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Army of the Dead - recensione

Paura e delirio a Las-Zombie-Vegas.

Quando di una rapina viene detto che sarà un elementare "in and out", anche lo spettatore più sprovveduto sa che sarà tutto il contrario. Anche il povero Scott (Dave Bautista) se ne rende conto benissimo, quando la proposta gli viene fatta da un palesemente infido orientale (Hiroyuki Sanada di The Ring). Lui è finito a friggere hamburger dopo aver mostrato tutto il suo eroismo all'inizio della diffusione di un misterioso contagio, che ha riempito il paese di voraci zombie. Ma che vita ha fatto, che vita sta facendo, l'ex eroico soldato? E tutti i suoi altrettanto eroici compagni di avventura, come sono finiti pure loro, dopo aver lottato per salvare tanta gente innocente?

Quindi l'offerta di svuotare un caveau di un casino di Las Vegas dalla modica somma di 200 milioni di dollari, rimasti lì sepolti, può certo essere tentatrice. Questa anche sapendo che nel frattempo la Sin City del deserto del Nevada è diventata una zona residenziale per gli zombie e che l'area sta per essere nuclearizzata da un Presidente decisionista.

Mai fidarsi di uno con un completo.

Il film inizia con un veloce "riassunto dei fatti precedenti", che in modo agile ci porta alla sostanza: come sempre è colpa dell'Esercito che nella sua follia non contempla mai gli scherzi di un Destino beffardo (o anche solo della basica Legge di Murphy, se una cosa potrà andare storta, lo farà). L'incipit, sulle note di Suspicious Minds cantata da Elvis e ovviamente Viva Las Vegas, contiene anche le scene spassose della progressiva, inarrestabile zombizzazione dei festaioli di Las Vegas, compresi vari sosia di Elvis e un Liberace, oltre alla veloce presentazione del gruppetto di eroici combattenti che saranno poi i protagonisti.

A seguire, come in tutti gli heist movie, la prima parte del film scorre con il reclutamento del gruppo e la preparazione tecnica del colpo, come un Ocean's Eleven dove tutti i caratteriali personaggi entrano uno alla volta in scena. Seguono l'ingresso nella città e i primi incontri /scontri con i mostri, per poter arrivare alla cassaforte, un modello che si chiama "Il crepuscolo degli dei" e per questo ci viene presentata sulle note di Wagner. Mentre le prime rogne di annunciano all'orizzonte, si passa fra i dovuti ostacoli all'esecuzione del colpo.

Teoricamente dovrebbe seguire l'abbandono dell'area. Potrà mai andare tutto liscio mentre ticchetta anche un countdown relativo alla nuclearizzazione anticipata dell'area? Intanto avremo anche fatto la conoscenza con una nuova comunità di zombie, nella quale i putrefatti cadaveri ambulanti sono suddivisi in dominati e sudditi (alpha e shlamber), cui ha imposto una specie di ordine sociale e regole di convivenza il primo infettato, il primo ad arrivare là, diventato Re (Richard Cetrone). E se c'è un Re, volete che non abbia la sua Regina?

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Non c'è troppo da ridere nella lenta progressione che porta alla conclusione dell'avventura (e qui molti sottolineano piccati la predilezione dell'autore per i toni cupi e l'incapacità a gestire toni comici). Ma se Snyder semplicemente non volesse? Qui i pochi siparietti più leggeri sono legati alla figura del tecnico della cassaforte, il tedesco Dieter, un tecnico appunto e non un macho d'azione, anche se da questa affascinato. E non manca dell'autoironia, legata alla comparsa in scena di una tigre-zombie, ex attrazione dello spettacolo di Siegfried e Roy: "questo è passare il segno!". Quanto alla caratterizzazione dei personaggi, se un paio di volte si cerca di dare maggiore spessore al personaggio principale, quello di Scott, va detto che sarà solo alla fine che l'azione stessa glielo attribuirà in pieno.

Dave Bautista, che anche se è un ex-wrester e un attore miliardario, ha proprio la faccia di uno che potrebbe stare in cucina a fare hamburger ed è umanamente credibile, nella sua ricerca di espiazione, nel suo dolore di padre respinto dalla solita figlia (Ella Purnell) un po' fastidiosa (spesso sono fastidiosi gli adolescenti giudicanti dei prodotti americani). Lei fa la volontaria in un campo di profughi innocenti, tenuti relegati dal Sistema a fianco della città degli zombie (ma non stiamo a lambiccarci su eventuali "politicizzazioni").

Fra i compagni di Bautista/ Scott riconosciamo Omari Hardwick, che come arma usa una gigantesca sega circolare, un'eroica Ana de la Reguera, Tig Notaro, che fa un pilota di elicottero che non avrebbe stonato in A-Team. Nora Arnezeder (una vaga somiglianza con Jennifer Lawrence) è una bionda contrabbandiera di esseri umani (detta pertanto Coyote). In un cast senza divi, a parte Bautista, la faccia più nota è quella di Greg Dillahunt, che è la guardia del corpo dell'infido orientale. Theo Rossi (Sons of Anarchy) fa la carogna dichiarata.

Era meglio quando gli zombie erano quelli che giocavano alle slot machine.

Zack Snyder torna quindi ai suoi amati zombie, che aveva rilanciato nel 2004, velocissimi e molto più "smart" (e quindi spaventosi) della tradizione, con la sua rilettura del classico di Romero del '78, e lo fa con l'aggiunta una libertà d'azione concessa da Netflix (che distribuirà il film dal 21 maggio). Si dice che coltivasse questa sceneggiatura fin dal 2007. Qui è coadiuvato da Shay Hatten e Joby Harold e si è riservato anche il ruolo di direttore della fotografia. Quanto alle musiche, quelle originali sono dell'ormai onnipresente Tom Holkenborg (Junkie XL), nominato nei credits però come Holkenboro. Echeggia potente e tragica la Marcia funebre di Sigfrido di Wagner e nell'ascensore si diffondono le note di "Do you really want to hurt me", che detto mentre fuori è tutto un brulicare di zombie è spiritoso. Per il finale è stata usata Zombie dei Cranberries, what else.

Non si può negare che Snyder sappia creare suggestioni visive degne di nota, come un leader zombie addobbato come un antico romano che si aggira a cavallo fra le rovine di una Las Vegas post apocalittica, scortato dalla tigre-zombie, osannato da orde di mostruosi esseri non-viventi. Per non parlare delle molte scene d'azione, ricche di ammazzamenti assai splatter, spesso in claustrofobiche location, che culminano con la convulsa fuga finale nella sala delle slot machine, luogo abitato anche in tempi normali da creature definite "zombie". Tutta la parte conclusiva inoltre riesce a costruire una discreta suspense, quando ancora non si sa quale dei personaggi ce la farà, mentre comincia la loro (prevedibile) decimazione.

Un'arma poco maneggevole ma efficace.

Snyder mischia generi, mischia precedenti raffigurazioni di un classico dell'orrore come gli zombie (aggiungendo per gli incontentabili la novità di un capo in grado di ragionare), e condisce con una pennellata di trash e quintalate di effetti gore, del resto immancabili, una storia dove tutti i personaggi faranno quello che ci si aspetta fin dal principio (no sottigliezze psicologiche, non è il tempo né il luogo), riuscendo a non annoiare lungo le corpose due ore e mezza di durata (un giorno qualcuno dovrà però dire a Snyder, suonala più corta Zack).

Army of the Dead è un più che onesto film di genere per il quale, in tempi meno isterici, non ci sarebbe stato un tale hype, il che gli avrebbe sicuramente giovato, e non è né totale spazzatura né capolavoro di genere. Ai tempi del suo esordio con L'alba dei morti viventi nessuno avrebbe immaginato di finire un giorno ad accapigliarsi per Zack Snyder, forse neppure lui. Sarebbe ora di godersi serenamente i suoi film e poi di voltare pagina. Oltretutto Army si chiude con un finale che ha una sua amarezza, un tono diverso da quanto ci si potrebbe aspettare, che conferisce al film una sua nobiltà (sempre di genere, intendiamoci).

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A proposito dell'autore

Giuliana Molteni

Contributor

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