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Machinarium

Poetico.

Per chi gioca da diversi anni è conseguenza naturale sviluppare l'occhio dell'oldgamer, quel particolare superpotere che permette di ricondurre la maggior parte delle esperienze videoludiche sotto un numero ristretto di semi originari che, adeguatamente mixati, sono in grado di dare vita al 99% delle esperienze che ci vengono trasmesse tramite joypad, tastiere, wii remote o mouse.

Approcciandomi quindi a Machinarium, primo videogame “serio” degli Amanita Design, già vincitore dell'Indipendent Games Festival 2009, non ho potuto fare a meno di tornare indietro con la memoria ad una delle gloriose produzioni dell'ormai defunta Coktel Vision, Gobliiins. Per chi non conoscesse questa piccola gemma videoludica vi basti sapere che, seppur catalogata come avventura grafica, la figlia prediletta della software house francese presentava dinamiche differenti o per meglio dire complementari a quelle della premiata ditta Monkey Island & figli: dialoghi praticamente assenti, gioco strutturato a livelli e un utilizzo dell'inventario ridotto ai minimi termini.

Il numero di particolari che sono visibili risulta pressoché maniacale.

Tornando invece con la mente al nostro Machinarium, se la struttura di base è un'intelligente ripescaggio del passato, tutto quello che vi sta attorno è un dirompente approccio stilistico degno della fama che lo precede: i fondali, i personaggi, le sfumature sono tutte realizzate a mano, dando quasi la sensazione che la barriera tra giocatore e giocato sia semplicemente visiva e che allungando un dito si possa quasi interagire con l'ambiente.

Aiutare quindi il nostro piccolo robottino a salvare la propria amata (in bulloni e giunture meccaniche), sarà un esercizio piacevole, una stimolante palestra celebrale dove verremo stuzzicati a comprendere come completare ogni pezzo di questo avvincente puzzle, in una riuscita amalgama fra enigmi logici e originali combinazioni con l'ambiente, in piena tradizione Amanita.

L'ingegno viene così messo continuamente alla prova nel procedere dei “livelli”, spesso caratterizzati (salvo le battute iniziali), da diversi ambienti concatenati, tutti estremamente vivi e vitali, ricchi di hot spot o di semplici ma efficaci elementi di contorno.

Gli enigmi e le dinamiche di ogni schermata sono frutto di un attento lavoro a tavolino...

A grande richiesta torna anche quel pixel hunting che tanto si fece amare nei tempi che furono: il trovare il punto esatto dove cliccare con il proprio mouse (tranne quando il rilevamento risulta leggermente impreciso), è una goduria per quei giocatori costretti negli ultimi anni ad essere imboccati con il cucchiaio pur di portare a termine questo o quel gioco.

Machinarium non mente e non inganna: se rimarrete bloccati sarà unicamente perché quel particolare o quell'oggetto a prima vista inesistenti sono celati con grazia all'interno degli ambienti che dovrete visitare: niente trucchi o pezzi ridondanti e senza logica per allungare il brodo.

Per i più timorosi però non preoccupatevi: i ragazzi di Amanita hanno pensato anche ad un discreto sistema di aiuti così da abbozzare il sentiero che vi porterà alla conclusione delle vostre peripezie.

Tecnicamente ci troviamo inoltre davanti ad una delle più ambiziose architetture videoludiche sviluppate in flash, con i pregi e i limiti che questa soluzione comporta: se infatti i requisiti per far girare onestamente il tutto si abbassano drasticamente, così da poter considerare concretamente il gioco come entry level, di contro l'interfaccia risente pesantemente dai limiti tecnologici imposti. Scordatevi infatti qualsiasi funzione che possa essere deputata al tasto destro del mouse: vi ritroverete spesso a maledire il vostro sfortunato protagonista nel tentativo di deselezionare l'oggetto con cui state provando ad interagire.

Giunti alla fine di questa favola, rinfrescati dalla fonte della produzione indipendente, salutiamo quindi con gioia questo moderno ritorno al passato, alla riscoperta di quella che potremmo ribattezzare un'avventura casual per giocatori hardcore.

7 / 10