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Elden Ring Recensione: FromSoftware tocca il suo apice

Hidetaka Miyazaki presenta un incredibile soulsborne open-world.

Semplicemente un videogioco fuori scala sotto tutti i punti di vista.

Sono passati undici anni da quando FromSoftware ha presentato al mondo il suo Dark Souls, rivoluzionando il tessuto dei videogiochi action RPG e cambiando per sempre il complesso rapporto tra la narrativa e il gameplay. Undici anni durante i quali l'universo di Lordran si è imposto come l'epitome della produzione artistica di Hidetaka Miyazaki, superando Demon's Souls e scolpendo nella pietra le regole di un genere mai visto prima, una fantasia che si sarebbe declinata sulle sponde di un'intera saga per poi riflettersi anche negli orrori vittoriani di Bloodborne.

Ma se non fosse mai esistito un Dark Souls, se non fosse mai esistita una Lordran, se la storia non fosse già stata irrimediabilmente cambiata, Elden Ring diventerebbe l'epicentro della rivoluzione filosofica di FromSoftware. Inutile quindi girarci intorno: Elden Ring è un videogioco pazzesco, il magnum opus della casa giapponese, un'opera che è come se ne racchiudesse all'interno altre tre o quattro da tanto che è vasta, stratificata, profonda e sfidante.

È una produzione che non finisce mai, che di volta in volta ti fa credere di aver ormai giocato tutte le sue carte salvo poi spalancarsi ancora e ancora su nuovi segreti e su intere regioni. È una montagna russa fatta di lacrime e soddisfazioni che per ciascuna sfida offre la giusta ricompensa, ammantando le cento ore necessarie per raggiungere la "perfect run" in un'avvolgente atmosfera di coerenza artistica e regalando di fatto un'anima all'Interregno. Insomma, Elden Ring è l'apice dei "soulsborne", il picco massimo di ciò che si può realizzare attraverso la formula - non più giovane né esente da difetti - che FromSoftware ha sempre perfezionato senza mai e poi mai pensare di stravolgere.

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Tutto ha inizio dall'Anello Ancestrale, "l'unica" Runa del potere che un tempo consentiva alla regina Marika, e all'Albero Madre, di mantenere la pace e la prosperità sull'intero continente dell'Interregno. Accadde poi, tuttavia, che l'Anello fu frantumato, e che le Rune Maggiori finirono nelle mani di diversi semidei parte della progenie divina. Fu allora che si abbatté la Disgregazione, ovvero una serie di conflitti e disgrazie su scala globale che finirono per spaccare irrimediabilmente l'Interregno, trasformando le terre un tempo fiorenti in un incubo di morte sospeso nel tempo.

È allora che entrano in scena i Senzaluce, un popolo reietto guidato da un flebile lume di Grazia Divina, la Volontà Superiore, una stirpe sciagurata che ha l'opportunità di vedere e seguire il cammino dorato verso la ricostruzione dell'Anello Ancestrale, a patto ovviamente di riuscire a sottrarre le Rune Maggiori dalle mani di campioni la cui forza va ben al di là di quella di un semplice essere umano.

In caso abbiate giocato un qualsiasi capitolo nella saga di Dark Souls, non potrete fare a meno di notare diversi punti in comune, e avreste perfettamente ragione: Elden Ring ne riprende infatti tutti quanti i topoi - anche ma non solo nella narrativa - per poi elevarli all'ennesima potenza, realizzando un'opera la cui scala va ben al di là di ciò a cui siamo stati abituati nel corso dell'ultima decade.

La firma di George R. R. Martin alla co-scrittura, l'autore delle Cronache del Ghiacchio e del Fuoco, avrebbe potuto far pensare alla presenza di una narrativa dichiarata e incisiva in sostituzione della fumosa "lore" che ha reso celebri le penne di FromSoftware, ma semplicemente non è così. Bisogna ancora lottare per ottenere scampoli d'informazione, leggere ciascuna descrizione, osservare il mondo di gioco e analizzarne il contesto, addirittura scavare nelle profondità dell'Interregno, e solo allora si potrà completare il gigantesco mosaico che raffigura la storia di queste terre.

Benvenuti in Elden Ring, il primo soulsborne open-world e l'apice del lavoro di FromSoftware.

Dove brilla la componente ruolistica è infatti nel rapporto che si viene a creare fra il giocatore e i tantissimi personaggi che affollano il reame, le uniche entità in grado di mostrare al Senzaluce la "giusta" direzione. È qui che sorge l'annoso problema: di chi ci si può veramente fidare? I personaggi di Elden Ring spaziano lungo una ricchissima scala di grigi nella quale non esiste il giusto o lo sbagliato, e ciascuno di essi svolge un ruolo fondamentale nella definizione del cammino del protagonista.

Come sempre le missioni secondarie non sono assolutamente segnalate e FromSoftware ha continuato sulla scia del GDR nel quale bisognerebbe annotarsi le informazioni chiave su un taccuino, ascoltando attentamente le parole dell'interlocutore e cercando di comprendere le sue prossime mosse. Il fatto che la vicenda si svolga in un immenso mondo aperto, d'altra parte, rischia di creare un bel po' di problemi nel vetusto sistema di trigger alla base di queste missioni: se si sconfigge un boss o si esplora un'area prima del tempo, in alcuni casi può capitare di perdere gli incontri con determinati NPC, e talvolta anche di smarrirli per sempre.

Resta tuttavia incredibile il modo in cui le "questline" sono state intersecate con il mondo di gioco: esistono missioni lunghissime, che vanno dai primi stralci di giocato fino ai titoli di coda, alzando il sipario su enormi sezioni di mappa segrete, addirittura su intere regioni completamente opzionali, per non parlare ovviamente dei finali multipli (ne abbiamo trovati due ma abbiamo la certezza aritmetica che ce ne siano altri), che nella piena tradizione del genere sono riservati solamente ai giocatori che più di tutti gli altri hanno cercato e infine svelato i segreti dell'Interregno.

Per completare l'esperienza standard, senza dunque dedicarsi assiduamente alla ricerca dei misteri più occulti, occorrono oltre settanta ore, che possono arrivare tranquillamente a cento per tutti i giocatori che volessero scoprire quanto sia effettivamente profonda la tana del bianconiglio. La mole di grezzi contenuti è soverchiante, è quasi come se diversi interi "souls" fossero stati fusi nei confini di un unico progetto, il che è una conseguenza diretta della complessa decisione di optare per il mondo aperto.

Ogni personaggio è estremamente ben caratterizzato e alza il sipario su quest sorprendenti che svelano dozzine di segreti.

In Elden Ring l'Interregno assume il ruolo di vero e proprio co-protagonista: dall'altipiano di Sepolcride fino alle Terre corrotte di Caelid, dalle roccaforti devastate dalla guerra fino alle tombe degli eroi dimenticati, il reame non smette mai di parlare con il giocatore, invitandolo costantemente a raggiungere la guglia di una torre lontana, le profondità di una catacomba, il filo di fumo che si erge da una capanna o una voce lontana che echeggia in cerca di aiuto.

FromSoftware ci ha portato a scuola di open-world, realizzando un mondo di gioco che non solo è mastodontico ma che riesce nel difficilissimo intento di non annoiare neppure per un istante, replicando una magia che probabilmente, fino a questo momento, era riuscita solamente a The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Non importa dove ci si trova sulla gigantesca mappa: basta guardarsi intorno pochi istanti perché qualcosa catturi l'attenzione. E quel qualcosa alzerà sempre il sipario su un'interazione o una sezione di gameplay, che a loro volta premieranno il giocatore con una ricompensa oppure con un nuovo enigma.

L'esplorazione si fonda su un sistema stratificato che posiziona chiaramente i diversi piani su cui poi si snoda l'esperienza. In principio c'è il mondo aperto, quello che potremmo definire un "overworld" vero e proprio nel quale muoversi a caccia di tesori, di avversari, ma soprattutto di luoghi interessanti e spesso pregni di significato. L'Interregno è diviso in regioni - fra cui diverse nascoste o completamente facoltative - ciascuna delle quali è costellata di dungeon principali, dungeon secondari, mini-dungeon e punti di interesse.

Nei dungeon principali come ad esempio Castello Grantempesta, Elden Ring torna ad assumere la struttura di level design che ha reso famosi gli artisti di FromSoftware, disegnando labirinti fatti di scorciatoie e ascensori pattugliati da orde di avversarsi posizionati nel modo più letale possibile. È qui che emerge la pura anima del soulslike, quella che porta a farsi strada tra sangue e acciaio per raggiungere un Luogo di Grazia presso il quale riposare e ottenere il checkpoint successivo, nel costante tentativo di sconfiggere il boss finale dell'area.

La Rocca della Tavola della Grazia Perduta è l'immancabile HUB di gioco che funge da rifugio per i Senzaluce.

I dungeon secondari sono architetture molto complesse, in certi casi anche più vaste e difficili rispetto ai sopracitati legacy dungeon. Nella maggior parte dei casi si tratta di sezioni completamente opzionali, volte a proteggere i segreti più oscuri dell'Interregno o semplicemente a custodire alcuni fra gli artefatti più potenti di queste terre.

I mini-dungeon, invece, sono grotte, catacombe, miniere, insomma, qualsiasi anfratto nel quale il Senzaluce riesca ad infilarsi. Di questi ne esistono a dozzine e dal momento che ognuno è sorvegliato da un boss, è proprio qui che inizia rapidamente ad emergere lo spettro degli asset riutilizzati, tanto per quanto riguarda le ambientazioni quanto per ciò che concerne gli avversari. Nel titolo, d'altra parte, sono presenti un centinaio di boss (e non è la classica esagerazione), pertanto una simile scelta non era semplicemente prevedibile ma oggettivamente necessaria.

L'elemento più sorprendente risiede nel fatto che gli sviluppatori siano riusciti a mantenere intatto il sistema di progressione tipico dei soulsborne pur adottando l'inedita formula del mondo aperto, che consente concretamente a qualsiasi Senzaluce di raggiungere quasi tutte le regioni fin dall'inizio dell'avventura.

Le soluzioni adottate risiedono in due scelte di programmazione ben specifiche: la prima sta nella volontà di legare principalmente - ma non solo - l'efficacia del PG con quella delle armi, che in Elden Ring possono essere potenziate fino a +25 attraverso un classico sistema di pietre di forgiatura. Dal momento che ciascuna area fornisce un certo tipo di pietre, l'Interregno ci suggerisce in modo indiretto quali regioni dovremmo esplorare per prime.

La mappa di Elden Ring è spaventosamente vasta e piena zeppa di attività, interazioni e combattimenti.

La seconda, che è molto più immediata e letale, si nasconde invece dietro il design dei boss principali (ma non di quelli secondari). Questi, oltre ad essere splendidi ed estremamente ben caratterizzati, sfoggiano un livello di potenza e brutalità che rimane pressoché invariato a prescindere dal momento in cui si decide di affrontarli, e sono perfetti per riportare con i piedi per terra - e direttamente all'ultimo Luogo di Grazia in cui si è riposato - tutti i guerrieri convinti di essere ormai pronti per l'ascensione. Dalle scenografie, passando per i moveset, per arrivare infine alle colonne sonore che li accompagnano, in questo frangente gli sviluppatori sono riusciti nel difficilissimo intento di toccare vette ancor più elevate che in passato.

Che i FromSoftware fossero maestri assoluti del concept design non è mai stato un segreto, ma l'impronta dark fantasy nella quale hanno avvolto l'Interregno rivaleggia senza troppi problemi sia con quella dei loro prodotti precedenti, sia con quella emersa da capolavori di altri media: è un immaginario cupo e puramente medievale in cui le carni si mescolano con il fuoco, le architetture occulte diventano impossibili, l'elemento sacro è indissolubilmente legato a quello profano.

La varietà delle ambientazioni è sorprendente, specialmente per una produzione nella quale, all'inizio, si ha la sensazione di riuscire a vedere tutto quel che si può raggiungere. In realtà si tratta di un continuo ergersi di veli di Maya che, una volta strappati, aprono a dozzine di panorami e momenti capaci di lasciare a bocca aperta. È come se Elden Ring non finisse mai di voler custodire gelosamente i suoi segreti più preziosi, sussurrandoci all'orecchio fino alla fine che non abbiamo ancora scavato nelle profondità più recondite dell'opera.

La grande qualità artigianale che traspare dalla resa estetica dell'immaginario si traduce, ovviamente, anche nelle meccaniche di gioco, che riprendono pedissequamente tutti gli elementi che hanno sempre caratterizzato i soulsborne. Ciò significa incontrare il classico sistema di combattimento in terza persona con le azioni legate a ciascun equipaggiamento in uso assegnate ai pulsanti dorsali, cui si aggiungono l'immancabile schivata, l'utilizzo libero degli strumenti e le novità incarnate dalle Evocazioni e dalle Ceneri di Guerra.

Come sempre si possono sfruttare armi e build di ogni genere, e ciascuno strumento, se analizzato, svela ulteriori dettagli relativi al mondo.

Chiunque abbia vissuto un qualsiasi episodio della Souls Saga si troverà subito a casa: per quanto riguarda il gameplay, infatti, Elden Ring si presenta - senza mai nascondere questa sua natura - semplicemente come un Dark Souls ambientato in un mondo aperto. Ciò significa che le classi, le build, le armi con le quali si è stretto un legame speciale nel corso degli anni, possono essere tranquillamente rispolverate per andare a caccia di divinità nell'Interregno, senza disdegnare qualche novità piccante.

La difficoltà (come sempre sopra la media), anche se nel caso dei soulsborne sarebbe meglio chiamarla ripidità della curva di apprendimento, è stata bilanciata in modo piuttosto efficace, al netto delle nuove caratteristiche. Se nell'esplorazione del mondo aperto è possibile sfruttare ogni genere di vantaggio ambientale, comprese tutta la potenza e la rapidità offerte dal combattimento a cavallo, Elden Ring torna alla consueta brutalità nel cuore dei grossi dungeon, che rimangono in ogni caso sempre abbordabili salvo una leggera impennata nel finale, riservando solo alle tantissime aree opzionali il compito di alzare l'asticella oltre il limite consentito.

Anche in questo caso FromSoftware ha preferito stratificare l'esperienza: i giocatori alle prime armi avranno tutto il tempo necessario per affinare il proprio potenziale affrontando le aree meno impegnative, potenziando il proprio personaggio e sperimentando con gli stili di gioco. Dopodiché, i dungeon principali avranno il compito di saggiare i loro progressi, mettendoli a dura prova secondo il classico standard del genere. Ai veterani, invece, l'unica cosa che possiamo dire è che nei confini dell'Interregno si nascondono almeno tre fra le boss fight più difficili mai incontrate nell'intera produzione della casa giapponese.

La curva della difficoltà è ulteriormente appianata dalla presenza delle Evocazioni, ovvero particolari Ceneri che permettono ai Senzaluce di evocare creature o antichi eroi per ottenere supporto in battaglia, anche e soprattutto se si sta affrontando l'avventura in giocatore singolo. Inutile dire che sfruttare offline la "jolly cooperation" grazie a questo sistema permette di ridurre considerevolmente la difficoltà di alcune battaglie, specialmente di quelle in cui si subisce l'inferiorità numerica, ovviamente a patto di dedicarsi al potenziamento dei fedeli spiriti che vi accompagneranno in combattimento.

Anche la realizzazione degli interni porta il marchio di fabbrica di FromSoftware.

La seconda grande novità è incarnata dalle Ceneri di Guerra, oggetti che è possibile assegnare ad armi di determinate categorie per cambiarne la natura e assegnare abilità uniche. Se, ad esempio, si sceglie di attivare su uno spadone come la Claymore la Cenere di Guerra "Spadone Cariano", innanzitutto si ha l'opzione di lasciare invariata la sua natura oppure trasformarla in un'arma a danno magico (le infusioni non esistono più), e in seguito si ottiene per l'appunto l'Arte "Spadone Cariano", che consente di scatenare un terribile fendente magico verticale.

Ovviamente l'Interregno è costellato di dozzine fra Evocazioni, Ceneri di Guerra, armi ed equipaggiamenti di ogni genere, consentendo a ciascun Senzaluce di personalizzare nei minimi dettagli uno stile di gioco che non ha mai aperto alla varietà come in questo caso, dal momento che è possibile creare arcieri, assassini, guerrieri, addirittura una sorta di alchimisti grazie all'introduzione della Profumeria, ciascuno dotato di un'identità marcata.

A questi archetipi si aggiungono ovviamente i maghi, che meritano un trattamento separato a causa dello stravolgimento che ne ha toccato le tecniche e le scuole, ora capaci di spaziare fra Preghiere, Stregonerie, Incantesimi, Magia Bestiale, Magia Draconica, Magia Gravitazionale, Magia del Sangue e qualsiasi altro elemento utile per scatenare la furia arcana o controllare i campi di battaglia più estesi. C'è da dire, d'altra parte, che gli incantatori danno il meglio di sé quando abbinati ad un'arma corpo a corpo dedicata, perché Elden Ring premia prima di tutto la versatilità.

Dark Souls aveva le Umanità, Dark Souls 3 le Braci, Bloodborne l'Intuizione, e ovviamente anche Elden Ring non poteva che mettere in piedi un meccanismo simile. Quando finalmente riuscirete a ottenere una o più Rune Maggiori strappandole dalle fredde mani degli semidei, queste diventeranno effettivamente vostre, consentendovi di accedere ai poteri divini utilizzando una Saetta Runica, un oggetto in grado di conferire i buff concessi dalla Runa Maggiore equipaggiata fino al momento della morte.

Le Ceneri di Guerra permettono di assegnare potentissime Arti a ciascuna categoria di arma.

Chiude il cerchio del gameplay il sistema di Creazione, che mette in piedi un elaborato segmento di gioco dedicato al crafting da ampliare di volta in volta scovando ricette in giro per il mondo. Anche se inizialmente potrebbe sembrare un elemento trascurabile, è a dir poco fondamentale per arcieri e affini, dal momento che non è praticamente possibile reperire in altri modi i proiettili speciali, ma sa rendersi oltremodo utile per qualsiasi Senzaluce, permettendo di costruire rimedi alle alterazioni di stato sul momento e, perché no, magari anche qualche gelatina con cui cospargere l'arma.

Resta da analizzare, poi, quello che rappresenta un elemento cardine per la longevità dell'opera, ovvero il comparto multigiocatore. Se nei titoli passati esistevano i Patti, ovvero una sorta di fazioni che spesso e volentieri alzavano il sipario prevalentemente sulla cooperativa e sulla componente PvP, in Elden Ring la storia è leggermente cambiata.

Non esistono Patti in senso stretto, pertanto vincolanti, e il motivo è molto semplice: le fazioni svolgono una funzione fondamentale nella caratterizzazione del mondo di gioco, e ciascuna di esse è finalmente integrata nella componente narrativa. Ciò detto, le funzionalità online diventano disponibili per tutti fin dalle prime battute, ed è possibile affrontare insieme qualsiasi battaglia, o invadere il mondo di qualche malcapitato, dopo pochissime ore nell'Interregno.

Presi singolarmente, tutti gli elementi citati fino a questo momento funzionano a meraviglia, ma è quando lavorano in sinergia che la magia di Elden Ring prende vita. Capita di spendere ore a studiare minuziosamente la mappa nel tentativo di cercare un mistero ancora irrisolto e alzare lo sguardo verso l'orizzonte per poi lanciarsi a capofitto nelle viscere dell'Interregno in groppa a Torrent, scatendando la furia del Senzaluce ormai forgiato da mille battaglie su orde di nemici ignari del suo potere.

Come sempre, i boss rappresentano il fiore all'occhiello dell'esperienza.

Ciò su cui ci preme insistere, tuttavia, è la scala dell'opera. Elden Ring è un titolo che trabocca di contenuti al punto che se fosse stato un videogioco "normale" ci sarebbe stato spazio per tagliarne un terzo e dar vita almeno a tre diversi DLC. Elden Ring però non è assolutamente un videogioco normale, è un viaggio fuori scala che si insinua nell'animo fino a diventare totalizzante, specialmente per coloro che hanno trovato un rifugio sicuro nei lavori di FromSoftware. Ma attenzione, non solo per loro, dal momento che siamo certi che questa produzione finirà meritatamente nelle mani di un pubblico ben più vasto rispetto al solito.

Un pubblico che troverà ad accoglierlo un biglietto dorato per entrare nel cinema di Miyazaki, scoprendo quella che, senza ombra di dubbio, rappresenta la vetta più alta che sia possibile toccare attraverso la formula "soulsborne" concepita dalla casa giapponese. Una formula che d'altra parte, come abbiamo evidenziato in apertura, inizia a mostrare i primi segni del tempo e tende a trascinarsi appresso gli errori del passato.

Uno su tutti risiede nella telecamera, che durante le battaglie contro creature sovradimensionate - che sono parecchie - diventa a dir poco ingestibile a causa del lock-on, tanto che a volte bisogna attivarlo e disattivarlo di continuo. Lo stesso discorso vale per le interazioni fra il terreno e i modelli dei nemici, dato che questi ultimi finiscono spesso per inerpicarsi su qualsiasi roccia affiorante rimanendo sospesi a mezz'aria.

La gestione confusionaria dei trigger delle quest esplode nei confini de mondo aperto, spingendo a battere chilometri e chilometri di mappe alla ricerca di personaggi che probabilmente non incontreremo mai più perché abbiamo compiuto il passo "sbagliato" nel momento "sbagliato". Ci sarebbe poi da affrontare il discorso della grafica, che non si erge certo come un'avanguardia del settore, anzi, presenta diverse incertezze tecniche che per la maggior parte si limitano all'estetica. La verità è che il comparto puramente tecnico non ha mai rappresentato il cavallo di battaglia della casa, ma nel caso specifico non è un problema dal momento che su PS5 l'amalgama funziona a meraviglia a 60fps.

La quantità di contenuti presenti in Elden Ring è semplicemente fuori scala.

Problemi che in definitiva vengono sepolti sotto gli enormi pregi di Elden Ring, un'opera rara, anzi, rarissima, dal momento che si è dimostrata all'altezza della sua smisurata ambizione, per certi versi addirittura superandola. Il nostro contatore ha da tempo superato le ottanta ore di gioco, abbiamo archiviato due finali, eppure dopo aver assaporato dozzine di segreti stiamo continuando a scoprirne di nuovi, e chissà quanti altri ce ne sono passati sotto il naso durante la lunghissima, faticosa ma estremamente appagante caccia all'Anello Ancestrale.

Un mondo di gioco sconfinato e mai noioso, una coerenza artistico-narrativa vicina a quella del primo Dark Souls, una mole di contenuti semplicemente incalcolabile, un design più che mai ispirato e una colonna sonora memorabile rendono dunque Elden Ring un trionfo del "bigger and better", stavolta nel senso letterale del termine: risulta oltremodo difficile, infatti, provare a immaginare un videogioco di FromSoftware più grande e migliore di questo.

Un titolo che non inventa niente, sia chiaro, ma che ricama la sua formula tradizionale sopra quella dell'open-world con un livello di cura sartoriale che solamente la casa giapponese è stata in grado di dimostrare. Tutti provano a fare "soulslike", e quasi nessuno ci riesce veramente; tutti provano a realizzare videogiochi open-world, e quasi tutti inciampano lungo il cammino. A questo giro, Hidetaka Miyazaki si è portato a casa il banco.

Ci sarebbero tantissime altre cose da dire, ma in fin dei conti ne basta solo una: Elden Ring è una produzione fuori scala che mantiene - e a tratti supera - tutte le promesse fatte al pubblico nel corso degli ultimi mesi. Il che, di questi tempi, è una cosa piuttosto rara.

9 / 10