiega Dresseno. In ogni caso, online è disponibile un vasto catalogo di tutti i giochi racchiusi nell'Archivio Videoludico di Bologna.

Il digitale può agevolare, per certi versi, la preservazione. Serve però un cambiamento più diffuso e che a oggi è ancora difficile definire con precisione. Bisogna obbligare i produttori a rendere di pubblico dominio i videogiochi dopo un certo numero di anni? Serve semplificare il rinnovo dei diritti d'autore (per un brano musicale usato nel gioco, per esempio) per agevolare la commercializzazione delle rimasterizzazioni (che sono poi le ristampe in salsa videoludica)? È necessario aumentare la capillarità delle "biblioteche videoludiche"? Al momento queste "biblioteche" sono principalmente i negozi digitali proprietari: l'idea stessa di "proprietà" contrasta con una preservazione fatta per il bene comune e non a scopo di lucro.

Recuperare videogiochi su PS3, come l'episodio del 2008 di Prince of Persia, sarà impossibile e questo è un problema per l'accessibilità dei giochi in ottica futura.

"Sicuramente una preservazione diffusa a livello istituzionale sarebbe opportuna: più archivi in rete possono lavorare con più efficacia e magari specializzarsi in determinati generi e filoni. In generale, sarebbe importante stimolare una maggior consapevolezza del valore della conservazione, a tutti i livelli" secondo Dresseno. "Conservare permette di rendere accessibile, alimentare la ricerca, valorizzare il patrimonio. Un circolo virtuoso che andrebbe a beneficio anche della stessa industria." Un punto di partenza, quindi, deve mettere insieme tutti i soggetti coinvolti, quindi i produttori, le istituzioni e anche il pubblico, per creare una strategia comune.

Ci siamo divertiti a giocare per tanti anni: ora è il momento di pensare a come conservare i videogiochi e siamo già in ritardo.

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Massimiliano Di Marco

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Aspetta la pensione per recuperare la libreria di giochi di Steam. Critica qualsiasi cosa si muova, soprattutto se videoludica, e gode alla vista di Super Mario e Batman.

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